lunedì 13 ottobre 2014

non siamo criminali.... Qualità dell’individuo e “misfatto”: risponde l’avv. Zaina

legalizziamolacanapa
Pubblichiamo la risposta dell’Avv. Zaina al quesito posto nell’articolo precedente e la successiva replica, convinti di portare un contributo sostanziale per un diverso approccio in fase processuale:
Caro Giancarlo,
pensavo che questo nostro carteggio sarebbe rimasto nel contesto privatistico dei nostri intensi rapporti personali e professionali, che proseguono, ormai da molto tempo, anche per avere l’opportunità di una maggiore libertà di espressione (e sfogo) e per non dovere ricorrere ad un doveroso repressivo autocontrollo nelle mie espressioni, atteso il ruolo che ho rivestito nel processo discusso ieri.

D’altronde, la mia profonda delusione (non tanto e non solo per l’esito) era già stata oggetto di un post che ho pubblicato ieri sulle mie pagine Facebook, cercando – e penso riuscendo – di rispettare il limite di critica, che mi è imposto, e che è quello della continenza e della non offensività delle espressioni che uso.
Comunque, anche se mi fossi sfogato appieno, sarei stato più amareggiato e deluso che furente. Cerco, però, di rispondere allo stimolante ed intelligente quesito che lei pone.
Devo, peraltro, osservare che la prospettiva che ciascuno di noi ha del problema concernente la liceità, o meno, della coltivazione, che da molti anni coinvolge lei – come imputato perseguito e perseguitato – ed il sottoscritto quale difensore Suo, appare sostanzialmente differente, pur presentando sicuri punti di contatto.
Lei mi propone una riflessione radicale. Quando, infatti, lei afferma “Ma dopo tre condanne in due processi, io qualche dubbio inizierei anche a pormelo: siamo sicuri che la linea di difesa in nome della “Bibbia Penale” possa essere uno strumento realmente efficace per difendere anche la qualità degli individui e non solo il loro “misfatto”?” affronta, non solo il profilo metodologico del tipo di difesa da adottare, ma anche e, soprattutto, il sistema giudiziario nel rapporto fra giudice ed imputato.
Lei correttamente dubita, quindi, che il solo esame della fredda norma costituisca un insufficiente paradigma per decidere della sorte delle persone, qualora la decisione non si incentri anche su di una più penetrante valutazione della persona imputata.
Le rispondo senza tanti giri di parole. Io non credo che nel Suo caso, in quello di Sua moglie, come in quei casi – che fortunatamente grazie anche alla Sua opera divulgativa stanno divenendo sempre meno – in cui il gesto coltivativo viene sanzionato penalmente, ci sia una carenza di volontà del giudicante di conoscere la persona ed il suo percorso, o ,comunque, non credo che questa sia la carenza maggiore.
Io credo, ed è questo che mi motiva a lottare con maggiore vigore – ove continuerò a venire officiato per la difesa di consumatori e coltivatori –, è la amara constatazione, [e sto parlando a livello generale, giacchè della sentenza di ieri (pur nella rabbiosa delusione che provo) non intendo parlare, perché non sono state depositate motivazioni e peccheri rispetto ai miei principi della verificazione di alcuni sorprendenti atteggiamenti da parte di chi indaga e di chi giudica.
Rilevo, così:
1. una diffusa impreparazione tecnico giuridica rispetto ai fenomeni scientifici che governano la condotta coltivativa,
2. la resistenza al cambiamento giurisprudenziale e culturale in essere, quale espressione di un’ingiustificata paura di un adeguamento normativo (che tarda a
venire),
3. la prigionia mentale rispetto a stereotipi intellettuali superati, ad impostazioni che sono state dimostrate obsolete e retaggio di trascorse impostazioni tecnico-giuridiche.
Tradotto in chiaro: troppe volte – e scusate l’immodestia – ho la netta sensazione,
durante i processi, di parlare ad interlocutori giudiziari che non sanno minimamente di cosa stiamo parlando e non si peritano di tale loro carenza, sul piano scientifico, che ignorano (per impreparazione o per disinteresse?) gli approdi della giurisprudenza tesa sempre più a riconoscere la non punibilità della coltivazione destinata a fini di uso personale, che sono prigionieri, e non fanno nulla per nasconderlo, di atavici stereotipi culturali, normativi e giurisprudenziali (anche ieri abbiamo sentito evocare dalla p.a. la sentenza delle SS.UU. del 2008, che ormai è un retaggio superato).
Pensi Lei a ruoli invertiti e cioè se fosse la difesa impreparata, cosa succederebbe.
Nonostante queste situazioni si addiviene alla pronunzia di sentenze che incidono sul presente e sul futuro di tante persone.
Dunque – sono io ora a porLe una domanda – non crede che quello di cui dibattiamo sia l’unico caso in cui difendendo quello che Lei chiama misfatto, si difende, in realtà, l’essenza e la persona del suo autore?
In tante (se in non tutte) le ipotesi di reato previste dal nostro ordinamento penale, l’attenzione dell’avvocato si incentra non sulla difesa della condotta, ma sulla tutela della persona, imputata, colpevole od innocente che sia.
Ma in questo caso tutto è veramente differente.
L’essenza della difesa del coltivatore consiste, infatti, nella valorizzazione del suo modo di coltivare per il suo fabbisogno personale, quando questo carattere emerga – come emerge ed emergerà nella sua vicenda -.
Quindi, stiamo parlando della difesa di un diritto sogettivo; proprio quel diritto che lei rivendica con forza e dignità di tante persone come Lei a non essere individuati come criminali. Plurime possono essere le ragioni per le quali una persona ritenga di fare uso di cannabis nonché di coltivare (e Lei è uno degli esempi più nobili).
Il problema che, però, si deve risolvere – e per il quale mi batto nella aule di giustizia – è proprio quello del raggiungimento di canoni interpretativi che tramutino una condotta originariamente ed astrattamente illecita in concretamente lecita.
Questi criteri sono stati individuati da sempre più numerose decisioni di merito – alle quali anch’io ho cercato di contribuire – ed ora sono state recepite – piano, piano – da alcune pronunzie della Suprema Corte di Cassazione.
L’uomo ed il misfatto, quindi, sono – ma solo in questo caso – un unicum inscindibile.
La coltivazione per fini personali non è un crimine e chi la pratica a tale fine non deve essere ritenuto un criminale.
Vede, caro Giancarlo giungiamo per vie differenti – come è giusto che sia – alle stesse conclusioni.
Avv. C. A. Zaina

Buongiorno Avvocato, all’inizio pensavo di scrivere solo a Lei, ma quando ho riletto la lettera ho creduto opportuno renderla pubblica e mettere in evidenza anche i casi che falliscono e non solo quelli vincenti.
Un’intuizione che ha pagato nei termini cari all’Associazione, ho ricevuto decine di attestati di solidarietà, da semplici associati, simpatizzanti, ma anche da redattori di riviste del settore e di quotidiani che hanno sempre seguito la nostra vicenda, perché ci terrei che arrivasse agli occhi del giudice che con il sorriso sulle labbra ci ha condannato, forse solo per la soddisfazione di dargli pubblicamente del mediocre e dell’incompetente!
Prendendo come spunto una lettera aperta indirizzata a Lei, il contenuto è contro la stupidità e l’impreparazione dei giudici che condannano come prendessero un’aspirina, ma non c’è nulla scritto contro o verso di Lei e il Suo operato, se non l’invito ad una riflessione sulla quale Lei ha risposto abbondantemente, ma non (a mio avviso) esaurientemente.
Ammesso che neanche una virgola di quel che scrive sia obiettabile, rimane pur sempre un nodo mai sciolto: la giurisprudenza e il dibattito politico procedono in modo propositivo, ma gli inquisitori rimangono sempre gli stessi.
E allora il problema cambia: non si possono adottare le stesse forme di difesa indipendentemente da chi sia il giudice, e allora bisogna trovare una soluzione: ricorso alla ANM per segnalare l’impreparazione e la mediocrità di chi è posto a giudicare su cose che (come Lei giustamente rimarca) non ne sa niente? Organizzare un forum tra avvocati per segnalare questa lacuna? Pressare sulla stampa proprio per segnalare condanne inutili, dannose e infondate per l’individuo e la società tutta?
Noi continueremo a difenderci e a piantare cannabis, uno, due, tre processi ormai non ci spaventano più, ma l’importante per noi e per tutti coloro che sono nelle nostre condizioni, è avere soddisfazione e prima o poi ce la faremo …insieme!
Giancarlo Cecconi

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