Dopo la nostra inchiesta sulle violenze sessuali nelle campagne
ragusane, il territorio si mobilita. Padre Beniamino: “Mi accusano di
rovinare il paese, ma non posso tacere”. Le aziende si difendono. Troppi
sapevano e hanno taciuto. Ci sono denunce di donne che risalgono a
quattro anni fa. Cadute nel vuoto.
L'Espresso antonello mangano
"Se non mi dai baci, andate via tu e tuo marito». Risale a quattro anni fa
la denuncia di una coppia rumena al commissariato di Vittoria. «Finché
tua moglie non fa un giorno d’amore con me, non vi pago gli arretrati».
Il ricatto finisce nel verbale. Nulla di segreto, la testimonianza si
trova anche nel video “Solidal”, prodotto dalla Cgil e reperibile in
rete. Ma la denuncia cade nel vuoto, la coppia rimane senza lavoro e va a
vivere in un tugurio in campagna.
Non tutti denunciano. Il programma di protezione anti-tratta ha raccolto
dodici fascicoli in due anni di attività. E qualche rumena è tornata in
serra. Perché? «Queste donne mantengono le loro famiglie. Se non si
offrono loro alternative credibili allo sfruttamento il circuito non
potrà essere spezzato», spiega Alessandra Sciurba, che ha curato una
ricerca sul tema per “
L’altro diritto
”, centro di documentazione dell’Università di Firenze.
Dopo
l’inchiesta de l’Espresso
sulle lavoratrici rumene sfruttate sessualmente, il territorio si è
mobilitato. Molti in difesa del comparto produttivo e della serietà
della maggior parte delle aziende. Ma c’è chi chiede interventi
risolutori. «Per i cittadini comunitari è necessario sganciare residenza
e reddito, permettendo quindi a tutti di iscriversi all’anagrafe e da
lì cominciare a rivendicare diritti», propone Sciurba.
«Occorre distribuire meglio la ricchezza che nel territorio c’è. Ci sono
aziende che rispettano i contratti e altre che fanno concorrenza sleale
con i sottosalari. E bisogna potenziare i programmi anti-tratta»,
spiega il sindacalista Peppe Scifo della Flai. «Abbiamo pochissime
risorse per fronteggiare un problema di dimensioni sempre più vaste».
Il progetto “Solidal transfert” promosso da Cgil e “Medici senza
frontiere” ha permesso l’emersione di molte donne. Grazie a quel
programma conosciamo le loro storie. Eppure va avanti a forza di
proroghe. Se non ci saranno novità rischia di fermarsi a fine anno. Un
pulmino a nove posti copre l’area tra Vittoria, Scoglitti, Acate e Santa
Croce Camerina. «Accompagniamo le donne a fare la spesa o a una visita
medica. A volte persino a cercare acqua potabile», dice a l’Espresso
Emanuele Bellassai della cooperativa Proxima. Così si rompe
l’isolamento, si evitano i ricatti del padrone. E si ascoltano storie
terribili.
Le donne che denunciano vengono inserite in un programma di protezione
che prevede l’allontanamento dal luogo della violenza e l’ospitalità. In
maniera più discreta possibile, per evitare che le vittime possano
essere rintracciate e subire altre intimidazioni. Il rapporto di Proxima
fa venire i brividi: «Le donne si lamentano delle aberranti condizioni
igieniche in cui versano gli alloggi, spesso messi a disposizione dei
datori di lavoro. Veri e propri tuguri, angusti e, in alcuni casi, senza
neanche l’energia elettrica».
Anche la Chiesa non fa mancare il suo impegno. «Abbiamo accolto alcune
donne rumene in stato di gravidanza in parrocchia», racconta Padre
Beniamino Sacco, il primo a denunciare i “festini agricoli”. «Dicono che
c’è il consenso della donna? In stato di disagio economico non hai
diritto a dire no. Si tratta di violenza. La dignità di queste donne è
offesa dall’atteggiamento di “padronanza”. C’è chi pensa di poter
usufruire della vita degli altri come vuole e quando vuole». «La
direttiva europea sulla tratta, che certamente ricomprende casi come
quello del ragusano, dice che la “posizione di vulnerabilità” di queste
donne deriva dal fatto di non avere altre alternative che cedere
all’abuso. La questione del consenso è irrilevante», conclude Sciurba.
«Nessuno vuole generalizzare, la maggioranza dei produttori è onesta. Ma
questi fenomeni non sono isolati», spiega padre Beniamino. «Qualcuno mi
accusa di aver rovinato il paese per aver difeso gli immigrati. Sono
orgoglioso di essere stato dalla loro parte. Non potevo tacere».
Le violenze sessuali sono solo la punta dell’iceberg. Ad agosto un
lavoratore del Bangladesh è stato ucciso in piena campagna con una
coltellata all’altezza del cuore. Misterioso il movente, forse legato al
racket delle giornate agricole. Sicuramente la spia di una violenza
ormai diffusa.
«Nei nostri viaggi col pulmino incontriamo troppi lavoratori in nero,
non contrattualizzati», racconta Bellassai. «Ho visto migranti con
crediti da riscuotere per 4mila euro. Per mesi hanno ricevuto solo
acconti. I soldi si accumulavano. “Quando vendiamo i prodotti al mercato
ti pagheremo”, rispondevano i padroni». Anche gli uomini subiscono
prevaricazioni. Un rumeno è caduto dalla scala su cui lavorava, per lui
una frattura al braccio. «Da 22 mesi aspettiamo un’ispezione in
quell’azienda» conclude Bellassai. «Registriamo troppa lentezza nella
burocrazia».
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martedì 14 ottobre 2014
Accade in Italia: doppio sfruttamento. "Se tua moglie non sta con me non vi pago" Rumene nel ragusano tra ricatti e soprusi.
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