"L'austerity ha gettato l'Europa in recessione. Dopo tre anni la situazione è peggiorata" dice l'economista americano e i numeri sembrano dargli ragione: il Pil è calato, la disoccupazione è cresciuta. L'Ue cambia rotta, ma nel 2010 la Bce difendeva le posizioni più radicali.
repubblica.it di GIULIANO BALESTRERI MILANO - Prima il mea culpa della Fondo monetario internazionale: "Abbiamo sbagliato le proiezioni economiche. Troppa austerity strangola l'economia". Poi l'apertura della Germania con il cambio di rotta della cancelliera Angela Merkel: "Ora serve la crescita, il rigore non basta più". E infine il presidente francese, Francois Hollande, che tracciando il bilancio del primo anno all'Eliseo, dice: "I prossimi 12 mesi saranno di battaglia. L'austerity ha trascinato l'Europa nel baratro della recessione". Un cambio di posizione radicale che mette nel mirino i teorici del rigore: "E' colpa loro se siamo in questa situazione" ripete l'economista americano Paul Krugman puntando il dito contro Alberto Alesina e Silvia Ardagna, ma anche contro Carmen Reinhart and Kenneth Rogoff. Lo studio dei due americani era falsato da un errore nelle formula di excel che mostrava come i tagli portassero crescita, quello dei due bocconiani sosteneva le virtù della "austerità espansiva": la riduzione della spesa pubblica avrebbe dovuto portare a un aumento del Pil.Un documento quello di Alesina e Ardagna presentato all'Ecofin dell'aprile 2010 e applaudito dai ministri europei. Difeso anche dall'allora presidente della Bce, Jean Claude Trichet che agli scettici replicava: "L'idea che le misure di austerità possano portare alla stagnazione è scorretta. In queste circostanze, tutto ciò che
"Ma negli ultimi tre anni come sono andate le cose?" ironizza Krugman.
Per rafforzare le proprie tesi l'economista americano ha messo in relazione - utilizzando i dati del Fmi - i tagli alla spesa pubblica e l'andamento dell'economia: più sono profondi i primi, più affonda il paese, con il caso principe della Grecia. Nei 27 Paesi dell'Unione europea, la disoccupazione è aumentata dal 9,5% del giugno 2010 al 10,8% di oggi, mentre nell'Eurozona dal 10% al 12% all'interno. E' andata meglio a Giappone e Stati Uniti: il Paese del Sol Levante ha inaugurato una nuova fase espansiva della propria politica monetaria, mentre gli Usa pur fronteggiando gli automatici tagli alla spesa hanno rilanciato gli investimenti pubblici. Sulla stessa lunghezza d'onda il Pil. Basti pensare che in Italia è calato - a prezzi costanti - del 3,4%.
Eppure nonostante tutto la teoria dell'austerità ha mantenuto la propria presa sull'élite. Krugman è convinto che da un lato ci sia la convinzione di aver commesso un peccato nell'aver speso più del dovuto e ora ci si debba redimere attraverso la sofferenza. Da qui la necessità dell'austerity, che porta con sé anche una visione del mondo che rispecchia quella delle classi più abbienti. "Mentre l'americano medio è per certi versi preoccupato dai deficit di budget - scrive Krugman - i ricchi, con un ampio margine, considerano il deficit come il principale problema dei nostri giorni. In che modo dovremmo ridurre il deficit nazionale? I ricchi preferiscono ricorrere al taglio delle spese federali sulla sanità e la previdenza - i programmi assistenziali - mentre il grande pubblico vorrebbe che la spesa in quei settori fosse incrementata". "Ciò che il più ricco un per cento della popolazione desidera - attacca l'economista - diventa ciò che la scienza economica ci dice che dobbiamo fare".
Certo un'economia prospera è un bene per tutti, ma da quando l'austerity ha preso piede i lavoratori hanno visto crescere la disoccupazione e ridurre il loro potere d'acquisto, mentre il restante 1% è riuscito a trarre profitto dalla corsa dei mercati finanziari.
(20 maggio 2013)
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