Tanto la società di Cupertino avrebbe sottratto al fisco americano grazie alla complicità dell'Irlanda, che però respinge al mittente ogni accusa.
Miliardi di dollari in tasse non pagate: è questo, in buona sostanza, il motivo che ha portato una Commissione del Senato USA a convocare il CEO di Apple, Tim Cook, per un'audizione durante un'indagine conoscitiva. Formalmente, Apple non è accusata di aver fatto alcunché di illegale: soltanto, come già Facebook prima di essa nel Regno Unito, ha in essere alcune pratiche fiscali che, sebbene legali, le evitano di pagare molte tasse nel Paese in cui ha il proprio quartier generale.
Così come molti altri grandi nomi dell'informatica - il già citato Facebook, ma anche Google, per esempio - Apple ha una sede in Irlanda che da un lato funge da quartier generale per l'Europa, dall'altro - sostiene la commissione americana - serve per tenere i propri capitali al di fuori degli USA, nella fattispecie in uno Stato in cui la pressione fiscale è molto più bassa (Apple ha negoziato il 2% di tasse, mentre in America pagherebbe il 35%).
«Apple sostiene di essere il più grande contribuente americano, ma per le sue semplici dimensioni è anche il più grande elusore fiscale» ha spiegato il senatore repubblicano John McCain riassumendo la situazione e commentando: «Una società che ha avuto successo sfruttando l'ingegno americano e le opportunità che gli sono state offerte dalla nostra economia, non dovrebbe destinare all'estero i suoi profitti per evitare di pagare le tasse con il preciso scopo di deprivare il popolo americano di quel che gli spetta».
Che certe manovre servano a Apple semplicemente per non pagare tutte le tasse che altrimenti le piomberebbero sul capo pare abbastanza evidente: non si capirebbe in caso contrario che cosa abbia portato l'azienda di Cupertino ad aprire la Apple Operations International (la cui sede è in Irlanda) che non ha una nazionalità fiscale e tra il 2009 e il 2012 ha generato 30 miliardi di dollari di profitti senza pagare tasse.
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