Il business della marijuana legale ha raggiunto livelli esorbitanti negli Usa e la legalizzazione promette introiti statali clamorosi se si considera il taglio dei costi esorbitanti della “guerra alla droga”. «Con il via libera alla cannabis sempre più vicino, gli Stati Uniti iniziano a fare i conti su quanti soldi risparmieranno rinunciando alla costosissima guerra agli stupefacenti», scrive Francesco Tamburini sul “Fatto Quotidiano”. L’ultimo forte avvertimento proviene da oltre 300 economisti (tra cui tre Premi Nobel), che hanno firmato una petizione per richiamare l’attenzione sulla tesi di Jeffrey Miron, uno studioso di Harvard, secondo il quale – legalizzando la marijuana – il governo risparmierebbe 7,7 miliardi di dollari all’anno, attualmente spesi per contrastare l’uso di stupefacenti. Ma gli economisti hanno alzato l’asticella, stimando un risparmio ulteriore di 6 miliardi di dollari annui, se il governo tassasse la marijuana allo stesso modo di alcol e tabacco. Sale quindi a 13,7 miliardi il “bottino” che gli Stati Uniti incasserebbero ogni anno se legalizzassero la sostanza.
Nel frattempo, il business dell’“erba” comincia a volare. Il “Medical Marijuana Business Daily”, la principale fonte di informazione per il mercato americano della cannabis ad uso medico, prevede che le vendite autorizzate schizzeranno quest’anno a oltre 1,5 miliardi di dollari. E grazie ai referendum che a novembre dell’anno scorso hanno dato il via libera all’utilizzo “ricreativo” in Colorado e nello Stato di Washington, quadruplicheranno a 6 miliardi entro il 2018. La svolta pro-legalizzazione è sempre più evidente in Nord America. Sono infatti 18 gli Stati dove la marijuana è permessa per uso medico e altri dieci si stanno muovendo nella stessa direzione. Il fenomeno è confermato da un sondaggio del “Pew Research Center”, secondo cui il 52% degli americani è favorevole all’eliminazione del divieto, mentre tre su quattro sostengono che i soldi spesi per la lotta alla cannabis non sono un buon investimento.
Fiutato il business, Wall Street non sta certo a guardare: l’hedge fund “Lazarus Investment Partners”, come spiega il “Los Angeles Times”, ha investito in “AeroGrow International”, azienda produttrice di sistemi idroponici che permettono di crescere rapidamente le piante senza l’uso della terra. Le attrezzature fornite dalla società servono a coltivare in casa piccole piante come lattuga e pomodori. Ma il fondo di investimento, che possiede il 15% della compagnia, ha suggerito di lanciare una versione extralarge del prodotto che permette di coltivare in casa propria 365 giorni l’anno anche piante più alte come, appunto, la cannabis. Un’altra piccola azienda che realizza sistemi idroponici, “Terra Tech”, punta a raddoppiare il business non appena le leggi sulle droghe leggere saranno più permissive, e ha chiesto una mano a Wall Street per raccogliere 2 milioni di dollari: obiettivo, concentrre gli sforzi sulla coltivazione di piante e fiori in New Jersey e, quando le leggi saranno meno rigide, passare alle piante di canapa.
Derek Peterson, presidente e amministratore delegato di “Terra Tech”, sta pensando addirittura di quotare l’azienda alla Borsa di New York. Il fondo di private equity “Privateer” sta invece raccogliendo 7 milioni di dollari per acquistare start up che operano nel mercato della cannabis, senza però coltivare direttamente le piante o distribuire la sostanza. Il suo primo acquisto è stato “Leafly”, un sito nato a Seattle per offrire informazioni sui rivenditori autorizzati di marijuana: dai prezzi dalle tipologie di “erba” in vendita, passando per la gentilezza dello staff. Gli uomini d’affari americani, aggiunge il “Fatto”, hanno puntato gli occhi anche sui distributori automatici di marijuana. “MedBox”, che realizza questo tipo di macchinari, sta raccogliendo 20 milioni di dollari dagli investitori per assumere dipendenti e finanziare progetti di ricerca e sviluppo. E Alan Valdes, trader alla Borsa di New York, prevede che molti uomini di Wall Street investiranno nel suo progetto: aprire in Colorado e nello Stato di Washington una dozzina di negozi di fascia alta, «come Starbucks per la caffetteria», per distribuire le varianti più ricercate e costose di marijuana.
Neppure il governo si tira indietro, quando si tratta di fare soldi con gli stupefacenti: in Colorado e a Washington, i due Stati dove si è tenuto il referendum alla fine dell’anno scorso, non è ancora stata presa una decisione definitiva per quanto riguarda la tassazione sulla vendita della marijuana. Ma una cosa è certa: i legislatori puntano a raccogliere centinaia di milioni per risollevare i bilanci pubblici che non si sono ancora ripresi dalla recessione. «Alcune stime sono di circa 100 milioni per il Colorado», secondo il parlamentare democratico Jared Polis, che prevede che il ricavato potrà essere investito nelle scuole delle zone più povere. Il Colorado sta quindi considerando di alzare la tassazione sulla vendita di cannabis, che in alcune aree passebbe dall’attuale 8% fino al 40%. Lo Stato di Washington punta invece a far soldi tassando i brand di marijuana, quando saranno concessi i primi permessi ai rivenditori autorizzati. Cui si aggiungerebbe la torta miliardaria del maxi-risparmio ottenuto dalla fine della “guerra alla droga”.
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