La condanna è per trattamento inumano e degradante di sette detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza. Il nostro Paese dovrà pagare ai sette detenuti 100 mila euro per danni morali e ha un anno di tempo per rimediare alla situazione carceraria.
Secondo la Corte europea, l'Italia avrebbe violato i diritti dei detenuti tenendoli in celle dove hanno a disposizione meno di tre metri quadrati. La condanna è per trattamento inumano e degradante di sette detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza. Il nostro Paese dovrà pagare loro un ammontare totale di 100 mila euro per danni morali.
Non è la prima volta che l'Italia viene condannata per aver tenuto i reclusi in celle troppo piccole. La prima condanna risale al luglio del 2009 e riguardava un detenuto nel carcere di Rebibbia di Roma. Dopo questa prima sentenza l'Italia ha messo a punto il "piano carceri" che prevede la costruzione di nuovi penitenziari e l'ampliamento di quelli esistenti oltre che il ricorso a pene alternative.
La situazione nei penitenziari è disastrosa non solo per i detenuti, ma anche per la polizia penitenziaria. Costretta a dover vigilare su un numero enorme di carcerati. Stamattina trenta agenti si sono incatenati davanti al penitenziario di Poggioreale, con dietro uno striscione che lancia un grido d'allarme a Napolitano: "Il Sappe si appella al Capo dello Stato. Più rispetto per la polizia penitenziaria".
"Protestiamo - spiega Donato Capece, segretario generale del sindacato - contro la disattenzione della politica e lo facciamo davanti a un carcere simbolo, il più sovraffollato d'Europa con 2.900 detenuti e solo 600 poliziotti, una vera polveriera. Gli agenti sono stremati, con abnegazione svolgono il servizio ma dicono basta. C'è bisogno di misure alternative e di una rivisitazione del sistema penitenziario con riforme strutturali, senza pannicelli caldi come l'indulto e l'amnistia ma un sistema sanzionatorio diverso". E minaccia, in assenza di risposte, uno sciopero bianco: "Seguiremo alla lettera tutti i protocolli con grande fiscalità, in modo da rallentare servizi come il trasporto dei detenuti in tribunale o le visite dei parenti. Ci spiace per loro che ne subiranno le conseguenze ma vogliamo risposte".
Sulla questione è intervenuta negli ultimi giorni anche Annamaria Cancellieri. "Le nostre carceri non sono degne di un paese civile", ha detto il ministro della Giustizia alla commemorazione della strage di Capaci il 23 maggio scorso. A suo avviso, "per risolvere il problema non bastano nuove carceri, ma bisogna ripensare il sistema delle pene". O forme detentive alternative come l'Isola dell'amore fraterno: un villone nell'agro romano, sull'Ardeatina, dove detenuti in attesa di giudizio vivono in maniera più umana la restrizione della libertà. "Un'esperienza da replicare" ha commentato il ministro durante la visita alla struttura
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