Genova 25 maggio 2013 – Già di prima mattina, come nei giorni precedenti, la chiesa di San Benedetto al Porto in Genova, sede della Comunità, è gremita di folla, accorsa per l’ultimo saluto sulla terra a don Andrea Gallo.
...Altra folla in attesa che unita a quella che arriva forma un oceano di umanità riunita attorno all’Uomo, al Prete, al Combattente che in tutta la vita ha solo unito tutti, restando rigorosamente Uomo, Prete e Combattente di parte perché non si può stare con tutti come alibi per non stare con nessuno. Come in fisica un corpo non può occupare due spazi, così anche la coscienza umana non può stare dalla parte degli oppressi e anche da quella degli oppressori, dei giusti e degli ingiusti, dei ladri e dei derubati, dei poveri e dei ricchi...
di Paolo Farinella
Piove, come se gli angeli volessero partecipare al distacco fisico e le
loro lacrime scendono dal cielo bagnando tutti. La pioggia è una
benedizione che purifica tutti per essere degni di partecipare alla
morte di un profeta che ha partecipato alla vita di tutti quelli che lo
hanno incontrato e amato. In chiesa, oltre alla folla di gente, vi sono
alcuni preti, un paio di Genova e gli altri venuti da tutta Italia:
da Cossato (Biella), da Torino, da Antrosano (l’Aquila), da Lucca, da
Firenze, da Budrio (Bologna), da Napoli, da Caserta e da altre città.
Parte
il corteo da San Benedetto al Porto verso la chiesa di N. S. del
Carmine e Sant’Agnese, nella zona della Nunziata, passando per la
Stazione di Porta Principe. Un mare di ombrelli copre le strade. Quando
il corteo giunge alla Nunziata il colpo d’occhio di via Balbi, che è un
solo fitto ombrello, toglie il respiro: Genova non ha mai visto un folla così
ai funerali di qualcuno, e pure di un prete. C’era Genova, c’era
l’Italia e anche oltre. A intervalli spontanei e non organizzati – non
esiste nemmeno la parvenza di servizio d’ordine – scoppia dalla folla «O
bella, ciao, ciao, ciao» che è la sola preghiera laica
che accomuna tutti nel segno della libertà. Alla Nunziata, don Andrea
Gallo è preso a spalle dalla Comunità e dai «Camalli» del porto e ci si
avvia per il Carmine, distante poche decine di metri. C’è Vauro, c’è
Landini, c’è Dalla Chiesa, c’è don Ciotti. C’è Dio.
Altra
folla in attesa che unita a quella che arriva forma un oceano di
umanità riunita attorno all’Uomo, al Prete, al Combattente che in tutta
la vita ha solo unito tutti, restando rigorosamente Uomo, Prete e
Combattente di parte perché non si può stare con tutti
come alibi per non stare con nessuno. Come in fisica un corpo non può
occupare due spazi, così anche la coscienza umana non può stare dalla
parte degli oppressi e anche da quella degli oppressori, dei giusti e
degli ingiusti, dei ladri e dei derubati, dei poveri e dei ricchi. Don
Gallo stava da una parte ben precisa, ma costringeva tutti all’unità con
gli altri, facendo scelte radicali. Fu amato da tutti perché non barò
mai e non era irenico a buon mercato. La Pace per lui aveva un cognome
puntuale: Giustizia.
I funerali sono presieduti dal cardinale Bagnasco
Angelo, vescovo di Genova e presidente della Cei. Egli si sforza fin
dall’inizio di mantenere un contegno asettico, istituzionale, neutro,
impassibile, anzi impenetrabile. Prigioniero del suo ruolo cultuale non
riesce – e forse non si sforza nemmeno o non può – a capire quello che sta succedendo.
Non ha visto il mare di persone che affollava non solo la chiesa ma via
Brignole De Ferrari, la piazzetta del mercato, Piazza della Nunziata,
via Balbi. Bagnasco è «dentro», la gente è «fuori». Egli gestisce un
evento straordinario come se fosse un ordinario funerale qualsiasi e non
si rende conto che il ritorno di don Gallo al Carmine è una forma di
risarcimento postumo, perché da quella Chiesa nel 1969 fu letteralmente
cacciato via da un altro cardinale, Giuseppe Siri, campione unico di
ottusità maniacale.
Bagnasco prende i
fogli, forse scritti da altri, e comincia a leggere. Incauto, non è
capace di dire una parola fuori dal protocollo rituale, «recitato»
pedissequamente, anche nelle parti lasciate libere all’iniziativa del
celebrante, secondo l’occasione del momento. Al nome di Siri «padre e
benefattore», da fuori scoppia un urlo che
immediatamente si propaga dentro la chiesa al grido di «Andrea, Andrea».
Solo l’intervento di Lilli, la storica segretaria di don Gallo e la
mamma della Comunità, riesce a calmare lo sdegno e la contestazione.
Un’occasione perduta per il cardinale e per la chiesa istituzionale,
rappresentata da una trentina di preti presenti in chiesa, alcuni,
assenti con il cuore e l’anima: sono infastiditi dalle preghiere, da
alcune presenze e forse anche dalla presenza stessa di don Gallo. Il
cardinale non vedendo e non rendendosi conto che la chiesa è là fuori
della balaustra e del tempio, parla come se parlasse a un raduno di
preti e manca l’appuntamento con la storia della sua città che sabato 25
maggio 2013, dalle ore 11,30 alle ore 13,30 si era data convegno per
celebrare l’Eucaristia con il suo prete, con il Gallo, comandante,
sobillatore di coscienze, perturbatore delle quiete, dissacratore del
Dio dissacrato da tutte le gerarchie ecclesiastiche che hanno fatto
finta di appropriarsene per impedire che la gente della strada, gli
ultimi, i perduti, i tartassati dai governi dei tecnici e delle larghe
intese, appoggiati dalla Cei e dal Vaticano, potessero accedere al Dio
della Giustizia e dell’Amore.
Il
cardinale Angelo Bagnasco nel giorno del funerale di don Andrea Gallo,
non si presenta come il padre di una chiesa in ricerca, ma come il burocrate del sacro
e delle formulette prefabbricate, limitandosi a «recitare un funerale»
anonimo. La folla lo percepisce come «nemico», anzi peggio, come
«altro». Il funerale del Gallo è l’emblema visibile di due chiese parallele:
una di popolo, di sfigati, di gente di carne e di sangue, che sbaglia,
ma che ama e l’altra quella rappresentata dal cardinale che vive in un
altro mondo, un mondo alieno, senza storia e senza cuore. Una chiesa
asfittica, morta. Don Gallo morto è vivo e pimpante. Il cardinale
vivente e imbacuccato in paramenti e cappelli, è morto e seppellito. Nel
giorno del funerale del Gallo abbiamo seppellito una Chiesa,
ormai finita e assistito alla risurrezione popolare di un profeta che,
autentico, parla anche da morto e fa vibrare i cuori del desiderio di
Dio che è lì in quella folla, possente nella sua tenerezza.
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