L’altra sera, ascoltando le parole di Walter Veltroni a Servizio Pubblico sulla trattativa e su B. e i silenzi del Pd sulle sentenze della Corte d’appello di Milano sui diritti Mediaset e della Cassazione sul no al trasloco dei processi a Brescia, mi ronzava in testa una domanda: ma cosa potrà mai dire il Pd, casomai esista ancora, quando si tornerà a votare?
Non potrà criticare il governo precedente: è presieduto dal suo Letta. Non potrà attaccare B.: è suo alleato. Non potrà neppure sfiorare il conflitto d’interessi: anche stavolta non ha neppure provato a risolverlo per legge, anzi si accinge a calpestare per la sesta volta la 361/1957. Non potrà promettere norme più severe contro le tangenti: l’unica legge che ha contribuito a partorire in vent’anni è quella che ha ridotto le pene e la prescrizione della concussione per induzione, salvando Penati e risparmiando a B. guai peggiori nel processo Ruby.
Non potrà nemmeno impegnarsi a combattere l’evasione, il riciclaggio e la criminalità organizzata: anche su questi tre fronti – cruciali non solo per la legalità, ma anche per il recupero di enormi bottini – l’alleanza Pd-Pdl non produrrà nulla di nulla. Non potrà rivendicare la “questione morale”, dopo aver mandato al governo due imputati come De Luca e Bubbico (mentre il Pd indicava miracolosamente solo ministri intonsi da processi ), votato l’imputato Formigoni a presidente della commissione Agricoltura e garantito l’elezione di Nitto Palma al vertice della commissione Giustizia, onde evitare visite notturne del fantasma incazzatissimo di Enrico Berlinguer.
Anche le parole “mafia” e “P2” saranno ovviamente proibite, dopo la festosa alleanza col partito fondato da Dell’Utri; dopo la difesa degli imputati Conso e Mancino accusati di falsa testimonianza sulla trattativa e dei maneggi di Napolitano contro le indagini; e dopo l’elezione del piduista Cicchitto al vertice della commissione Esteri per migliorare le esportazioni. Bandita anche la parola “ambiente”, impronunciabile dopo le battaglie campali in difesa dei Riva e di quella cloaca che è l’Ilva. Insomma quasi tutte le battaglie tipiche della sinistra italiana, che aveva avuto la fortuna di poterle combattere per decenni in esclusiva, almeno a parole, grazie a una destra impresentabile, le saranno precluse per motivi di decenza.
Dunque alle prossime elezioni, che si terranno quando B. deciderà che gli conviene staccare la spina al governo, avremo una sinistra afasica, o meglio ancor più afasica di sempre, che non potrà dire nulla perché non avrà nulla da dire e regalerà a Grillo tutte le sue parole d’ordine storiche. Dall’altra parte imperverserà B., loquacissimo contro “la sinistra delle tasse”: anche perché in autunno cadrà la maschera dell’Imu e si capirà che l’annunciata (molto incautamente) abrogazione dell’imposta sulla prima casa era solo un ridicolo rinvio di pochi mesi.
E tutto ciò non accadrà a sorpresa, ma in seguito a precise scelte politiche che Veltroni l’altra sera, a parte alcuni vuoti mnemonici davvero allarmanti, ha avuto il merito di illustrare e rivendicare: “Siamo andati al governo con B. perché l’alternativa era tornare al voto e far vincere B.”; “Votando l’ineleggibilità di B. alimenteremmo l’antiberlusconismo di cui B. da sempre si nutre per vincere”. A parte il fatto che, se B. fosse dichiarato ineleggibile, non potrebbe vincere, resta da capire perché mai B. abbia vinto per vent’anni contro un centrosinistra che meno antiberlusconiano non si poteva.
Ma è probabile che il Pd abbia scelto il metodo Angelina Jolie che, temendo un tumore ai seni, se li è fatti asportare. Siccome B. potrebbe andare al governo dopo le prossime elezioni, tanto vale portarcelo subito noi. E siccome alle prossime elezioni potremmo perdere i nostri elettori rimasti, li mettiamo in fuga subito e ci leviamo il pensiero. Come quel tale che, temendo di diventare impotente, si evirò. Furbo, lui.
il Fatto Quotidiano, 25 maggio 2013
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