ANALISI DELL'ECONOMISTA LORETTA NAPOLEONI. Le nostre obbligazioni fanno gola per due motivi: i rendimenti sono alti rispetto a quelli del resto dei paesi occidentali e la caduta dei tassi d’interesse in atto ne fa crescere il valore.
Se gioca bene le sue carte, il nuovo governo italiano potrebbe, almeno nel breve periodo, trarre vantaggio dalle mutate condizioni del mercato delle obbligazioni di stato, e cioè la corsa all’acquisto del debito della periferia di Eurolandia. Ci troviamo di fronte ad uno di quegli spettacolari colpi di scena che l’alta finanza sferra quando uno meno se lo aspetta? Pare proprio di sì, ma chi pensa che dietro ci sia l’ennesima dietrologia di organizzazioni come il Bilderberg sarà deluso: ciò che sta avvenendo è frutto di politiche economiche e monetarie rivoluzionarie perseguite principalmente da due paesi: gli Stati Uniti ed il Giappone. Politiche che nell’era della globalizzazione hanno un raggio di gettata che va ben oltre i confini nazionali.
Chiediamoci perché lo spread scende in tutt’Europa, perché all’apice della nostra crisi politica delle scorse settimane i tassi ai quali l’Italia si indebitava erano quasi la metà di quelli dell’autunno del 2011. La risposta più frequente è che c’è fiducia nel nostro paese, ma è la risposta sbagliata. Le nostre obbligazioni fanno gola per due motivi: i rendimenti sono alti rispetto a quelli del resto dei paesi occidentali e la caduta dei tassi d’interesse in atto ne fa crescere il valore. Vale la pena spiegare questi due punti.
Dal 2010 il rendimento delle obbligazioni dei paesi emergenti e di quelli cosiddetti di frontiera – a ridosso dei primi ma ancora in fase di decollo, come il Ruanda – sono scesi dall’11 al 6 per cento, durante la crisi del credito del 2009 questi erano arrivati al 20 per cento. Oggi giorno soltanto il debito pubblico pachistano, venezuelano ed argentino, di nazioni in default insomma, offre rendimenti al di sopra del 10 per cento. Il motivo è la politica monetaria espansiva perseguita dagli Stati Uniti, dal Regno Unito e da poche settimane dal Giappone. L’ingresso del Giappone, poi, tra i tipografi del danaro, nazioni che stampano moneta per far fronte alla deflazione, ha causato un’ulteriore e più profonda ondata di tagli nei tassi di rendimento. Ondata che perdurerà per almeno due anni, questa la durata ufficiale di questa politica.
Più il denaro rende poco a livello globale più la caccia ai tassi più elevati diventa difficile, più i tassi scendono più sale il valore delle obbligazioni già in portafoglio. Ecco spiegata la spirale di guadagno sui titoli. L’appetito per il debito della periferia è alimentato dalla caduta mondiale dei rendimenti che ha ridimensionato il rischio della periferia. Oggigiorno le obbligazioni della Costa Rica o del Ruanda rendono meno di quelle della Grecia, che fa parte dell’Unione Europea. Di fronte a queste anomalie l’investitore alla ricerca di alti rendimenti deve necessariamente riassestare il rischio Grecia.
E veniamo ai paesi della periferia di Eurolandia dove i tassi sono di pochi punti percentuali al di sotto di quelli di nazioni africane. Dal 2010 ad oggi gran parte del debito nazionale è stato riacquistato dai singoli paesi. Si tratta di un fenomeno che sta trasformando questi paesi nei replicanti del Giappone dove quasi il 100 per cento del debito nazionale è detenuto da cittadini ed istituzioni nazionali. Ciò implica che il pericolo di default è minino dal momento che lo stato è allo stesso tempo debitore e creditore. Ma c’è un altro elemento importante da prendere in considerazione: l’alta e crescente percentuale di fallimenti nell’economia reale.
Dall’autunno del 2011 la Banca centrale europea ha immesso nel sistema bancario circa 2mila miliardi di euro, a questo va aggiunto l’aumento dei depositi in euro, 44 miliardi a marzo in Italia, Spagna e Francia. Dove finiscono tutti questi soldi? La risposta è semplice: nel mercato obbligazionario perché è l’investimento più redditizio e sicuro. L’andamento dei prestiti non onorati o restituiti in Italia ce lo conferma. Dal 2008 ad oggi la percentuale di questi sul totale dei prestiti è passata dal 2 al 6 per cento.
Questi dati ci dicono che nei prossimi mesi non dovremmo affrontare crisi finanziarie come quella del 2011, abbiamo insomma un attimo di respiro. Ma se in questo intervallo non iniziamo a rimettere in ordine la nostra economia facendola ripartire, dietro l’angolo ci aspetta un destino simile a quello del Giappone: deflazione ventennale o forse qualcosa di peggio. Come ha scritto un blogger finanziario londinese: la grande abbuffata del mercato dei titoli della periferia è ricominciata, comprate, comprate, comprate fino a quando inizieranno i disordini in strada.
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