giovedì 29 febbraio 2024

Banche & Co. Crac bancari, ecco come soci e speculatori si sono spartiti 1,5 miliardi di soldi pubblici.

Otto anni dopo il crollo di Veneto Banca Popolare di Vicenza si è concluso il più vasto e costoso indennizzo ai clienti frodati dalle banche.

(di Milena Gabanelli e Andrea Priante – corriere.it)

 

Ma chi ha pagato per il ristoro e per il salvataggio delle due venete che per decenni hanno fornito la benzina alla locomotiva del Nordest, e sembravano così in buona salute? Il dissesto si è innescato tra il 2013 e il 2015 quando Bankitalia e Bce scoprono che i bilanci si reggono su gravi irregolarità sempre sfuggite agli ispettori: con una mano le banche concedono prestiti ai loro amici senza le adeguate garanzie, con l’altra spingono in tutti i modi l’acquisto delle azioni proprie spacciandole per operazioni a rischio zero, prestano loro stesse il denaro ai soci che le comprano, e falsificano i profili dei clienti in modo che appaiano competenti in materia finanziaria da comprendere i rischi cui vanno incontro. Nel 2016 esplode il bubbone e il valore dei titoli si azzera: 87.504 azionisti di Veneto Banca perdono 4,9 miliardi di euro;i 118.994 di PopVicenza 6,3 miliardi.  
Poi ci sono gli obbligazionisti, con i circa 200 milioni di bond subordinati piazzati a singoli risparmiatori. Valore totale delle perdite: oltre 11 miliardi.

Per evitare il fallimento delle due banche, e il conseguente impatto disastroso sull’intera economia, nel 2017 il governo Gentiloni dispone la loro liquidazione coatta. Compra Banca Intesa, ma con l’«aiutino» dello Stato: 4,7 miliardi per supportare l’operazione, e altri 6 a garanzia dei prestiti. Ma questa è ormai storia. Veniamo ora all’indennizzo: quanto hanno recuperato azionisti e obbligazionisti, e soprattutto chi ne ha diritto?

Il maxi-ristoro

Le regole di mercato europee fissano un principio netto: l’azionista quando compra sa di assumersi un rischio. Ma qui, hanno stabilito i tribunali, per molti di loro il tavolo era truccato. E se dall’insinuazione al passivo e dalle cause penali contro i manager sarà improbabile recuperare qualcosa, i soci in una prima fase hanno avuto diverse occasioni per riprendersi una parte dei loro soldi, anche attraverso gli arbitrati. 

La fetta più grossa la mettono le banche stesse nel 2017, prima della liquidazione, quando offrono il 15% di quanto pagato per le azioni, in cambio dell’impegno a non fare causa. Aderisce il 70%, e 121.144 azionisti di spartiscono 441 milioni. Sembra finita così. Invece in loro soccorso arriva il governo giallo-verde guidato da Conte, con il Fir: fondo indennizzo risparmiatori. Un miliardo e mezzo di euro pescato dai depositi dormienti, cioè quei conti correnti fermi da 10 anni perché gli intestatari sono defunti e non ci sono eredi a reclamarli, e che per legge dovrebbero finire nelle casse dello Stato. Tra la fine del 2020 e le scorse settimane quel denaro è servito per restituire a 129.412 investitori (su 140mila richieste) il 40% di quanto speso per le azioni, e il 95% del valore delle obbligazioni, fino a un massimo per entrambi di 100mila euro, e sempre al netto di quanto eventualmente ottenuto in passato, a partire dall’offerta transattiva del 2017. Ad averne diritto persone fisiche, imprenditori individuali, associazioni e microimprese, compresi alcuni di coloro che avevano «perso» gli arbitrati perché non avevano subito nessuna frode ma semplicemente fatto consapevolmente una speculazione poi finita male (leggi il perché su Dataroom del 28 aprile 2019). Esclusi solo i «professionisti» del settore e chi ha rivestito ruoli di vertice nelle banche. Una platea vastissima dunque, che comprende anche i risparmiatori di altre nove banche «risolte» o finite in liquidazione coatta amministrativa tra 2015 e il 2018, a cominciare da Banca Etruria, Banca delle Marche, Cassa di risparmio di Chieti, e CariFerrara.

A gestire i rimborsi per conto del Mef è la Consap, con al vertice il presidente Sestino Giacomoni e l’Ad Vincenzo Sanasi D’Arpe. L’iter è questo: per chi ha redditi bassi il rimborso è automatico mentre per tutti gli altri si deve passare per una commissione tecnica, che in questi anni ha escluso circa diecimila richieste perché irregolari o perché non rispettavano i requisiti. Tra queste il figlio di un componente del Cda di una delle banche che ha tentato di ottenere il ristoro, e un famoso ex calciatore che – sperando nel rimborso automatico – ha dichiarato i pochi guadagni ottenuti in Italia, ma non il patrimonio milionario all’estero. A coloro che invece ne avevano diritto è appena arrivato l’ultimo bonifico. E per la prima volta è possibile sapere quanti sono e quanto hanno incassato.

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A Flourish map

La spartizione

Ai risparmiatori della Popolare di Vicenza sono arrivati 624.886.903 euro. In tutto gli indennizzati sono stati circa 50mila, 20mila nella sola provincia di Vicenza, 2700 in Sicilia e Calabria, dove operava la controllata Banca Nuova. Per Veneto Banca, 423.689.440 euro spartiti tra 34mila soci, 18mila nella sola provincia di Treviso, dove aveva il suo quartier generale. Altri tremila risparmiatori liquidati in Puglia, sede della controllata Banca Apulia.

A 15mila azionisti Banca delle Marche sono andati 85 milioni di euro; a 16mila di CariFerrara 66 milioni; a 10mila di Banca Etruria 40 milioni; a 800 risparmiatori di Crediveneto 1,8 milioni; e a 60 della Carichieti 1,1 milioni. Poco altro ai risparmiatori degli altri istituti finiti in dissesto. Tirando le somme: per le venete si è speso quasi l’80% dei conti dormienti, mentre 109 milioni (l’8%) è andato ai circa 3mila azionisti con portafoglio «misto», cioè con titoli di più istituti. Infine 195 milioni ai risparmiatori delle altre banche, che si sono spartiti il 14% del Fondo. In tutto l’operazione è quindi costata 1.353.832.529 euro. Significa che del miliardo e mezzo avanzano ancora circa 150 milioni. Gli azionisti vorrebbero prendersi pure quelli. Ci auguriamo che lo Stato decida di tenerseli per aiutare magari qualcun altro.

E chi ha imbrogliato quanto paga?

E i responsabili di tutto questo invece che fine hanno fatto?  

Vincenzo Consoli – per 18 anni alla guida di Veneto Banca – dopo aver trascorso sei mesi agli arresti domiciliari in appello è stato condannato per ostacolo alla vigilanza e si è visto ridurre la pena a 3 anni a causa dell’intervenuta prescrizione dei reati di falso in prospetto e aggiotaggio. Mobili antichi e opere d’arte sono finiti all’asta, e ogni mese gli viene pignorato un quinto della pensione, che comunque ammonta a circa 15mila euro lordi mensili. In attesa della Cassazione, continua a vivere nella villa di Vicenza, che è sotto sequestro. 

Anche a Gianni Zonin, per vent’anni presidente di Popolare di Vicenza, in appello la pena è scesa a 3 anni e 11 mesi per effetto della prescrizione. Con lui condannati altri 4 manager. Sotto sequestro le poche proprietà che risultano ancora intestate a lui: una chiesetta nel Chianti e un campo a Gambellara. È rimasto a vivere nella sua villa a Montebello Vicentino che però è sottoposta a sequestro conservativo (insieme ai quadri, mobili e i vini della cantina), e in caso di condanna definitiva potrebbe andare tutto all’asta. Ogni mese gli viene pignorato un quinto della pensione da imprenditore agricolo, che ammonta a poco più dimille euro al mese. Lo aiutano i figli, ai quali nel 2016, un attimo prima del dissesto, ha ceduto le sue quote nelle aziende vitivinicole di famiglia.

dataroom@corriere.it

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