La Precrimine di Minority Report diventa realtà negli Usa. Polizia e tracciamento social per predire se puoi commettere reati. Il miglior strumento di controllo.
Siete pronti allo Stato di Polizia? Quello vero, non le sciocchezze da complottisti che si leggono in rete?
Negli Stati Uniti stanno lavorando da 9 anni a una sorta di Precrimine, quella vista nel film di Steven Spielberg Minority Report, un
incubo peggiorativo del quadro distopico del film. Negli USA è stato
creato più di un software che, sfruttando l’intelligenza artificiale,
studia tramite algoritmi i nostri amici e tutti i nostri collegamenti
dentro i social media (come Facebook, Instagram, eccetera) per sorvegliare e prevedere chi potrebbe commettere un reato. Questi dati vengono poi intrecciati con qualsiasi informazione, raccolta sul territorio dalla polizia.
Attenzione! Non si tratta di tracciare chi ha commesso crimini ma chi potrebbe commetterli.
E come si fa a prevedere un’intenzione? Il dipartimento di Polizia di Los Angeles è un pioniere nella polizia detta predittiva,
e sta promuovendo da anni programmi all’avanguardia che utilizzano dati
storici e software per prevedere i crimini futuri che le persone
potrebbero realizzare. Siamo nella predizione!
I software che prevedono i crimini
Già applicati negli USA e in Israele, uno di questi software è stato
creato da una start up tecnologica americana, Voyager Labs, ma non è
l’unica. Ci sono anche Media Sonar, Palantir, PredPol e Geofeedia.
L’azienda sostiene che queste informazioni potrebbero aiutare la polizia
a capire se hai commesso o hai intenzione di commettere un crimine.
Nelle intenzioni di chi ne tesse le lodi si individuerebbero i
“responsabili” con la precisione di un medico che utilizza la chirurgia
laser per rimuovere un tumore.
Il software di Voyager, secondo quanto afferma l’azienda, può decifrare il significato del comportamento umano online per individuare se una persona ha già compiuto un crimine o potrà commetterlo, unirsi a un gruppo politico o sposare un’ideologia.
Ma non si ferma qui. I dati infatti vengono raccolti anche dagli agenti sul territorio, sul campo, per strada, con un semplice fermo di controllo. I due livelli poi si intrecceranno.
Con il software Palantir, che ha raccolto richieste di servizio, rapporti di criminalità e informazioni dagli agenti, schede di campo (le
schede di interviste che le forze dell’Ordine sono tenuti a compilare
quando si ferma qualcuno, tra cui per il programma raccogliere anche
dati sull’uso dei social media), si identificano i delinquenti cronici o
le aree che necessitano di più pattuglie.
Il software poi
interagisce con le forze dell’Ordine: vengono riportate citazioni a
giudizio e si traccia tutto ciò che definisce un individuo “persona attiva“, politicamente orientata, accumulando dati per capire come le persone usano i social.
A quel punto, un gruppo di servizio di intelligence sulla criminalità
elabora bollettini sui delinquenti abituali, assegnando punteggi di
rischio criminale alle persone in base a documenti di arresto,
affiliazione a bande o presunte tali, libertà vigilata, multe, ecc.
Minority Report nella realtà. Le proteste della gente
I primi programmi applicati dalla Polizia di Los Angeles e che
usavano questi sistemi, PredPol e Operation Laser, hanno sollevato
numerose proteste tra i cittadini e sulla stampa.
Uno di questi programmi,
Operation Laser, ha utilizzato informazioni storiche, i dati dei
crimini legati alle armi, gli arresti e le chiamate per mappare “aree
problematiche” (chiamate “zone laser”) e “punti di interesse” (chiamati
“punti di ancoraggio”) sui quali gli ufficiali potessero concentrare i loro interventi.
Pensate
a come diventerebbe vivere in un quartiere povero e camminare per
strada con il terrore di essere fermati dalla polizia che può poi usare i
vostri comportamenti casuali, e talvolta protetti, per criminalizzarli
in modo efficace. I fermi casuali possono contrassegnavi come potenziali sospettati o rendervi oggetto di maggiore sorveglianza.
Come funzionino questi sistemi lo si è appreso dall’attività di denuncia e opposizione di organizzazioni come il Brennan Center for Justice, dai documenti pubblici di Coalizione Stop LAPD (Los Angeles Police Department Spying) e da giornali come il britannico The Guardian che ha seguito criticamente alcune vicende.
Nel
2019, l’ispettore generale della Polizia di Los Angeles, Mark Smith, ha
affermato che i criteri utilizzati nel programma per identificare le
persone, che potevano commettere crimini violenti, erano incoerenti. Quindi i dati possono anche essere fasulli. Tutto dipende da come vengono raccolti.
L’effetto
è un circolo vizioso che stigmatizza alcune aree
territoriali, alcuni comportamenti e gruppo della popolazione. Siamo
cioè piombati in un sistema di gestione dove attraverso l’intelligenza
artificiale si può controllare le masse e i dissidenti. Il
rischio non azzardato è che chi ha il potere o vuole mantenere lo status
quo possa sempre garantirselo con maggiore facilità proprio alimentando
il crimine che finge di combattere. Proprio come nel film Minority Report.
Non
a caso alcuni attivisti del movimento americano Black Lives Matter sono
stati tracciati dai sistemi di controllo utilizzati e stigmatizzati per
comportamenti pericolosi. Per quanto le proteste
sociali abbiano cercato di far abolire i programmi, le associazioni per
le libertà civili sostengono che i progetti siano continuati con
software sempre più sofisticati.
Per i cittadini e la loro
privacy si prospetta un vero incubo. Immaginate che fine farebbero, con
uno strumento del genere, gli attivisti politici che non piacciano ai
governi! E cosa ne penserebbe Edward Snowden, l’eroico ex agente CIA che ha rivelato pubblicamente dettagli dei programmi top-secret di sorveglianza di massa del governo statunitense e
britannico post attacco alle Torri gemelli? I programmi venivano usati
anche per motivi industriali e politici e tutt’altro per la sicurezza
dei cittadini.
Snowden, reo di aver solo rispettato la Costituzione
americana è ancora ricercato negli Stati Uniti, ha chiesto la
cittadinanza russa dopo aver ottenuto un permesso di soggiorno
permanente a Mosca, dove si è rifugiato dal 2013.
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