venerdì 26 novembre 2021

I ricatti dei Magnaccioni

E chi sosteneva che fosse per dimostrare una comune volontà di affrontare i tempi sanitari e quelli ambientali, e chi per ricordare il colore dei vecchi passaporti, e chi pensava che evocasse il semaforo del via libera.

il Simplicissimus Anna Lombroso

Adesso invece sappiamo che Gp, sigla di Green pass, sta per Gran Premio, guiderdone concesso ai possessori che hanno aderito entusiasticamente al tesseramento. E ancora più significativo ora che c’è il Super Gran Premio,  generosamente elargito dal multiforme presidente del Consiglio in veste di padre  equanime, anzi di Babbo Natale, è ovvio, che ha motivato così il “rafforzamento” delle necessarie misure “profilattiche”   in vista delle festività: “Per i vaccinati sarà un Natale normale, vogliamo prevenire per preservare…Vogliamo essere molto prudenti. Da un lato per evitare i rischi, dall’altro per conservare la normalità che ci siamo conquistati durante quest’anno e restare aperti”.

La linea di “fermezza” del Governo, sia pure con qualche lamentela della Lamorgese  che pretende risorse aggiuntive per gli straordinari delle forze dell’ordine impegnate in complesse ma necessarie operazioni di investigazione e controllo dell’attività anarco-insurrezionalista dei fomentatori della destabilizzazione, è stata così tradotta dalla solerte stampa:  “Ha voluto adottare un vero e proprio cambio di passo: non si può più chiedere pari sacrificio a chi si è vaccinato e a chi ha scelto di non farlo”.

Non so a voi ma a me già la parola sacrificio fa salire il sangue alla testa.

Pensate all’impiego “confessionale” che ne ha fatto la religione declinandola anche nella forma più elementare in veste di fioretto propedeutico a una edificante ricompensa. Pensate all’uso passato e vigente dei vertici istituzionali che richiedono abnegazione e rinuncia come qualità professionale ai servitori dello Stato da premiare con medaglie preferibilmente alla memoria. Pensate alle privazioni obbligate cui ci ha costretto l’austerità per punirci di aver vissuto al di sopra dei nostri mezzi, comprese conquiste del lavoro e godimento dei diritti fondamentali. Pensate all’abuso padronale che se ne fa  per ratificare che è doverosa l’abiura di prerogative e dignità per ricompensare datori di lavoro che si prodigano per lo sviluppo della società. Pensate anche a quello patriarcale, che pretende che sia la donna a immolarsi per la famiglia, rinnegando talento, aspettative e volontà di affermazione personale.

Non a caso e in tutti i casi sopraelencati, è prassi consolidata che il sacrificio venga richiesto a chi sta in basso, ceti, generi, posti di lavoro, territori periferici, già penalizzati dalla lotteria naturale o sociale, obbligati a bruttezze aggiuntive al brutto e a stenti supplementari rispetto all’abituale miseria, perché – è una tesi molto in auge tra economisti e sociologi – un po’ se lo meritano, non possedendo le qualità per stare nel mercato e le ambizioni per concorrere al successo,  ma anche perché la povertà è triste e umiliante, ma pare lo sia di più se si presenta come perdita di beni e privilegi.

Convinzione questa che spiega il successo delle tutele crescenti applicate solo alle alte gerarchie, la salvaguardia di pensioni e emolumenti d’oro compresi quelli ai rappresentanti eletti a fronte della obbligatoria decurtazione di salari già minimi e aiuti per soggetti vulnerabili in occasione di crisi ed emergenze sociali.  E  mica vorrete accanirvi contro gente che non è abituata alle privazioni, i cui usi di mondo non prevedono l’abdicazione a uno status con relativi benefici, la cui voce è abbastanza sonora da arrivare fin su disturbando i manovratori, spesso imparentati o affini o empatici, e il cui malanimo potrebbe avere effetti disturbanti l’armonia che deve connotare il mondo di sopra.

Eppure, è strano ma è così, un esteso segmento di cittadini è fiero di esibire l’attestato dell’ingiusto sacrificio compiuto in forma di due e tre dosi, che certifica – ma è un falso – il loro contributo alla ragione sociale dell’immunità di gregge che possiede dunque un alto valore aggiunto morale, quello di essere prestati per difendere altri dal contagio.

Nemmeno sto ad osservare che altrettanto impegno e  senso di responsabilità doveva essere dimostrato impedendo il sacco della sanità, il deterioramento delle condizioni ambientali non estranee alla circolazione e alla pericolosità di patologie respiratorie e cardiache, la trasformazione della medicina di base convertita in sistema burocratico- amministrativo, penso invece all’accertata limitata efficace dei prodotti in uso, al fatto che non impediscono né di contagiare né di essere infettati, al loro termine di scadenza più ridotto del latte della Centrale.

E penso anche alla dimostrazione di irresponsabilità delle autorità che non hanno avuto – e per fortuna – la faccia di tolla di imporre esplicitamente l’obbligo ricorrendo invece alla sua coercizione surrettizia con il lasciapassare, che proseguono nella somministrazione di notizie contraddittorie, statistiche farlocche, a sostegno della campagna acquisti di vaccini come unica destinazione delle risorse della spesa sanitaria.

Così per un insano potere virtuale sostitutivo in molti pensano di esprimere loro senso civico e di responsabilità ostentando l’obbedienza al diktat vaccinale sancito dal patentino, quando sarebbe legittima e comprensibile una scelta informata e consapevole, dettata dal timore di ammalarsi. Ma così verrebbe meno il senso del sacrificio compiuto che possiede la qualità di esigere come compensazione la punizione di chi si è sottratto, auspicata in forme più o meno cruente da pesonale sanitario, filosofie e pensatori, informatori e opinionisti e soprattutto dai decisori che interpretano così la loro missione pedagogica.

E vagli a dire che se le loro abnegazione è risarcita con la pizza al chiuso vicino al forno a legna di Bonci, dei canederli in baita e della zumba in palestra, chi ha preso un’altra decisione altrettanto informata e consapevole sconta la sua scelta con l’estromissione dal contesto sociale, paga il prezzo di ricatti e intimidazioni sul lavoro e del linciaggio del tribunale popolare di gente che si appaga delle licenza elargite che non risparmia  loro mascherina, distanziamento, ostensione die propri dati sensibili, in cambio dell’opportunità di imputare il danno ai disertori.

L’auspicio è che i non vaccinati possano tornare a essere parte della società come tutti noi”, ha proclamato il più cinico tra i gaulaiter che ci potevano capitare nel lager comunitario, che ha travalicato i confini amministrativi per imporre un nuovo ordine repressivo,  concedendo agli obbedienti il merito e il riconoscimento di appartenenza, negato da quasi due anni ai cittadini di serie B, quelli esposti al rischio del grande male in posti di lavoro insicuri a prescindere, in mezzi pubblici insalubri a prescindere, ai giovani emigrati al nord subito indicati come untori sconsiderati quando hanno voluto tornare a casa, ai runner, a chi non voleva spezzare antichi vincoli affettivi che hanno condannato all’isolamento anziani e invalidi.

Devo deludere Draghi, a me come a tanti non piace far parte della sua cerchia, regolata da principi di fidelizzazione, conformismo, mercificazione delle persone, obbedienza cieca indotta intimorendo e ricattando. Di che società  parla il presidente?  Forse di quella dei Magnaccioni?

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