La conferenza nazionale tenutasi a Genova ha ripercorso un canovaccio che, penso, ormai gli esausti operatori che si occupano di consumi di sostanze legali ed illegali, conoscono a menadito. Solite storie: si parla di sostanze in un paese in cui un ministro si occupa di quelle illegali ed un altro ministro (Roberto Speranza) di quelle legali quali l’alcool, ad esempio. Questo secondo ministro è l’unico che non partecipa, in presenza o in remoto, ed allora si capisce che questa conferenza è una passerella di volti più o meno noti che non aggiungerà nulla a questo immobile paese. Perché parlare di dipendenze senza parlare di quelle da sostanze legali (le più letali, per altro, con i 40mila morti all’anno da conseguenze derivate dall’abuso di alcol) indica, di suo, il taglio che si vuole dare a questo parlare: che ancora una volta è è un taglio in cui il “drogato”, il fragile, riassume in sé il mondo del consumo.
I giornali hanno, come sempre, accentuato l’attenzione su alcune dichiarazioni di Dadone o Orlando in merito alla legalizzazione della cannabis: cosa che, a parere di chi scrive, accadrà nel momento in cui un referendum farà decidere i cittadini esentando, come sempre accade in questo paese, i nostri rappresentanti a decidere nel merito delle cose. Ma forse, grazie alle firme raccolte dai soliti Radicali, questo era l’argomento meno interessante per chi si occupa di persone. Molto di più sarebbe stato affrontare la Conferenza stravolgendo il vecchio archetipo del “drogato” e parlando di consumi di sostanze legali ed illegali che nella maggior parte dei casi non configurano l’immagine del disperato non più in grado di ritrovarsi ma coinvolgono il vicino della porta accanto. Vicino che pasticcia con le sostanze, che non hanno ancora gravemente leso la sua salute e che teme, prima ancora che la sostanza, il giudizio morale, amministrativo e penale che la vicinanza ad essa può comportare.
Un mondo del consumo in cui cannabis e psicostimolanti la fanno da padrone come indicano i sequestri che anche in questa conferenza, con ragionieristica logica, sono stati ricordati. Questo ricordo, però, dovrebbe indurci a riflettere sui destinatari di quelle tonnellate di cocaina o di cannabis. Destinatari che, evidentemente, non sono solo i disperati, fragili soggetti su cui si è costruito l’intero mondo dei servizi che si occupano di dipendenze. Ma questo decisivo passaggio, come è come non è, non viene mai affrontato. Sarebbe un passaggio, alla pari della legalizzazione della cannabis, di enorme importanza perché caratterizzerebbe i nuovi servizi come servizi alla persona e non al deviante o al tossico.
Alla fine, dal processo di stigmatizzazione della figura del “drogato” non si è sottratta neppure questa conferenza. Carcere e medicina rappresentano di fatto gli unici paradigmi con cui noi trattiamo i consumatori. Potremo decarcerrizzare, domani stesso, migliaia di detenuti ma rischieremmo di rinchiuderli dietro le sbarre simboliche della medicina. Altro non vi è all’orizzonte nemmeno in presenza di dati del consumo che dovrebbero interrogarci a lungo sulle risposte oggi imperanti: Sert e Comunità Terapeutiche, nella migliore delle ipotesi rappresentano una soluzione per una esigua minoranza, posto che la stragrande maggioranza di uomini e donne che consumano sostanze, non troverebbe ciò che cerca in questi servizi.
L’effetto paradossale, allora, è quello di continuare su questa strada aspettando che una parte della maggioranza diventi esigua minoranza perpetuando, all’infinito, l’immagine del consumatore come persona fragile, disperata, fallita. Perpetuando del consumatore, lo stigma più diffuso e negando che i consumatori di sostanze, legali ed illegali, non sono tutti uguali e che le loro storie prendono direzioni del tutto diverse. Concentrare l’attenzione sui nostri servizi, a partire dagli orari di apertura e la formazione degli operatori, fino ad arrivare a offerte del tutto innovative, è sempre più inderogabile. Lo dovrebbe fare il servizio pubblico ma finirà con il farlo il privato: dare una risposta a una massa enorme di consumatori abitudinari non tossicodipendenti rappresenterà una delle tante sfide del domani. Magari le stesse assicurazioni si porranno questo problema, trattando, un consumo abitudinario, come elemento di rischio che se, preso in tempo, riduce enormemente la spesa.
Ma di questo non si è parlato a Genova. Come si è parlato pochissimo dell’altra bestia nera di questo paese: la riduzione del danno. Ma di questo ha poca colpa la ministra e molta il mondo degli operatori che al pari della politica pare poco propenso al cambiamento. Che poi cambiamento non è se andiamo a recuperare una citazione di Claude Olivenstain, psichiatra, dei primi anni 70: “Non è la droga che fa il drogato ma il drogato che fa la droga”.
Abbiamo, tanti anni fa, abbracciato la prima parte della citazione e negato la seconda. Eccoci qui, 2021 a Genova, a fare lo stesso errore.
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