sabato 27 novembre 2021

Il lavoro da casa non riduce lo sfruttamento.

Quello che chiamano smartworking potrebbe ridurre le tante attività inutili che per motivi di potere vengono considerate produttive. Ma non annulla le relazioni di potere.


jacobinitalia.it Laurence Miall

Tra le tante trasformazioni dei modi di vivere delle persone dall’inizio della pandemia, nessuna ha ricevuto tanta attenzione da parte dei media quanto l’aumento del lavoro a distanza. Il World Economic Forum ha osservato che le opportunità di lavorare da remoto non sono equamente distribuite: i lavoratori ben pagati nei settori «altamente qualificati» hanno maggiori probabilità di lavorare da casa rispetto ai loro omologhi del settore dei servizi. 
Questa tendenza è così preoccupante che gli economisti sono arrivati a definirla una «bomba a orologeria per la disuguaglianza».
La stragrande maggioranza dei lavoratori non è passata al lavoro a distanza. 
Sia i dipendenti del settore dei servizi che quelli delle industrie produttive hanno, nella maggior parte dei casi, continuato a lavorare in loco. 
Nonostante ciò, una quantità sproporzionata di copertura mediatica si è concentrata sul lavoro a distanza. 
Una spiegazione forse ovvia è che le persone incaricate di scrivere sulle condizioni del posto di lavoro sono molto spesso gli stessi che lavorano a distanza. 
Meno chiaro è ciò che questo mutamento implica per le condizioni di lavoratrici e lavoratori. 
Il lavoro a distanza, come affermano i suoi sostenitori, è fonte di emancipazione o continuano a predominare le stesse forme di sfruttamento del lavoro regolare?

Il lavoro a distanza dei capi

Durante la prima ondata della pandemia, nell’aprile 2020, milioni di persone hanno scoperto per la prima volta il lavoro a distanza. Fino ad allora, un gruppo piccolo ma distribuito a livello globale godeva da anni dei vantaggi del lavoro a distanza. I sostenitori del lavoro da casa hanno sostenuto che alimenta la creatività, riduce le interruzioni indesiderate e fa risparmiare sui tempi di spostamento.

Nei casi in cui i lavoratori hanno più potere verso il loro datore di lavoro, il lavoro a distanza è in grado di mantenere le promesse formulate dai suoi apologeti. Brian Pallister, ex leader del Partito conservatore progressista del Manitoba e sostenitore di lunga data del lavoro da casa, è il manifesto delle fantasie d’élite sul lavoro a distanza. Pallister, che ha governato la provincia fino a settembre 2021, è stato ritratto da Nancy Macdonald di Maclean, che ha raccontato delle condizioni di lavoro dell’ex politico dalla sua opulenta seconda casa in Costa Rica. La casa principale di Pallister si trova in un capoluogo notoriamente freddo, Winnipeg (spesso chiamato «Winterpeg» dalla gente del posto). Macdonald è rimasta colpita da ciò che ha visto nella residenza di Pallister:

Tutto ciò che gli occorre è qui: un mezzo campo da basket per il tiro a canestro, un portico ombreggiato per leggere. La guest house è stata trasformata in una palestra, con tapis roulant e pesi. Due grandi antenne satellitari lo tengono connesso; un trasformatore assicura che possa alimentare il posto. La piscina che praticamente ignora… Quando ne ha bisogno, lui e sua moglie vanno in giro su un Land Cruiser color argento e un paio di ATV Honda.

Non sorprende che durante il suo primo mandato, dal 2016 al 2019, Pallister abbia trascorso un totale di 146 giorni in questo rifugio idilliaco. All’epoca, la sua assenza causò un piccolo scandalo. Senza farsi intimorire dalle critiche, il premier ha elencato i molti vantaggi pratici della vita lavorativa che si era scelto: «È più facile lavorare qui che a Manitoba, dove sono costantemente interrotto da riunioni», diceva Maclean’s. Le call con il suo staff lo tenevano aggiornato. Per tutto il resto, come ha detto alla giornalista, «ci sono email e Sms».

La maggior parte delle esperienze di lavoro a distanza assomigliano molto poco a quella di Pallister. Come riportato dal Washington Post, il management ha implementato sofisticate tecnologie di sorveglianza che estendono la loro portata fino alle case dei dipendenti per mantenere il controllo sulla forza lavoro a distanza. Dovremmo, ovviamente, essere cauti nel trattare queste tecnologie come nuove. Nei normali luoghi di lavoro, il potere delle aziende di sorvegliare i lavoratori riflette le dinamiche di potere tra capi e dipendenti, e lo stesso vale per i lavoratori a distanza sorvegliati.

L’ottimismo di inizio estate sulla diffusione della vaccinazione in Canada e negli Stati uniti ha spinto a pianificare la riapertura degli uffici. A luglio, scrivendo per l’Atlantic, Ed Zitron ha sostenuto che molti lavoratori e lavoratrici non vogliono tornare indietro. Secondo Zitron, il lavoro a distanza ha dimostrato che c’è un livello di gestione ormai superfluo:

Il lavoro a distanza dà potere a chi produce e toglie potere a chi ha avuto successo comportandosi da ottimo diplomatico ma da pessimo produttore, magari trovando sempre qualcuno da incolpare per i propri fallimenti. Annulla l’attitudine a fingersi produttivo (sedersi alla scrivania con l’aria stressata o essere sempre al telefono) e inoltre, fattore cruciale, può svelare quanti sono capi e manager che non contribuiscono ai profitti.

Zitron non arriva al punto di spiegarlo come farebbe un socialista – che sono i lavoratori e le lavoratrici, in quanto produttori primari di valore, a essere fondamentali – ma le sue osservazioni sono comunque utili per avviare il dibattito sul tema. I socialisti hanno concentrato la loro attenzione sul divario tra lavoratori e capitalisti. Durante la pandemia, si è manifestata un’altra divisione, forse quasi altrettanto netta: quella tra lavoratori e dirigenti. La direzione ha tradizionalmente assunto la responsabilità di coordinare il lavoro e mantenere i lavoratori in attività. Ma la maggior parte dei lavoratori e lavoratrici da remoto durante la pandemia, senza nessuno che li controllasse, ha fatto registrare un aumento della produttività. L’aumento della prevalenza del lavoro a distanza generato dalla pandemia ha ulteriormente dimostrato che gli interessi dei dirigenti, dei proprietari delle aziende e dei membri del consiglio di amministrazione – o degli amministratori locali – sono, il più delle volte, in conflitto con gli interessi dei loro dipendenti.

Lavori di merda vs. Lavori essenziali

I commenti di Zitron richiamano alla mente la serie di classificazioni di diverse forme di lavoro che il compianto David Graeber ha sviluppato nel suo classico libro Bullshit Jobs. Graeber ha presentato il caso convincente, basato in gran parte sulla sua inchiesta, dei molti impiegati stipendiati che passano le loro giornate a svolgere compiti che personalmente ritengono di poca o nessuna importanza. Questi lavori non contribuiscono alla felicità, alla salute o alla sicurezza degli altri; potrebbero anche non essere collegati in alcun modo tangibile alla creazione di profitto. Per Graeber, l’assurdità del lavoro sotto il capitalismo è talmente ingombrante che è difficile distinguerla dalla fiction. Nel 2002, un revisore dei conti a Helsinki, in Finlandia, è morto sulla sua scrivania e i suoi colleghi, non rendendosi conto che era diventato un cadavere, hanno lavorato intorno a lui per quarantotto ore. In cosa si differenziava dalla scena de Il re pallido di David Foster Wallace in cui un revisore dei conti dell’Inland Revenue Service muore alla sua scrivania ma ci vogliono giorni perché qualcuno se ne accorga?

Graeber ha sostenuto che i lavoratori possono farla franca senza fare quasi nulla solo se il loro capo può vederli. I lavoratori seduti pigramente alle loro scrivanie, chiedendosi segretamente se eliminare il proprio posto di lavoro farebbe poca o nessuna differenza per le loro organizzazioni o per il mondo in generale, stanno inconsapevolmente dimostrando la verità della teorie di Graeber.

Naturalmente, questo non significa che tutti i lavori siano stronzate. Una misura del valore di una particolare professione è chiedersi cosa accadrebbe se i lavoratori e le lavoratrici ritirassero i loro servizi: per i lavori non di merda, non ci vorrebbe molto prima che le conseguenze diventino insopportabili. Consideriamo le lavoratrici sfruttate, oberate di lavoro e sottopagate nelle case per anziani in Quebec. Nell’aprile 2020, temendo che il Covid le uccidesse o le facesse ammalare, molte di queste lavoratrici e lavoratori hanno lasciato o abbandonato le loro posizioni.

Coercizione a casa e in ufficio

Graeber cita un sondaggio secondo cui il tempo che gli impiegati statunitensi dicono di dedicare alle loro effettive mansioni è diminuito dal 46% nel 2015 al 39% nel 2016. Sembra un calo molto netto rispetto a una cifra già bassa. Il tempo non essenziale, hanno affermato gli intervistati, era riempito da risposte a e-mail, riunioni «sprecate» e attività amministrative.

Spesso intendiamo il capitalismo come un sistema economico volto a massimizzare la produttività e l’efficienza. È quindi strano pensare che all’interno delle industrie capitalistiche possano esistere posizioni la cui funzione primaria sia creare compiti inutili che non producono valore. Non dobbiamo stupirci di questa contraddizione. Questa divisione della giornata lavorativa in unità di tempo discrete piuttosto che in compiti incoraggia l’inefficienza. Una volta che la giornata è suddivisa in questo modo, il lavoro diventa meno legato alla produzione e più all’essere presenti in un determinato luogo per un determinato periodo di tempo.

Nell’era postindustriale, i fantini da tastiera dell’«economia della conoscenza» sono impegnati in compiti di Sisifo dislocati, il cui prodotto è nel migliore dei casi difficile da discernere. L’astrattezza del lavoro all’interno dell’economia della conoscenza diventa ancora più evidente rispetto ad altri settori. Gli impiegati dei negozi di alimentari, gli addetti alle pulizie delle stazioni della metropolitana, gli autisti degli autobus, i postini, gli infermieri, gli insegnanti e il personale dell’assistenza domiciliare sono tutti lavoratori e lavoratrici il cui risultato è comprensibile.

Da un lato, gli impiegati – anche se spesso salariati – sono distinti dagli operai e godono dei conseguenti vantaggi del lavoro mentale, come la possibilità di lavorare da casa. D’altra parte, il fatto che il risultato di tale lavoro sia spesso nebuloso aumenta la sensazione che il proprio tempo sul lavoro sia, di fatto, uno spreco totale di energia umana. In entrambi i casi, resta il fatto che i vantaggi del lavoro da casa sono molto limitati senza una retribuzione e benefici adeguati. Sfuggire a pendolarismi costosi e dispendiosi in termini di tempo, ad esempio, è una manna per i genitori che lavorano e che guadagnano un salario minimo senza i benefici dell’assistenza all’infanzia.

Meno attività inutili

Tuttavia, c’è motivo di credere che il lavoro a distanza possa almeno offrire una via d’uscita dallo stato di cose squallido e insignificante descritto in Bullshit Jobs. Un sondaggio Adp-Angus Reid condotto su 1.500 lavoratori e lavoratrici ha messo a confronto la vita degli intervistati nell’aprile 2020 rispetto all’aprile 2021. Ha rilevato che «nonostante lavorino per orari più lunghi, il 42% dei lavoratori e delle lavoratrici canadesi da remoto si sente più produttivo e oltre un terzo (37%) ha notato un aumento della qualità del loro lavoro». Sembra plausibile che l’aumento della produttività sia il risultato di un calo della quantità di stronzate che queste persone sono costrette a maneggiare durante una tipica giornata lavorativa.

Il rovescio della medaglia di questo cambiamento, tuttavia, è che gli intervistati e le intervistate riferiscono di lavorare più ore, di sentirsi stressati e di arrivare all’esaurimento. Oltre a ciò, i lavoratori e le lavoratrici sono costrette a sopportare livelli di sorveglianza intollerabili.

Data la varianza nelle preferenze degli stessi impiegati – circa il 40% afferma che una divisione a metà tra lavoro remoto e in presenza sarebbe la soluzione migliore – l’escamotage migliore è lasciare che siano i lavoratori e le lavoratrici a decidere ciò che vogliono. Questo sarà possibile solo quando avranno più potere sul posto di lavoro. L’aumento dei livelli di sindacalizzazione in tutti i settori sarà una componente essenziale per dare maggiore autonomia alle persone.

Il valore del lavoro è stato per troppo tempo misurato dai padroni piuttosto che dai contributi socialmente positivi forniti dal lavoro salariato. Poco prima della sua prematura scomparsa, Graeber osservò questo fatto, scrivendo che «siamo un insieme di esseri fragili che si prendono cura l’uno dell’altro, e coloro che fanno la parte del leone in questo lavoro di cura che ci tiene in vita sono sovrautilizzati, sottopagati e quotidianamente umiliati». Fino a quando la struttura di base delle gerarchie del posto di lavoro basate sulla produzione capitalista non sarà superata, i lavoratori e le lavoratrici a distanza subiranno le stesse privazioni dei loro compagni e delle loro compagne, da casa e in ufficio.

*Laurence Miall ha scritto Blind Spot (Newest Press) e collabora con diversi giornali canadesi. Vive a Edmonton, in Alberta. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.

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