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Di Enrica Perucchietti
Il settore della beneficenza è una delle industrie in più rapida crescita nell’economia globale: quasi la metà delle oltre 85.000 fondazioni private negli Stati Uniti è nata negli ultimi due decenni. Questo pullulare di organizzazioni filantropiche ha contribuito a creare un mondo in cui i miliardari esercitano più potere che mai sulla politica dell’istruzione, sull’agricoltura e sulla salute pubblica. Una ristretta classe di miliardari si è così ritagliata una nuova immagine, ai limiti della santità, grazie alla “filosofia del dono”, in campo sanitario o di contrasto alla povertà[1].
La filantropia – non certo le donazioni che avvengono in forma anonima e senza doppi fini – può essere intesa come una strategia volta a garantire ai potenti un’aura di apparente estraneità ai giochi di potere. Ci troviamo di fronte a uno stratagemma portato avanti dalle élite per perseguire e legittimare i propri obiettivi materiali, spianando la strada a politiche per tutelare i propri interessi economici ed espanderli anche oltre i confini nazionali.
Attraverso le loro fondazioni, i protagonisti della filantropia contemporanea hanno iniziato a esercitare un’influenza sempre più determinante sull’agenda delle Nazioni Unite e sull’oms, ricavandone benefici e ritagliandosi una vera e propria egemonia su queste, divenendo più influenti degli stessi governi e arrivando a dettare politiche sociali, economiche e sanitarie.
La figura del moderno filantropo non offre però una soluzione concreta alla lotta contro la povertà e all’ingiustizia sociale, al contrario, al di là della sua cornice buonista e politicamente corretta, ne incarna semmai la causa, rappresentando semmai la degenerazione di quel sistema globale basato sull’accumulazione delle risorse, come spiega Lynn McGoey in Altro che Filantropi. Gli interessi della fondazione Bill & Melinda Gates: come la carità è diventata un grande affare (Arianna Editrice).
Rapporto di Navdanya International: “Gates to a Global Empire”, L’impero filantro-capitalista di Bill Gates mette in gioco il futuro del nostro pianeta
A capeggiare da anni il cosiddetto “filantrocapitalismo” è Bill Gates, il cui nome è stato centrale durante la pandemia: negli ultimi decenni non è esistito un altro personaggio capace di indirizzare in maniera così determinante il dibattito pubblico mondiale sulla filantropia.
Non c’è un settore su cui Gates non metta becco, decretando le linee guida da adottare: dal business della carne sintetica[2] alle politiche sulla denatalità. Grazie alla sua fondazione, la Bill & Melinda Gates (che vanta un patrimonio da 40 miliardi di dollari), il fondatore di Microsoft, neomalthusiano convinto, ha esteso il suo raggio di azione dall’educazione alla salute, fino ai programmi contro la fame in Africa. Il miliardario adotta però lo stesso approccio monopolistico esercitato con Microsoft: grazie alla sua fondazione, ha iniziato a creare partnership pubblico-private per la ricerca e la produzione di vaccini, in particolare per le malattie che colpiscono i poveri della Terra. Questa rete gli ha permesso di iniziare a relazionarsi con la comunità scientifica, le organizzazioni non governative e le istituzioni internazionali.
Se sono ormai arcinote le sue ingerenze in questi settori, oggi si scopre che Gates ha finanziato in maniera silenziosa anche decine e decine di mass media, organizzazioni e associazioni giornalistiche, corsi di giornalismo investigativo e Università al fine di spingere la narrazione a lui gradita e plasmare l’opinione pubblica sui temi a lui cari.
Come riporta Michele Manfrin per L’Indipendente,
«setacciando oltre 30.000 sovvenzioni presenti nel database della Fondazione, MintPress è riuscita a rintracciare un totale di 319 milioni di dollari in contributi diretti. Nella lista dei mass media finanziati direttamente da Gates tramite la BMGF troviamo CNN, NBC, NPR, PBS e The Atlantic negli USA, poi BBC, The Guardian, The Financial Times e The Daily Telegraph nel Regno Unito. Troviamo anche la francese Le Monde, la tedesca Der Spiegel, la spagnola El País e l’emittente araba Al-Jazeera.
Inoltre, Bill Gates ha finanziato anche centri di formazione di giornalismo investigativo come International Center for Journalists, The Pulitzer Center for Crisis Reporting, Center for Investigative Reporting, The Bureau of Investigative Journalism, Institute for Advanced Journalism Studies e Global Forum for Media Development. Non solo. Il “filantropo” ha anche dato soldi ad associazioni di stampa e giornalismo tra cui National Newspaper Publishers Association, Education Writers Association, American Society of News Editors Foundation, Washington News Council, Reporters Committee for Freedom of the Press. Tramite l’istituzione di borse di studio, workshop e corsi appositi, Gates ha formato giornalisti pagando loro l’istruzione presso università quali la Johns Hopkins o la Columbia».
Così facendo l’influenza dei filantropi sta investendo ogni settore, dall’educazione alla salute, dalle politiche sociali all’agricoltura, toccando persino l’informazione, inserendosi nel dibattito sulle fake news e arrivando a finanziare progetti legati al fact-checking volti di fatto a consolidare la narrativa pandemica, creare una informazione certificata e a legittimare la censura[3].
Il caso di Gates non è infatti isolato. Dopo essersi concentrato sulla condanna di “informazioni false e fuorvianti” che a suo dire proliferano esclusivamente online, George Soros ha infatti deciso di investire in una nuova iniziativa per combattere le fake news. Insieme a Reid Hoffman, cofondatore di LinkedIn, ha investito nel progetto “Good Information”, nuova società che ha come obiettivo quello di sostenere le società dei media nella lotta alla disinformazione. Good Information mira a finanziare e sostenere realtà che fanno fact-checking, così come le redazioni locali. Oltre a Hoffman e Soros, nel progetto sono coinvolti anche Ken e Jen Duda e il fondo Incite Ventures.
Il gruppo sarà guidato da Tara McGowan, ex stratega democratica che in precedenza gestiva un’organizzazione no-profit progressista chiamata acronym e nelle scorse elezioni ha organizzato una campagna contro Donald Trump. Inutile ricordare che Soros ha partecipato attivamente alle ultime campagne presidenziali, inondando di soldi i candidati democratici: solo nel 2020 ha investito quasi 50 milioni di dollari per sostenere Joe Biden, soldi fatti arrivare attraverso la rete Democracy pac.
E già a questo punto potrebbe sorgere il vago sospetto che l’obiettività politica della piattaforma sia solo un miraggio… La “buona informazione” che piace a questi personaggi, infatti, è quella che fa da cassa di risonanza alla propaganda, che esalta i “filantropocapitalisti” ed è volta a rafforzare il catechismo del pensiero unico e a contrastare il dissenso.
Ormai a livello globale, la lotta contro la lotta contro le fake news è diventata un grimaldello per scardinare la libertà di informazione ed espressione, oscurando il confronto che dovrebbe essere basilare in democrazia. I padroni delle idee, invece, sono in prima linea per indottrinare le masse e inculcare la loro visione della realtà, in modo da garantire “orwellianamente” la propria infallibilità.
Cfr. N. Dentico, Ricchi e buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo, 2020 Emi. ↑
https://enricaperucchietti.blog/2021/02/19/dalla-carne-sintetica-di-bill-gates-alla-moda-di-mangiare-insetti/ ↑
Cfr. E. Perucchietti, Fake news 4d, Come il potere controlla i media e censura l’informazione indipendente per ottenere il consenso, Ediz. Ampliata, Arianna Editrice, 20210 Cesena. ↑
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