Dopo il sì dell’Europarlamento, la partita si gioca Paese per Paese sull’utilizzo dei fondi per l’agricoltura.
Il via libera del Parlamento europeo alla nuova Pac, la politica agricola comune che muove quasi un terzo del bilancio europeo, ha chiuso il primo tempo di una partita molto combattuta. Il sì è passato con il 65% dei voti e l’opposizione accanita dei Verdi (“è uno schiaffo al pianeta e ai piccoli agricoltori”) e delle associazioni ambientaliste. Per Simona Savini, di Greenpeace, “il testo approvato avvantaggia solo le aziende più grandi e più inquinanti, taglia fuori i piccoli agricoltori e non fa nulla per affrontare il terribile impatto dell’agricoltura industriale sull’ambiente e sulla salute delle persone”.
Positivo invece il giudizio di Paolo De Castro, eurodeputato del Partito democratico e vicepresidente della commissione Agricoltura del Parlamento europeo: “Avremmo potuto fare di più, ma siamo soddisfatti del risultato: misure ecologiche, maggiore competitività, sostegno ai giovani e alle piccole imprese, tutela dei lavoratori, punti forti della riforma che stavamo tutti attendendo.In realtà, durante il lungo muro contro muro che ha visto i due schieramenti contrapporsi nell’Europarlamento, nessuna delle due parti ha ceduto di un millimetro. Il tentativo di mediazione del vicepresidente della Commissione, Franz Tiemmermans, che ha cercato fino all’ultimo di evitare che l’80% dei fondi andasse al 20% degli operatori del settore agricolo , è fallito.
Sull’agricoltura in sostanza la Ue ha scelto un doppio registro. Da un lato ci sono la Commissione che sostiene il Green Deal e la strategia Farm to Fork (entro il 2030 dimezzare l’uso dei pesticidi e arrivare al 25% di campi bio). E la Corte dei Conti che ha bocciato la vecchia Pac affermando che ha speso più di 100 miliardi di euro senza riuscire a far diminuire le emissioni serra prodotte dall’agricoltura. Dall’altro c’è la maggioranza del Parlamento che ha votato la nuova Politica agricola comune che riprende alcuni dei punti criticati nella vecchia PacAdesso però si apre il secondo tempo della partita in cui si misurerà l’effetto concreto della nuova Pac. I Paesi europei devono preparare i Piani strategici nazionali per utilizzare i fondi a disposizione e c’è un margine discrezionale che permette di riaprire i giochi. Per l’Italia si tratta di 50 miliardi di euro distribuiti nel periodo 2023 – 2027. Sono soldi che serviranno a frenare l’emorragia di giovani che abbandonano l’agricoltura? Che ruolo avranno le tecniche dell’agrobiologia, che sono quelle più adatte ad aumentare la capacità del terreno di assorbire carbonio sottraendolo all’atmosfera e dunque riducendo la crisi climatica?
Secondo il Wwf, “nelle decisioni politiche e nella programmazione nazionale della futura Pac l’agricoltura biologica è la Cenerentola di turno, con preoccupanti lacune e inadempienze nell’attuazione delle direttive comunitarie”. Anche per la Legambiente bisogna correre ai ripari: ieri al Forum nazionale sull’agroecologia circolare organizzato dall’associazione ambientalista è stata lanciata la road map sull’agroecologia al 2030. Una strategia che ha al centro quattro temi chiave: sostenibilità ambientale delle filiere, innovazione, ricerca, cura del territorio.
Legambiente, Wwf e Slow Food chiedono inoltre di approvare al più presto la legge sul biologico, ancora ferma alla Camera, e il nuovo Piano nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari.
In realtà la posizione dell’Italia nel campo del bio al momento è ottima: a livello mondiale è tra i 10 maggiori produttori di cibo biologico, in Europa si colloca al primo posto per numero di occupati nel settore con 80.000 operatori biologici e 2 milioni di ettari (il 15,8% della superficie agricola rispetto all’8,1% della media europea). Non solo: dal 2010, la superficie coltivata ad agricoltura biologica nel nostro Paese è aumentata di oltre il 79%, il numero degli operatori di oltre il 69% e il fatturato 2020 ha raggiunto i 6,9 miliardi, di cui 4,3 miliardi relativi al mercato interno, più che raddoppiato negli ultimi 10 anni.
Ma in Europa la concorrenza sta guadagnando terreno. E la pressione è destinata a crescere perché il ciclo di produzione del cibo è responsabile di circa un terzo delle emissioni serra e sarà difficile rispettare il traguardo indicato da Cop26 senza interventi radicali in questo settore. “Per reagire in modo efficace occorre sanare due criticità”, propone Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente. “La prima è l’abbandono delle terre coltivate: in Italia sono stati persi 5,4 milioni di ettari negli ultimi 20 anni, è la superficie di Liguria, Piemonte e Lombardia messe insieme. La seconda è la mancanza di giovani: in Europa, il 56% degli agricoltori ha più di 55 anni, solo il 6% ne ha meno di 35. L’agricoltura è un settore strategico, da qui passa il nostro futuro e quello delle generazioni che verranno: serve un cambiamento profondo
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