I 27 leader Ue d'accordo sulla "dimensione esterna", ma per un piano per l'Africa tocca aspettare l'autunno. Tra qualche settimana il rinnovo dell'intesa con la Turchia.
Dieci minuti. Il tempo necessario per adottare la bozza di conclusioni finali senza modifiche e soprattutto senza dibattito tra i 27 leader. È questo il tempo che il Consiglio Europeo riunito a Bruxelles dedica al tema dell’immigrazione, argomento che Mario Draghi e lo spagnolo Pedro Sanchez hanno voluto fosse inserito nell’agenda di quest’ultimo vertice prima della pausa estiva. All’inizio della discussione che poi non c’è stata, il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel chiede a Draghi se voglia intervenire. Il capo del governo dice che non ha nulla da aggiungere alla bozza di conclusioni preparata prima del vertice, a valle del bilaterale con Angela Merkel a Berlino lunedì scorso e dei contatti intercorsi con Bruxelles. E così, all’Europa building, dove si tiene il summit, il dossier migranti diventa una sorta di parentesi tra la lunga discussione sul covid, che apre i lavori, e la discussione sulla legge ungherese anti-Lgbtqi, con una sorta di ‘processo’ a Viktor Orban ancora in corso mentre scriviamo.
Le conclusioni, come anticipavamo nei giorni scorsi, si concentrano sulla necessità di “intensificare i partenariati e la cooperazione con i paesi d’origine e transito, come parte integrante dell’azione esterna dell’Unione Europea”, promettono un “approccio pragmatico, flessibile e su misura”, invitano la Commissione Europea a presentare “piani d’azione per i paesi prioritari di origine e transito nell’autunno 2021, con obiettivi chiari, ulteriori misure di sostegno e tempistiche concrete”. Come previsto, nel testo non si parla di redistribuzione degli arrivi dal nord Africa negli altri paesi europei. Come previsto, il capitolo Turchia, vale a dire il rinnovo dell’accordo con Erdogan per frenare i flussi dai Balcani diretti prevalentemente in Germania, viene affrontato come argomento a parte, a cena, con l’invito alla Commissione a presentare una proposta concreta subito, nel giro di poche settimane.
Due pesi, due misure, dettate anche dal fatto che mentre per gli accordi per frenare le rotte africane si scontrano con l’instabilità dei governi interessati, a partire dalla Libia, l’intesa con Erdogan, voluta da Angela Merkel dopo l’emergenza migranti del 2015, si poggia su più solide basi: la stabilità del governo di Ankara e anche il fatto che si tratta di un patto già fatto, solo da rinnovare. È anche per questo, oltre che per il pressing tedesco, che il dossier seguirà un binario più veloce: potrebbe essere approvato dal Parlamento europeo entro luglio. La Commissione infatti ha già preparato un documento con le cifre per il nuovo patto sull’immigrazione da oriente. C’è un totale di 5,7 miliardi di euro che andranno suddivisi così: 3,5 alla Turchia, 2,2 tra Siria, Libano, Giordania.
Eppure, il testo delle conclusioni finali adottate dal vertice europeo sottolinea che si dovrebbero “affrontare tutte le rotte e basarsi su un approccio globale, affrontando le cause profonde, sostenendo i rifugiati e gli sfollati nella regione, sviluppando capacità di gestione della migrazione, sradicando il contrabbando e la tratta, rafforzando il controllo delle frontiere, cooperando in materia di ricerca e soccorso, affrontando la migrazione legale nel rispetto delle competenze nazionali e garantendo il rimpatrio e la riammissione”.
Ma le rotte dall’Africa, si sa, sono più complicate da gestire. Nemmeno questo summit trova una soluzione, ma rinvia il dossier all’autunno, quando Ursula von der Leyen presenterà la sua proposta che dovrebbe riservare il 10 per cento delle risorse del nuovo fondo ‘Ndici’ (Neighbourhood, Development and International Cooperation Instrument) all’immigrazione. Si parla di quasi 8 miliardi di euro (il fondo poggia su un totale di circa 80 miliardi). I circa 6 miliardi per l’immigrazione da est non verranno presi tutti da qui: il piano della Commissione è di riorganizzare tutto il bilancio dedicato al tema, ragion per cui non si conoscono ancora esattamente le cifre che verranno dedicate all’Africa e sarebbero effettivamente pochi i 2 miliardi che resterebbero dal Ndici se le risorse per le rotte orientali fossero attinte solo da questo fondo. Di questo si rendono conto anche in Commissione, si apprende.
In attesa della proposta von der Leyen, i leader non hanno ancora stabilito una data per una nuova discussione sull’immigrazione nei prossimi sei mesi. L’assaggino di oggi è servito a riportare il dossier nel menu del Consiglio Europeo, cosa che non succedeva dal 2018. Ma ha solo aperto una strada, senza toccare il tema delle riallocazioni di chi arriva sulle coste mediterranee. Tema “ancora divisivo”, riconosce anche Draghi.
“Sebbene le misure adottate dall’UE e dagli Stati membri abbiano ridotto i flussi irregolari complessivi negli ultimi anni, gli sviluppi su alcune rotte destano serie preoccupazioni e richiedono una vigilanza continua e un’azione urgente”, è il massimo concesso dal testo adottato dai 27. Nessuno dei leader prende la parola per intervenire.
Insoddisfatto il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, sebbene riconosca che “il rinnovo dell’accordo con Erdogan sui rifugiati siriani è una priorità”. “Il Parlamento non vuole accontentarsi - dice Sassoli in conferenza stampa dopo il tradizionale discorso ai leader - il Parlamento sta lavorando alle misure del nuovo Patto sull’immigrazione”, presentato dalla Commissione europea a giugno ma mai discusso in Consiglio europeo, nemmeno oggi. Si tratta di un piano che chiede ai paesi membri di mostrare solidarietà agli Stati di frontiera nell’accoglienza dei profughi, in alternativa devono occuparsi dei rimpatri: non è un meccanismo obbligatorio ma è già qualcosa. “Siamo pronti a negoziare, la materia è sensibile e ne capiamo le ragioni, ma non è accettabile moralmente che il dossier sia legate alle vicende elettorali degli Stati membri. Ci viene sempre ricordato che questo non è il momento perché impatta sulle campagna elettorali, quanto tempo è che lo sentiamo? Io penso non sia più accettabile”.
Però è la realtà. La campagna elettorale tedesca in vista delle elezioni di settembre blocca la discussione non solo sulle rotte africane dell’immigrazione, ma anche sull’unione bancaria per esempio, anche questo tema è rinviato all’autunno. E nella primavera del 2022 ci sono le presidenziali in Francia. Nel frattempo però il dossier si complica, nuove emergenze crescono.
Il presidente lituano Gitanas Nausėda arriva al Consiglio con dichiarazioni di fuoco contro la Bielorussia. “Sappiamo che Minsk è piena di iraniani, iracheni, siriani che aspettano che Lukashenko apra i confini per mandarli in Europa - dice - Noi abbiamo proposto sanzioni contro la Bielorussia per fermare un regime che sta diventando sempre più cinico e brutale”. In altre parole, Nausėda parla di ricatto, da parte di uno Stato terzo verso l’Europa. Un po’ quello che è successo tra Marocco e Spagna nelle enclave spagnole di Ceuta e Melilla a maggio, con la mossa del governo di Rabat di aprire i confini in ritorsione contro Madrid. Un po’ come succede con Erdogan e le rotte balcaniche e magari anche con i libici, solo che in questi casi il ricatto è meno dichiarato.
Complicazioni che si intrecciano con il dibattito sui rapporti con la Russia (che i leader affrontano a cena), sia per la sua presenza in Libia che per le relazioni di Putin con Lukashenko. Ma resta ferma la volontà di Francia e Germania di organizzare un summit Ue-Russia in autunno. “Perchè non possiamo assistere inermi al dialogo tra Usa e Mosca”, spiega il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, d’accordo con Merkel e Macron. Sulla stessa linea anche Draghi.
“La posizione europea deve rimanere unita e
ferma nei confronti della Russia”, dice il premier. C’è bisogno di
cooperare dove possibile, ma mantenere estrema franchezza su temi come
la violazione dei diritti, limitazioni delle libertà e le interferenze
nel funzionamento delle istituzioni democratiche, senza tagliare tutti i
canali di comunicazione con Mosca. Draghi comunica dunque la
disponibilità italiana a sostenere la proposta franco-tedesca di
revisione dei formati d’incontro con Mosca. Contrari i paesi dell’est e
l’olandese Mark Rutte: “Ok se i due presidenti dell’Ue (von der Leyen e
Michel, ndr.) incontrano Putin, ma io non parteciperò a un summit Ue con
la Russia”.
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