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Era il 2011 e quando uscì fece discutere molto. Parliamo del libro dell’economista Dani Rodrik La globalizzazione intelligente. Esso conteneva, riferendosi all’economia-mondo, il paradigma che sarà poi noto come TRILEMMA DI RODRIK.
Per chi come noi partecipò alla fondazione del Movimento Popolare di Liberazione (MPL) e alla Sinistra contro l’euro, rappresentò una conferma decisiva della reale natura dell’Unione europea (laboratorio avanzato dell’esperimento mondialista) e del perché fosse necessario impugnare l’obbiettivo della sovranità nazionale.
Ma andiamo con ordine. Il Paradigma di Rodrik è alquanto semplice: democrazia, autodeterminazione nazionale e globalizzazione economica non possono procedere assieme. Rodrik scriveva testualmente:
«Se vogliamo far progredire la globalizzazione dobbiamo rinunciare o allo Stato-nazione o alla democrazia politica. Se vogliamo difendere ed estendere la democrazia, dovremo scegliere tra lo Stato-nazione e l’integrazione economica internazionale. E se vogliamo conservare lo Stato-nazione e l’autodeterminazione dovremo scegliere fra potenziare la democrazia e potenziare la globalizzazione».
La chiave di volta del ragionamento di Rodrik era alquanto semplice: la globalizzazione economica, per sua natura, è disruptive, procede implacabilmente quella che viene chiamata “distruzione creativa, in nome della competitività selvaggia distrugge i settori economici meno “performanti”, favorisce una gigantesca concentrazione a vantaggio delle corporation di peso mondiale, crea enormi diseguaglianze sociali e quindi fratture e conflitti destabilizzanti nelle diverse nazioni. Rodrik concludeva col pronostico che la maggior parte dei paesi non avrebbe rinunciato alla sovranità nazionale, anzitutto non avrebbero accettato di essere travolti dalla iper-globalizzazione mega-stati come la Cina, la Russia, l’India, e nemmeno gli Stati Uniti e l’Unione europea.
A noi pare non ci siamo dubbi sul fato che Rodrik avesse visto giusto. La trionfante marcia verso la iper-globalizzazione pilotata delle élite mondialiste ha subito negli ultimi anni una marcia d’arresto: di qui l’ascesa di Trump negli Stati Uniti, l’uscita del Regno Unito dalla Ue, le politiche assertive di Pechino e Mosca (di cui le nuove tensioni geopolitiche).
La globalizzazione è dunque passata a miglior vita? Le élite mondialiste sono state definitivamente sconfitte e battono in ritirata?
La risposta è no. Il mondo è ancora un campo di battaglia tra le forze globaliste e antiglobaliste, l’esito è ancora aperto. E qui veniamo alla pandemia, al Grande Reset e alle sorti dell’Unione europea.
La pandemia ha segnato un momentaneo vantaggio per l’élite mondialista. Forte del suo peso economico e finanziario, padrona e monopolista dei potenti mezzi della comunicazione globale, avendo al suo servizio eserciti di politici, intellettuali e scienziati, ha potuto e saputo usare lo shock pandemico come letale arma per spingere alla ritirata tattica i suoi avversari (vedi la sconfitta di Trump) costringendo stati e potenze recalcitranti ad allinearsi alla narrazione che solo con la cooperazione e la collaborazione globale si può far fronte alla “emergenza planetaria” e alla apocalittica epoca di devastanti pandemie future.
Per quanto concerne il Grande Reset, posto che esso è abbracciato da frazioni del super-capitalismo globale (tra cui quelle che amministrano enormi corporation industriali nonché gestiscono il grosso della finanza predatoria, e che dunque possono decidere il bello e cattivo tempo pretendendo di mettere anche gli stati-potenza con le spalle al muro), esso consiste, in estrema sintesi, nella prospettiva distopica di un governo tecnocratico mondiale.
L’Unione europea è per lorsignori un banco di prova decisivo essendo la punta avanzata della loro strategia di avanzamento verso il governo tecnocratico mondiale. Qui in Europa si deve infatti dimostrare la fattibilità del loro progetto storico, quello di ottenere il graduale deperimento degli stati-nazione per lasciare posto ad un governo tecnocratico sovra-nazionale — e siccome Rodrik aveva visto giusto, con tanto di definitiva eliminazione della democrazia e del suo patrimonio di diritti sociali e civili.
Se inseriamo il particolare nel generale riusciamo quindi a capire perché Mario Draghi sia assurto a capo del governo in Italia: è stato messo lì per evitare che col deragliamento dell’Italia salti per sempre l’Unione europea. Draghi non è infatti un banale fantoccio politico dell’élite mondialista, egli essendo uno dei massimi esponenti di quella consorteria. Con lui l’élite ha così deciso di prendere in mano direttamente le redini del nostro Paese, togliendole a politicanti litigiosi, pasticcioni e recalcitranti.
Ciò a dimostrazione che se l’Unione europea è un banco di prova in cui si decide la sorte del successo dell’operazione del Grande Reset, l’Italia resta il punto dove un fatale corto circuito potrebbe far saltare il banco.
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