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Dopo anni di terrorismo, il debito pubblico, come per miracolo, con l’emergenza covid ha smesso di essere un tabù.
Fino ad un anno fa veniva considerato come il male assoluto. Il pareggio
di bilancio, di contro, veniva considerata la soluzione. Ma l’argine
alla spesa pubblica brutta è cattiva si è rivelato un boomerang, visto
che con i tagli ci abbiamo rimesso la sanità pubblica.
Debito pubblico, quello che prima ci dicevano era impossibile
oggi viene ritenuto necessario
Ci siamo chiesti spesso perché il debito pubblico non fosse ritenuto solo un fattore contabile necessario a far funzionare l’economia, anche quando al posto di scarsità di posti letto nelle sale di rianimazione o di scorte di medicinali ed esperti (veri) capaci di individuare le cure più adatte all’emergenza, che fossero stati formati da Università all’avanguardia, vedevamo la deflazione salariale galoppare, la disoccupazione raggiungere soglie insostenibili e l’emergenza idrogeologica e la fattiscenza delle infrastrutture stradali mietere vittime.
Sulle cause del debito pubblico; quel macigno che ci dicevano avrebbe schiacciato le future generazioni (senza occuparsi minimamente delle generazioni attuali, schiacciate dal peso della scarsità), si è detto tutto.
Il libro di economia spiegata facile ne ha svelato le mille sfaccettature ed ha individuato tutti i veri responsabili.
Nonostante ciò nell’immaginario collettivo i colpevoli continuano ad
essere politici di questo e quel partito, di questa o di quella
Repubblica, ma quasi nessuno ne conosce i veri motivi.
Da una parte e dall’altra della tifoseria, non facciamo distinzioni.
Alle cause mitologiche come quella degli sprechi (certamente vera almeno
in piccola parte), sventolata dai rigoristi, si aggiunge quella
fantascientifica: perché abbiamo vissuto al di sopra delle nostre
possibilità.
Tralasciando quest’ultima per ovvi motivi di decenza intellettuale, vi sono quelle che vengono sbandierate dalla curva opposta.
Il debito causato dai derivati di Mario Draghi
Una di queste fa capo ai derivati di cui Mario Draghi è tra i responsabili.
Cosa sono i derivati?
Spiegati nel modo più comprensibile, i derivati sono delle scommesse che
si basano sulla possibilità che determinati eventi possano avere luogo
oppure no.
Negli anni 90, quando Mario Draghi era al ministero del tesoro, l’Italia accese numerosi derivati sul proprio debito. I
dati a nostra disposizione indicano che fino al 2015 l’Italia era esposta in derivati sui Titoli pubblici per 163 miliardi.
La scommessa di Draghi era che con l’ingresso dell’Italia nell’euro saremmo andati incontro ad un aumento dell’inflazione.
Dato che invece accadde l’esatto opposto, l’Italia si trovò a dover
pagare… il suo debito di gioco con i mercati contro cui aveva perso la
sua scommessa.
Per comprendere meglio come funziona il meccanismo osserviamo questa pagina tratta dal libro di economia spiegata facile:
Su quei 163 miliardi in derivati acquistati dallo stato, le
perdite sono state di 37 miliardi. Circa l’importo del MES senza dover
restituire un centesimo di interessi e con la possibilità di spenderli
come più ci piace.
Il debito pubblico ha a che fare con la cessione di sovranità monetaria?
La teoria sovranista secondo cui ogni problema economico e finanziario italiano è dovuto alla cessione della sovranità monetaria è un tema talmente ridondante da avrer perso credibilità, perché sembra essere diventata l’unica scusante per tutte le sfortune dell’Italia.
Forse anche per questo i fans del liberismo riescono a sminuirne la validità. Tuttavia siamo certi che nemmeno i più attenti ne abbiano afferrato bene l’importanza.
Tra le principali cause del debito pubblico c’è la
celeberrima cessione della sovranità monetaria avvenuta con la decisione
di fare il fatidico “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia sul finire
del 1981.
Anche nel libro di economia spiegata facile
spieghiamo nei minimi dettagli chi e perché decise di cedere buona
parte della sovranità monetaria ai mercati, tornare su questo punto è
necessario per comprendere anche come questa decisione si incastra con
gli eventi storici dell’epoca e gettano le fondamenta per il debito
attuale.
I grafici d’annata non tradiscono incertezze, lo sappiamo benissimo, eccone una rappresentazione tratta dal libro di economia spiegata facile:
Dove comincia il problema dell’esplosione del debito pubblico?
Fin qui nulla di così nuovo, ma non basta un semplice dato a darci tutte le risposte.
Prima di emettere giudizi occorre capire perché la curva del debito,
dopo i ’70 continua a salire solo in Italia, mentre nel resto del mondo
tornerà alla “normalità”.
Infatti c’è una causa, che precede e si lega al “divorzio”, di cui
raramente si trova traccia nei resoconti e nelle analisi economiche
odierne.
La molla che fa scattare la trappola del debito che negli anni successivi sfuggirà dal controllo di ministeri economici, economisti e politici si deve ad un marchiano errore strategico e previsionale della classe politica di metà, fine anni settanta.
Che sia stato fatto in malafede o meno, per miopia o per sottostare ad oscure trame cospiratorie, non è interesse di chi scrive fare dietrologia o complottismo. Ognuno si tenga la sua opinione.
Ciò che ci interessa è rendicontare i fatti, metterli in relazione ai fatti successivi secondo il principio di causa/effetto, e lasciare al lettore le sue opinioni, purché suffragate da elementi oggettivi.
Ciò che molti citano è la famigerata inflazione a doppia cifra che
caratterizzò gli anni ottanta. Come per i tedeschi è il mito di Weimar,
(vedi alle fonti a fine articolo) così è per gli italiani quel periodo.
L’unica differenza è che nella convizione collettiva, il “peccato”
dell’impennata dell’inflazione viene spostata al decennio successivo e
spesso contribuisce a confondere gli italiani con il boom della spesa
pubblica.
Il mito degli investimenti stranieri e il boom dell’inflazione. Ecco la prima causa dell’attuale debito pubblico italiano.
In verità la miccia del debito pubblico e dell’inflazione a due cifre viene accesa quando nel resto del mondo iniziano a placarsi gli effetti della crisi petrolifera di quegli anni.
L’inflazione infatti era esplosa in tutto il mondo a causa della crisi petrolifera. Nell’ottobre 1973, la guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur (6-25 ottobre) portò all’embargo decretato dall’OPEC.
Ciò causò un ovvio calo degli approvvigionamenti ed un corrispondente
boom dei prezzi sui carburanti per la mobilità, per la produzione e in
generale dell’energia, oltre che delle materie prime legate al petrolio.
Da qui l’esplosione dei prezzi, ovvero dell’inflazione.
È questo l’anno delle prime domeniche a piedi, atte non a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle questioni climatiche, ma a centellinare i consumi nazionali.
Ma se al termine delle tensioni nel resto del mondo l’inflazione fu placata dalla ripresa delle esportazioni da parte dell’OPEC, così non fu per l’Italia.
Perché?
Perché in concomitanza con gli elevati tassi di interesse che coincisero con l’inflazione e vice versa.
Quando si è in presenza di elevata inflazione conviene fare debiti, poiché visto che l’inflazione “si mangia” un po’ del valore del prestito, chi si indebita ha maggiore facilità nel restituirlo.
Fu così che il Ministero del Tesoro italiano in quegli anni trovò
intelligente attirare capitali stranieri (principalmente statunitensi)
offrendo alte rendite sui Titoli pubblici.
I BTP italiani vennero acquistati in grandi quantità dai fondi di investimento americani,
i quali investirono ingenti quote di fondi previdenziali, sapendo che,
alla scadenza dei Titoli, le alte rendite avrebbero garantito ottimi
guadagni ai fondi di investimento e lauti assegni ai pensionati
americani.
L’impennata della curva del debito pubblico e come è diventata inarrestabile anche oggi
Infatti, come riporta il libro di economia spiegata facile, i fondi pensione americani assorbivano i nostri Titoli di Stato che rendevano oltre il 7% depurato dal tasso di inflazione.
Quando vi parlano di attirare gli investimenti stranieri, voi vi immaginate degli industriali che vengono qui ad aprire fabbriche, a costruire il nostro futuro, ma in realtà vi parlano di questa roba qui.
Non solo; dal 1982, con il boom degli interessi (cioè delle rendite) sui titoli, avviene una fuga di capitali dalla produzione verso la speculazione anche da parte delle grandi imprese italiane.
Quando lo stato italiano inizia a finanziarsi sul mercato dei
capitali avviene il boom delle rendite e il sistema industriale cambia
politiche di investimento.
La FIAT nel 1986 fa il 55% dei suoi utili acquistanto obbligazioni. La
Olivetti addirittura il 67%. Diventa prassi nel sistema industriale
italiano, prendere grossi prestiti (da cui si deducevano anche gli
interessi dalle tasse) da destinare all’acquisto di titoli italiani
invece di investire nelle aziende.
Il debito pubblico, anziché essere utilizzato per fare investimenti sul sistema Paese, diventa fonte di profitto fine a sé stesso.
La cessione della sovranità monetaria ha spostato l’asse su cui si basava la capacità di spesa dello Stato
Con la cessione della sovranità monetaria ai mercati e le politiche sui titoli di Stato la curva del debito prende il sopravvento sui piani economici e industriali italiani e sfugge al controllo dei conti pubblici.
E considerato che questo status diventerà il modello dei decenni
successivi, quello mercantilistico in cui al predominio della finanza si
sommeranno gli effetti della globalizzazione, è piuttosto semplice
comprendere come anche le successive privatizzazioni siano state inutili
a perseguire gli obiettivi annunciati di risanamento dei conti
pubblici.
Un’evidenza che ad alcuni osservatori dell’epoca era parsa lapalissiana già all’epoca.
Infatti questa minoranza aveva previsto che con il divorzio tra Banca
d’Italia e Ministero del Tesoro, l’Italia sarebbe andata incontro alla
deindustrializzazione.
Le privatizzazioni, iniziate con il comparto bancario e
proseguito con la cessione degli asset su cui si sarebbe dovuto fondare
la conservazione della competitività dell’Italia (Telecom e IRI
soltanto per citare le principali), si sono rivelate delle svendite ed un trasferimento di monopoli di Stato nelle mani di monopoli privati.
Ecco perché l’arresto della curva del debito è inarrestabile, qualsiasi fosse la ricetta miracolosa che vi annunceranno.
Chi ha il potere di determinare chi dovrà ripagare il debito pubblico?
Perché il potere è passato dalle mani dello Stato a quelle dei
privati che hanno la missione di fare profitto lasciando allo Stato il
compito di far quadrare i conti.
I tagli alla sanità, di cui tutti ci siamo accorti con il virus cinese,
cioè quando ormai era troppo tardi dovrebbe ricordarcelo tutte le volte
che il salvatore della Patria si affaccia con la bacchetta magica sulla
soglia del panorama politico.
Pare chiaro che se da una parte il debito pubblico non è stato
inventato perché dovesse essere restituito, ma per sostenere sia gli
investimenti che per tutelare i più deboli, dall’altra non è certo
l’austerity il modo per risolvere il problema.
La monetizzazione del debito, che abbiamo più volte descritto e che
abbiamo spiegato con dovizia di particolari nel nostro libro, viene
riconosciuta ormai da quasi tutti come unica via d’uscita da questo
annoso dilemma: il debito pubblico è un bene o un male?
Esistono risposte alle tue domande sul debito?
In questo articolo abbiamo riassunto alcuni aspetti meno noti, ma che è fondale conoscere, della questione del debito pubblico.
- È difficile capire appieno il fenomeno del debito pubblico?
- Quando il debito pubblico è un problema e quando no?
- L’Italia riuscirà a ripagare il debito pubblico?
- È necessario farlo?
- È vero che il debito pubblico è un peso che viene scaricato sulle nuove generazioni?
- A chi appartiene il debito pubblico?
La lettura del libro di economia spiegata facile vi darà tutte queste e molte altre risposte estremamente semplici e comprensibili a tutti.
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