“Questa disconnessione totale della politica con la realtà sta spalancando le porte dell’Italia a una prova di massa dell’anomia, cioè a forme di disordine diffuso, a uno sviluppo molecolare del ribellismo, alla convinzione di dover fare sempre più a meno della legge e di un governo. Temo che nel prossimo futuro saremo preda della sindrome sudamericana del periodo pre-peronista”.
(di Antonello Caporale – Il Fatto Quotidiano)
Fuggire dal futuro. La diagnosi di Marco Revelli sull’Italia che verrà è infausta.
Cos’è questo Parlamento se non il risultato di una disistima totale dell’elettorato verso coloro che avevano governato il Paese nei decenni precedenti? Tanto grande la disistima e la sfiducia da far prevalere il partito di un comico su tutti gli altri, ritenendo che il comico potesse essere più capace o almeno più onesto di tutti gli altri. Cos’altro doveva accadere per allarmare tutti e convincerli a mutare abitudini, riti, esibizioni di potere sciagurato? E invece siamo qua a commentare le iniziative di un uomo politico corsaro, della sua attività demolitrice, della totale assenza di senso della misura.
Matteo Renzi è l’unico responsabile della sciagura?
Renzi è un corsaro senza coscienza pubblica. Ma il problema gravissimo è che le istituzioni non hanno mostrato, in questa dissennata vicenda, di avere gli anticorpi per tenerlo a bada. La prova che l’Italia l’è malata.
Lei cosa avrebbe sperato?
Avrei sperato che gli altri partiti, persino quelli di opposizione, avessero neutralizzato l’attività corsara di Renzi e attivato una clausola di salvaguardia collettiva. Poi alle elezioni avrebbero regolato i conti.
La politica di Renzi è anzi spesso commentata con favore e rispetto.
Leggo commenti che rilevano fondamenti di serietà in un’azione incomprensibile, di elementi di razionalità in una spericolata operazione di puro potere. Dietro questi commenti scorgo anzitutto l’ombra di potentati, come Confindustria, che non si danno pace, che vogliono a tutti i costi riguadagnare condizioni di supremazia e dettare l’agenda al governo.
È necessario però riflettere anche sulle responsabilità di Giuseppe Conte. Dove ha sbagliato, perché ha sbagliato e quando ha sbagliato.
Ha coltivato l’idea che la sua solitudine, l’essere cioè estraneo ai riti e alle piccole e grandi chiese dell’apparato politico, lo tenesse fuori dalle rogne. E poi si è sopravvalutato troppo, ecco.
L’ha fregato il personalismo, l’idea – figlia di un posizionamento sempre mediano – di poter fare tutto e anche un po’ di più?
L’ha fregato anzitutto, se possiamo dire così, l’essere giurista. Avesse avuto nozioni di sociologia dell’organizzazione avrebbe compreso che le decisioni, anche le più giuste e opportune, se non correttamente veicolate nella catena di comando non producono nulla.
Se le Asl regionali invece che vaccinare i medici elargiscono le dosi agli amici degli amici…
Tu hai un piano, ma quel piano poi non lo gestisci. Ne paghi dazio senza averne apparente colpa. Però al fondo la tua responsabilità è chiara. Come con la cassa integrazione: stanziare i soldi ma non controllare che arrivino speditamente nelle tasche di chi ha bisogno è errore esiziale.
E adesso?
Temo che rimpiangeremo il tempo del turpiloquio di Beppe Grillo, la sua capacità di contenere la rabbia sociale dentro i limiti della rappresentanza istituzionale. Perché a me un dato sembra chiaro: gli italiani proveranno ancora maggior sete di rivalsa, e utilizzeranno altre strade per confermare la propria disistima, se non avversione a questa classe dirigente.
Paventa anni di piombo?
No, quelli erano figli di una stagione iperpoliticizzata. Qui all’opposto ciascuno si sente solo e cercherà prove isolate di contestazione. Un magma sociale disperato, che la pandemia convince alla rabbia dei mille movimenti di forconi improvvisati, all’età del disordine capillare.
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