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Negli ultimi anni si è parlato sempre più di piattaforme e software liberi perché oggi sui social tradizionali le pubblicità occupano buona parte delle timeline degli utenti Facebook, Instagram o Twitter. Da un lato le sponsorizzazioni, dall’altro i nostri dati sono ormai usati da tantissimi cookie per proporci oggetti da comprare, indossare, consumare. E molti si sono stancati. Farsi un giro su Facebook è diventato uno slalom fra le campagne sponsorizzate e gli spam. Tutto è diventato un’immensa macchina per fare soldi ed è più difficile rimanere aggiornati su ciò che realmente ci interessa.
Per colmare i vuoti di quella ampia fetta di utenti che pian piano ha lasciato Facebook e cerca un orientamento più focalizzato, più attento, più sociale. Si cercava un software indipendente e decentralizzato che permettesse un’attività di free microblogging, libera da tutti i tabù e i canali di trasmissione che invece caratterizzano altri social. Ecco come nasce Mastodon.
Questa rete sociale libera è stata creata da Eugen Rochko nel 2016 ed è una federazione di istanze – per intenderci, persone, utenti, organizzazioni – interconnesse fra loro. Ogni utente di Mastodon può collegarsi a un’istanza e ospitare nel proprio nodo server. Gli utenti dei server possono interagire fra loro e fanno parte dell’ampissimo fediverse, cioè l’insieme dei server federati usati per la pubblicazione web che comunicano l’un l’altro.
Il risultato è una maggiore libertà quando si naviga e un sentimento di spiccata attenzione. Così nasce sociale.network.
Una piattaforma che si collega – grazie a Mastodon – a diverse reti e
che si avvale di ideali di tolleranza, cooperazione e solidarietà. Su
sociale.network il dibattito è continuo e costruttivo, sono messi in
risalto i temi di interesse, dalla musica all’informatica, dai tutorial
sui liberi alle immagini satiriche. Ciò che caratterizza sociale.network
(S.N.) è anche la totale assenza di pubblicità commerciali.
Abbiamo parlato con Carlo Gubitosa, co-founder di questo nuovissimo social.
Come nasce l’idea?
Nasce da Peacelink, associazione ecopacifista, e
AltraInformazione, un’associazione culturale di libri e fumetti di
impegno civile. Volevamo offrire degli spazi alternativi rispetto ai
social generalisti e costruire uno spazio coerente con i valori
culturali di non profit e volontariato. Abbiamo scelto una piattaforma
che si basasse sulle tecnologie aperte e che fosse tecnicamente più
valida di altre: per esempio, su sociale.network puoi riscrivere un
toot, mentre su Twitter non puoi riscrivere qualcosa che hai già
twittato.
Cosa cambia nel fediverse?
I nodi del fediverse permettono le comunicazioni fra siti
diversi che usano lo stesso software e anche la comunicazione da social e
software diversi. Non si tratta di sostituire Twitter con S.N., ma di
passare da un modello di reti centralizzate e orientate al profitto a un
modello sociale di comunicazione non profit basato sul software libero.
Tanti centri di interesse diffuso e nessun centro di potere dominante.
L’obiettivo del fediverse è sempre il profitto culturale di chi
partecipa.
Come funziona?
Essendo l’admin dell’istanza ho anche la responsabilità di
accogliere chi entra, cerco di produrre contenuti interessanti e
semplifico la vita a chi vuole farsi un giro nella rete libera. Su
sociale.network ci sono due flussi di notizie, quello locale (proprio
della nostra comunità, del nodo) e quello federato, che mostra ciò che
gli utenti seguono o pubblicano nel fediverse.
L’obiettivo di sociale.network?
Avere il maggior numero possibile di nodi federati fra loro.
Vogliamo dare alla comunità una finestra su un mondo di 4 milioni di
istanze senza dover sostenere i costi di un nodo centralizzato. Ogni
nodo ha dei costi contenuti e si può avviare un ambiente ricco di
biodiversità di pensiero.
E per collegarsi da cellulare?
Io personalmente uso Tusky su Android e Amaroq for Mastodon su IOS, ma ci sono anche Pawoo, Fedilab e Twidere, e tante altre ne nasceranno…
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