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Durante il periodo di emergenza sanitaria abbiamo imparato a conoscere i dpcm, i decreti del presidente del Consiglio dei ministri con cui sono stati disposti i lockdown
e le misure restrittive. Si tratta di atti amministrativi, cioè di
rango inferiore rispetto alla legge e agli atti aventi forza di legge.
Il
primo dpcm è stato quello emanato il 23 febbraio 2020. Ve lo ricordate?
Riguardava le Regioni Lombardia e Veneto e in particolare i comuni di
Codogno e di Vo’ Euganeo, dopo la scoperta del cosiddetto paziente 1.
I decreti legge che delegano i dpcm
Nello stesso giorno (il 23 febbraio) e prima del dpcm veniva emanato anche un decreto legge contenente una delega generale a tutte le autorità competenti (dunque anche al Presidente del Consiglio e al Ministro della Salute) ad adottare tutte le misure necessarie alla gestione dell’emergenza. Stiamo parlando dunque di un decreto legge che contiene una delega anche ai dpcm.
Questa procedura è compatibile con la Costituzione?
Secondo alcuni, come il giudice di Pace di Frosinone, l’avvocato Emilio Manganiello, no.
Per
introdurre norme legislative generali e astratte, valide cioè nei
confronti di tutti, nel nostro ordinamento, oltre alla legge, vi sono
anche altri due atti: il decreto legge e il decreto legislativo.
Il decreto legge,
previsto dall’articolo 77 della Costituzione, è un atto che ha la
stessa forza di legge, dunque è come se fosse una legge. Il Governo può
emanarlo in casi di urgenza, cioè quando non si può aspettare la
procedura ordinaria della legge, sicuramente più lunga. La condizione è
che in 60 giorni il decreto legge sia convertito in legge dal
Parlamento.
Il decreto legislativo è sempre un atto
del Governo, emanato però sulla base di una legge delega del Parlamento.
Ciò significa che il Parlamento fissa i principi, gli obiettivi, le
tempistiche e le indicazioni generali a cui il Governo deve poi
attenersi nel decreto legislativo. Questo strumento viene utilizzato per
demandare al Governo discipline complesse, dove è richiesto un
intervento più tecnico e specifico.
La questione sollevata alla Corte Costituzionale
Il giudice di Pace di Frosinone ha avuto quindi il dubbio che i
decreti legge di febbraio e marzo 2020 che delegano a dpcm o ad altri
atti amministrativi l’introduzione di norme generali e astratte sia
incompatibile con l’impianto della nostra Carta Costituzionale.
Per
tale motivo ha chiesto alla Corte Costituzionale di chiarire tale punto,
sollevando una questione incidentale di legittimità costituzionale.
Cosa significa questione incidentale di legittimità costituzionale?
Nel
nostro ordinamento spetta solo alla Corte Costituzionale stabilire se
una norma di legge o di un atto avente lo stesso valore di legge (come
sono i decreti legge) sia compatibile o meno con la Costituzione.
Ma come arriva una norma di dubbia legittimità costituzionale al vaglio della Corte costituzionale?
Il
cittadino non ha la possibilità di agire direttamente dinanzi alla
Corte, questo potere spetta solo al Governo, alle Regioni e alla
Province autonome.
Esiste però un controllo da parte dei giudici, che viene definito controllo diffuso di costituzionalità.
Ciò significa che durante una causa, se per deciderla è necessario
applicare proprio una norma che il giudice pensa sia illegittima, il
giudice stesso può rivolgersi alla Corte Costituzionale.
In poche
parole il giudice dice: Corte Costituzionale, per decidere questa causa,
ho necessità che tu mi dica se questa norma legislativa che devo
applicare sia compatibile o meno con la Costituzione e con i diritti e
principi in essa sanciti.
La precedente sentenza del giudice di pace
Ora, ancor prima di aver emesso tale questione di legittimità costituzionale, il giudice di Pace di Frosinone, in una sua precedenza sentenza, aveva ritenuto i dpcm illegittimi
e li aveva autonomamente disapplicati. La legge infatti glielo
consente: un giudice può semplicemente disapplicare atti amministrativi
illegittimi. In questo modo, la multa comminata a un cittadino che aveva
violato l’obbligo di spostamento durante il lockdown venne annullata
dal giudice di pace di Frosinone.
In quella sentenza era scritto che
il presidente del Consiglio dei ministri avrebbe dovuto operare con gli
strumenti previsti in Costituzione, cioè con il decreto legge e il
decreto legislativo, non attraverso dpcm.
Nel motivare la sua
decisione, il giudice di Frosinone aveva ritenuto incompatibile con la
Costituzione la limitazione di diritti costituzionali imposta tramite
dpcm.
“L’obbligo di restare a casa configura una vera e propria
limitazione della libertà personale e dunque una sanzione penale”, aveva
scritto in sentenza il giudice di Pace, “è inoltre contrario alla
Costituzione se imposto con dpcm e senza la procedura rafforzata dell’articolo 13 della Costituzione”.
Quest’ultimo
stabilisce che una sanzione penale deve essere adottata con motivato
atto dell’autorità giudiziaria e solo nei casi e nei modi previsti dalla
legge. Il legislatore e il governo non possono da soli limitare la
libertà personale, ma occorre una pronuncia di un giudice sulla base di
una previsione generale e astratta fissata dalla legge.
Manganiello aveva inoltre accolto la tesi che i dpcm non contenessero limitazioni alla libertà di circolazione. Quest’ultima, protetta dall’articolo 16 della Costituzione, può essere limitata dalla legge solo con riferimento a luoghi circoscritti. Può cioè essere impedito l’accesso a un determinato e circoscritto posto pericoloso perché infetto, ad esempio. Invece, nel momento in cui si impone alle persone un divieto generale di spostamento, come è accaduto, si rientra in una limitazione della libertà personale.
La sentenza del giudice di Pace di Busto Arstizio
Successivamente a questa sentenza, divenuta storica perché la prima
in Italia a dichiarare illegittimi i dpcm, è intervenuta un’altra
sentenza, pronunciata da un giudice di Pace di Busto Arstizio, di segno
completamente opposto. Quest’ultimo ha infatti ritenuto legittimi i dpcm
ed ormai esistente la prassi per cui i decreti leggi rinviino a dpcm o a
ordinanze ministeriali o, più in generale, ad atti amministrativi delle
autorità.
I dpcm sarebbero inoltre legittimi in quanto il loro
contenuto viene traslato nei decreti legge e questi ultimi sono
autorizzati dal Parlamento (con la conversione che abbiamo visto deve
essere fatta entro 60 giorni, ndr).
Il dubbio di legittimità costituzionale
Il giudice di Pace di Frosinone, nell’ordinanza di rimessione della
questione alla Corte costituzionale, ha invece fatto osservare che non è
così.
Non c’è infatti un’approvazione successiva dei dpcm da parte
del Parlamento. I dpcm sono emessi dal Presidente del Consiglio dei
Ministri e pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Entrano in vigore quindi
senza alcuna approvazione del Parlamento, che semmai è stato investito
di una mera “informativa” da parte del presidente del Consiglio.
Per
questi motivi il giudice di pace di Frosinone ha chiesto alla Corte
Costituzionale di pronunciarsi sulla compatibilità con la Costituzione
dei decreti legge che contengono il rinvio ai dpcm.
Visto che si
tratta di norme che incidono su principi e libertà costituzionali, la
speranza è che la pronuncia della più alta Corte del nostro ordinamento
arrivi presto, prima della fine dell’emergenza sanitaria.
Intanto la prassi di dubbia legittimità costituzionale dei dpcm è stata proseguita anche dal nuovo governo guidato da Mario Draghi.
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