martedì 4 giugno 2019

"Rapporto Bankitalia: tra aiuti alle imprese e interessi sul debito che vanno alla speculazione finanziaria, il nostro sangue va al capitale". Il Domenicale di Controlacrisi, a cura di Federico Giusti

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La relazione annuale della Banca d'Italia meriterebbe sempre una attenta lettura e discussione ma ormai non esistono gruppi di studio e libera discussione capaci di uno sforzo analitico collettivo. Soffermiamoci allora sulle Osservazioni finali del Governatore pubblicate a fine Maggio e reperibili sul sito della Banca d'Italia, dalla lettura delle stesse scaturiscono alcune riflessioni amare e controcorrenti.
Ignazio Visco (ll Governatore) riprende e sviluppa argomenti già dibattuti dalla Troika e dalla Bce focalizzando l'attenzione sulla crescita, sul debito, sulla finanza pubblica e sul rapporto dell'Italia con la Ue.
Intanto è bene non farsi illusione sulla crescita delle economie capitalistiche, dal 2009 ad oggi per il Fondo Monetario Internazionale la crescita globale perde colpi attestandosi attorno al 3,3%, un arretramento diffuso che investe oltre il 70% dell'economia mondiale. La dipendenza dalla domanda estera è un limite non indifferente per le economie della Ue, Germania inclusa.
La flessione delle industrie meccaniche, automobiliste in primis, è di per sé un fattore di crisi che alimenta le spinte verso le fusioni tra i principali gruppi per conquistare quote di mercato perdute negli ultimi anni, del resto le cifre relative alla crescita per l'Europa sono passate dalla previsione dell1.5% ad un misero 1 augurandosi di avvicinarsi al 2% nel 2020. E le industrie meccaniche italiane tra cassa integrazione, delocalizzazioni e chiusure forzate è tra i grandi malati della vecchia Europa.
L'Ue vuole abbattere il debito, contenere la inflazione e mantenere stabili i prezzi, ma deve fronteggiare i dazi Usa, la concorrenza asiatica e far fronte ad economie nazionali in grande difficoltà e non parliamo solo dei paesi Mediterranei perché la crisi ormai investe anche la Francia e la stessa Germania.
In Italia la spesa delle famiglie non cresce, i piani di investimento delle imprese hanno subito un brusco rallentamento come i processi di innovazione. In questi giorni abbiamo avuto conferma che tra i principali limiti dell'Italia troviamo la bassa intensità del lavoro, un elevato numero di part time (per lo piu' donne e giovani), i posti di lavoro creati sono per lo piu' part time, precari e sottopagati.
Se in Italia la situazione è preoccupante anche i dati di altre nazioni europee non sono da meno. tutte le previsioni di crescita si sono dimostrate errate e al ribasso. Il Governo e la Lega individuano nell'immigrazione il principale problema da affrontare ma, giorno dopo giorno, scopriamo che i flussi migratori sono il classico specchietto per le allodole ad occultare le vere motivazioni della crisi che poi riguardano le debolezze storiche del sistema capitalistico italiano.
Veniamo da anni nei quali il costo del lavoro è stato abbattuto, il potere di acquisto di salari e pensioni ridotto ai minimi termini, eppure si continua a pensare che il contenimento del costo del lavoro sia l'obiettivo da perseguire per l'uscita dalla crisi. Ma la crisi è il risultato di scelte fallimentari tra le quali annoverare gli aiuti alle imprese, l'abbattimento della spesa e del costo del lavoro con politiche salariali deprimenti che non hanno restituito alle famiglie italiane facoltà di spesa. Il circolo vizioso del contenimento del debito e le politiche di austerità sono le cause della crisi e non la soluzione del problema
I tassi di interesse pagati sul debito sono stati cosi' elevati da assorbire gran parte della ricchezza prodotta, insomma si lavora per pagare gli interessi del debito e alla fine non rimane molto da spendere per innovare, rilanciare la domanda, accrescere il potere di acquisto di salari e pensioni, costruire insomma le condizioni necessarie per la ripresa economica.
Esistono problemi strutturali dell'economia italiana che nel corso degli anni sono stati acuiti, gli aiuti alle imprese rappresentano senza dubbio uno dei problemi principali perché la tanto decantata autonomia del mercato non esiste se lo stesso mercato ha poi bisogno dello stato , dei suoi aiuti, di leggi costruite ad hoc per salvaguardare i profitti senza mai aggredire la rendita con la stessa veemenza con la quale si sono colpiti i salari e i diritti sociali. Gli aiuti alle aziende hanno alimentato i loro profitti e assai meno favorito la nascita di nuovi posti di lavoro, è questa e non altra la verità.
Sta qui la principale contraddizione, continuiamo a credere, o vogliono farci credere, che solo aiutando le imprese e abbattendo la spesa pubblica usciremo dalla crisi, Eppure la spesa per investimenti pubblici oggi corrisponde al 2% del pil, un terzo di quando accadeva 15 anni fa, in altri paesi invece non solo gli investimenti sono aumentati ma è stata anche rafforzata la capacità di scelta di selezione e assegnazione dei lavori pubblici dai quali scaturisce la ripresa economica.
Al contrario politiche di contenimento del debito o ricette di austerità hanno trovato ampi spazi nei paesi che avrebbero avuto bisogno invece di altro, sono queste scelte ad avere acuito i ritardi delle nazioni già deboli e alle prese con problemi strutturali.
I paesi in crisi sono poi quelli con minore tasso di natalità, dove non nascono i figli non c'è futuro, il nostro paese chiude le porte ai migranti ma la sua popolazione invecchia, del resto la forza lavoro che nella Pubblica amministrazione risulta la piu' anziana, e meno produttiva, nei paesi Ue.
Ritardi tecnologici, scarsa occupazione, troppi part time, mancato ricambio generazionale, insufficienti investimenti e innovazioni da parte delle imprese, pochi interventi per rilanciare la domanda, sono questi e non altri i problemi del capitalismo italiano.
Eppure la maggioranza degli elettori continua a dare credito e ascolto a quanti giudicano i flussi migratori la principale causa della crisi.
E se la falsificazione della realtà produce tragiche illusioni, a quando il risveglio dal lungo sonno delle coscienze? Saremo a quel punto capaci di individuare i problemi reali o sceglieremo facili obiettivi contro i quali scatenare la nostra rabbia?

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