Se
ci sono paesi arabi che pensano che la loro partecipazione al vertice
di Bahrain, alla fine di giugno, abbia come obiettivo di “fare la pace” e/o salvare il proprio regime dalla “rabbia degli americani“, e/o – ancora – che gli americani siano soddisfatti del loro comportamento. Questi paesi delirano o mentono a sé stessi.
Perché lo scopo del lavoro del workshop in Bahrain è solo di determinare il prezzo della vendita della Palestina e dei palestinesi. Non importa quanti miliardi, perché sono solo dollari avvelenati. Che l’amministrazione americana estorce all’Arabia Saudita, agli Emirati Arabi Uniti e alla comunità europea.
Il loro desiderio è di normalizzare e piegare il popolo palestinese, imporre collusioni agli stati vicini alla Palestina (in particolare la Giordania) e silenziare un crimine politico commesso sotto lo slogan ” prosperità economica“. Una prosperità che era attesa da molti regimi fin dall’accordo di Camp David (tra Egitto e Israele), senza risultato: ciò che si è verificato è stato un accumulo di debiti, un aumento della dipendenza e un indebolimento di ogni singolo paese del mondo arabo nel suo complesso.
L’amministrazione
del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non è riuscita a
costringere presidenti e re arabi, indipendentemente dalla posizione che
essi avevano espresso “a porte chiuse”, a sostenere un qualsiasi passo o
provvedimento di Israele – ad esempio l’annessione illegale di
Gerusalemme e del Golan, o il riconoscimento di Gerusalemme come
capitale dell’entità sionista. Per questo il governo americano è
ricorso al taglio dei finanziamenti ai palestinesi, mentre dall’altra
parte hanno prorogato la carota (sostegno economico) verso i paesi
arabi, a causa del fallimento delle loro politiche economiche e la loro
dipendenza dalle istituzioni finanziarie mondiali.
L’idea
di “pace economica” non è nuova: fu promossa dall’ex Segretario di
Stato americano George Shultz, negli anni ottanta del secolo scorso,
come catalizzatore per attirare gli stati arabi adiacenti alla Palestina
in colloqui di pace con Israele, e per vendere al popolo palestinese
l’illusione che la sua situazione economica sarebbe migliorata: tali
tentativi sono completamente falliti.Ecco la differenza fondamentale tra la squadra che ai tempi ha avuto la più grande influenza politica americana, guidata allora da Dennis Ross, e il team dell’attuale presidente Trump, sponsorizzato da Jason Greenblatt e Jared Kushner. La prima squadra ha scoperto che era necessario presentare un progetto che riconoscesse in modo formale “le aspirazioni nazionali del popolo palestinese“. In cambio questo team richiese la concessione sostanziale sui diritti legittimi del popolo palestinese, in particolare il diritto al ritorno dei profughi, l’autodeterminazione e la libertà dal controllo del progetto sionista.
Negli anni ’90, le amministrazioni americane iniziarono a vendere l’illusione di un possibile entità palestinese, sotto il titolo di “Stato palestinese”.
Invece, l’attuale squadra di Trump, il team Greenblatt-Kouchner, pensa che le condizioni politiche prospettate al popolo palestinese siano da accettare, in quanto a loro “estremamente favorevoli”.
“Non c’è spazio morale per privare un popolo dei propri diritti nel contesto della diffusione della prosperità commericale di alcune élite“, le quali devono poter imporre le proprie condizioni. Dicono quindi in modo inequivocabile che non c’è alternativa per i palestinesi se non accettare le condizioni imposte loro, se vogliono migliorare le proprie condizioni di vita e rimanere sotto l’egemonia israeliana.
Greenblatt e Kouchner parlano pubblicamente con questa arrogante logica con discorsi che rispecchiano con assoluta chiarezza la logica della colonizzazione, senza sconti o abbellimenti. L’ostilità di entrambi i team statunitensi (di allora e di oggi) per le aspirazioni nazionali palestinesi è identica: mentre la prima voleva ridurre al minimo le aspirazioni nazionali palestinesi per garantire la continuità predominante di Israele, l’attuale vede la massa di popolazione palestinese come indesiderabile. Ritiene dunque che i palestinesi dovrebbero essere grati a Trump e Israele, e accettare le condizioni che questi pongono per sperare di migliorare la loro sopravvivenza.
Così la squadra di Trump non tiene conto dell’opinione o della posizione di qualsiasi leadership palestinese, ma sta cercando di trovare una realtà araba che possa trarre benefici dalla fine dei diritti palestinesi e fare pressione sul popolo palestinese affinché si arrenda. Per questo motivo decide di vendere benessere ai paesi arabi in modo che i palestinesi rimangano soli. Questa squadra funziona senza maschere umanitarie e compassionevoli, e questo mette a nudo l’”accordo del secolo” e la falsa legittimità di ciò che era stato chiamato “decenni del processo di pace”.
Secondo la nostra opinione, non c’è spazio per qualsiasi regime arabo che cerchi di commerciare (o fare marketing) alla conferenza di Manama per la pace. Gli Stati Uniti vogliono un accordo finanziario in cui viene dichiarato che il mondo arabo abbandona qualsiasi rivendicazione, sia autentica o ipocrita, che sostenga i legittimi diritti nazionali del popolo palestinese, in cambio dell’illusione della prosperità economica.
Ciò che è importante è il proseguimento dell’Autorità e degli attori economici palestinesi nella loro posizione di boicottare la conferenza: soprattutto si ritiene necessario il sostegno della Giordania alla stessa Autorità, la coinvolga in modo pratico, nell’accettare qualsiasi ruolo che l’amministrazione degli Stati Uniti ritengono opportuno.
L’attuazione del piano americano non può avere successo senza la partecipazione giordana perché nel futuro della Cisgiordania, dopo l’annessione di Israele, della maggior parte del suo territorio e della Valle del Giordano, non c’ spazio per un ruolo amministrativo giordano, se non l’accettazione di un’amministrazione di una qualche “sicurezza” per la popolazione palestinese. In questo, mette in pericolo il regime e la stabilità della Giordania, o semplicemente impone un’autorità diretta di sicurezza israeliana, senza un ruolo per l’Autorità palestinese in Cisgiordania. Ciò richiede la presenza di un avamposto giordano in Cisgiordania e un controllo sulla popolazione, e provocherà una rabbia senza precedenti tra la maggior parte dei giordani di varia origine.
Sembra che la posizione della Giordania non sia ancora chiara, ma la credibilità della lealtà di Re Abdullah II nel respingere l’accordo del secolo potrebbe, un giorno, tramontare: rapidamente aumenterebbe la “presa di sicurezza” che gli apparati del regime hanno usato per zittire l’opposizione, e affrontare ogni dubbio con la loro voce, soprattutto dopo aver cambiato il direttore di intelligence e alti ufficiali.
La versione ufficiale trapelata cerca di minare la stabilità del regime perché “Quello che è importante è la continuazione dell’Autorità palestinese e le attività economiche palestinesi e la loro posizione di boicottggioe la conferenza. I servizi di sicurezza si rapportano con tutti con sospetto e non hanno dimostrato nulla di reale, tranne semplici insinuazioni, provenienti dall’estero, le quali non hanno voce in capitolo per quanto riguarda l’opposizion; ma hanno usato le informazioni per ricattare il regime, e il palazzo era in grado di tenere sotto controllo le voci più influenti.”
Gli sviluppi della situazione interna in Giordania e la posizione ufficiale del suo governo, sono tra i fattori più importanti, in quanto non prevedono possibilità di tensioni nel paese, o il desiderio di costruire un fronte interno per affrontare la pressione degli Stati Uniti: sembra che il palazzo avverta un costante pericolo nell’orientamento dell’opposizione e dell’Assemblea, e questo è un grande errore da parte loro.
È noto il fatto che collegare la conferenza di Manama con la speranza di inizio del periodo di prosperità economica ha rafforzato le voci isolazioniste degli uomini d’affari, sia nel Golfo che in Giordania, che chiedono la partecipazione alla conferenza di Manama con il pretesto di cercare l’interesse dei loro paesi e dei loro popoli.
Ci sono inoltre alcune voci sorprendenti provenienti dal Golfo, negli articoli sui media giordani, che abbracciano implicitamente il disimpegno della Giordania dalla causa palestinese, invitando a cogliere l’opportunità di far rivivere l’economia nazionale. Le voci fanno eco alle stesse dichiarazioni che trapelavano in Egitto alla vigilia degli Accordi di Camp David, necessarie per incoraggiare il capitale a impegnarsi in tutti gli aspetti degli insediamenti regionali sponsorizzati dagli Stati Uniti e per ingannare i segmenti poveri, soprattutto i lavoratori, della popolazione rispetto alle crisi economiche in Giordania, Palestina e altri paesi arabi.
L’Accordo di Oslo e il trattato giordano di Wadih Araba non hanno portato alcuna prosperità economica.
È importante ricordarlo, specialmente per le correnti isolazioniste che nascondono il fanatismo e il cieco nazionalismo (dello Stato o della regione) e che vedono i palestinesi e la loro causa solo come un peso politico ed economico: essi hanno trovato una possibilità di liberarsene approfittando della propaganda di Greenblatt-Kouchner, che punta a normalizzare il rapporto con Israele, volendolo far considerare da un giorno all’altro un “paese amico”.
Dal punto di vista morale non c’è modo di privare un popolo dei propri diritti, se non nel contesto del marketing e della commercializzazione della prosperità di alcune élite: questa è la filosofia con cui viene venduto il diritto dei palestinesi a Manama.
Per quanto riguarda i regimi, che devono rispettare la posizione del rifiuto, non possono non schierarsi e tenere il bastone a metà.
La conferenza di Manama è l’inizio dell’alluvione nelle concessioni.
Ogni promessa di sostegno o investimento non è altro che un vincolo in una catena permanente per nazioni e i popoli.
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