Nell’introdurre il seminario di Andrea
Genovese sull’economia circolare è necessario fare un piccolo accenno a
come la Rete dei comunisti (o le strutture e le esperienze che poi nella
RdC sono confluite) nel corso di questi anni abbia affrontato la
questione ecologica. Ovviamente tale ricostruzione è per forza di cose
lacunosa perché in più di vent’anni di riflessione e di iniziativa
politica molto del materiale è disperso in molti articoli distribuiti in
diversi periodici. Tuttavia è possibile ricostruire un atteggiamento
complessivo.
La prima cosa da dire è che la nostra organizzazione ha riconosciuto sempre l’emergenza ambientale ma ha anche evidenziato come la comunicazione deviante che caratterizza quest’ultima fase del capitalismo abbia utilizzato questo allarme per gli interessi materiali che essa serve, per distogliere l’attenzione da altre questioni più scottanti a breve e per alimentare nuove speculazioni in previsione di un aumento del business in questo comparto[1].
Perciò la battaglia delle idee su tale questione è stata qualificata da un lato dal riportare la contraddizione capitale-natura all’interno del conflitto capitale-lavoro[2] e, d’altro canto, nella critica continua e feroce a tutti i tentativi di far rientrare la politica ecologica all’interno del modo di produzione capitalistico ed in particolare nella critica alla Green-Economy[3] .
I due momenti sono compementari e tale stretto legame è significativo di un approccio globale e al tempo stesso storico alle questioni, senza nessuna concessione alla nostalgia di una natura che è invece sempre stata mediata socialmente e senza nessuna concessione ad un naturalismo dietro il quale spesso si nasconde una perpetuazione di rapporti di produzione che vanno tolti nel corso del tempo[4].
Per quanto riguarda il primo aspetto si individua nel modo di produzione capitalistico il sistema sociale la cui dinamica è caratterizzata dalla contraddizione fondamentale che è quella tra la tendenza allo sviluppo incondizionato della forza produttiva del lavoro sociale e lo scopo limitato e ristretto della valorizzazione del capitale. Il primo termine della contraddizione ha implicato ed implica una possibilità di emancipazione, storicamente realizzata, della specie umana dai condizionamenti della natura e del lavoro inteso come pura sussistenza, anche se non compiutamente ed irreversibilmente acquisite, e di realizzare nuove potenzialità umane in una gamma di scopi sempre più ampia. Il secondo termine della contraddizione invece segna questa fase della storia dell’umanità in quanto piega quelle potenzialità allo scopo limitato della valorizzazione del capitale, ovvero ad un elemento che tende a riprodursi illimitatamente ma che entra in contraddizione con la complessità del mondo reale che non sarebbe riducibile (senza un costo altissimo) alla mera riproduzione allargata del valore di scambio[5]. L’affermazione globale della produzione capitalistica supera e subordina tutte le altre forme precedenti di produzione e generalizza la forma di merce fino a penetrare nella vita stessa, producendo rapporti sociali, politici e culturali e innescando la contraddizione con un ambiente pervaso e violentato proprio dal funzionamento di questo sistema che tutto subordina. Ovviamente il carattere contraddittorio di tale funzionamento non si è manifestato sempre. Anzi, storicamente ha prevalso il carattere emancipatorio del capitalismo e solo in alcune fasi ed in alcune dimensioni la sua contraddittorietà appare in modo palese (evidenziata dal prevalere del’esigenza di valorizzazione del capitale).. La questione ambientale spesso in forme drammatiche è uno dei momenti che non sembra si possa semplicemente rimuovere con ulteriori fasi di crescita perché queste ultime a loro volta potrebbero accentuare la crisi ambientale. Appare evidente una crisi di autoregolamentazione del sistema in cui si mostrano sempre più impotenti le istanze politiche e viene minata la credibilità stessa delle leggi del mercato[6].
D’altra parte la questione ambientale complessivamente intesa produce, proprio per queste ragioni, delle vertenze concrete in molte aree del mondo. Queste vertenze sono diverse a seconda dei diversi modelli di accumulazione e dei diversi livelli di sviluppo. Perciò un conto sono le mobilitazioni sociali che avvengono nei paesi occidentali che stanno al vertice della piramide imperialistica, mentre altra cosa sono le forme di lotta che si producono nei paesi della periferia[7]. Qui in Occidente quello che possiamo chiamare “il fronte del rifiuto” denota quella pluralità di comportamenti spesso contraddittori che spesso non si manifestano attraverso la classica forma vertenziale/sindacale ma con una modalità di partecipazione attiva del tutto inedita. A questo proposito va detto che in questo Fronte del Rifiuto i militanti della Rete dei Comunisti hanno spesso partecipato ed hanno affinato i loro metodi di lotta e di analisi. E l’esperienza di Potere al Popolo conferma che le vertenze territoriali sono spesso legate a questioni ambientali (basti pensare alla Tav in Piemonte[8] e alla resistenza al biocidio in Campania). Al tempo stesso il problema delle fonti e quello dei pozzi rende necessario un approccio sistemico e un’istanza di pianificazione dell’economia. Come vedremo l’economia circolare è un’ipotesi che si fa carico proprio di queste istanze.
A tal proposito, il centro Cestes-Proteo, fortemente legato alla Rete dei Comunisti, ha sviluppato con anticipo tutta una serie di questioni specifiche di attuazione di questi temi. Da un lato ha sviluppato, con il compianto Domenico Vasapollo, il tema dell’educazione ambientale, intesa come critica allo sviluppismo capitalistico e come promozione dello sviluppo sostenibile, alla luce del fatto che essa va concepita come processo trasversale di crescita collettiva[9]. All’interno di questo percorso la cosa che è stata giustamente sottolineata è stata quella che tale crescita ha come presupposto non la colpevolizzazione dell’individuo che spesso è la vittima di un sistema sociale ingiusto che produce la questione ambientale, ma la rivoluzione degli individui associati (dei proletari) e la loro responsabilizzazione nella misura in cui sono autori del destino collettivo loro e dell’intero ecosistema.
A tal proposito, nella stesso articolo, Domenico Vasapollo evidenziava come questa educazione ambientale (e la connessa critica al capitalismo) nei paesi dell’Alba Latino-Americana fosse già un principio esplicito ed operante (soprattutto in Bolivia e Venezuela). Un principio legato anche al protagonismo delle culture indigene di quelle nazioni, culture indigene che per esperienza storica vedevano nello scambio armonico tra collettivo umano e ambiente il presupposto della sopravvivenza degli individui e delle comunità[10].
Questo percorso ha l’esito suo più specifico e concreto nell’idea della compatibilità economica e sociale dell’attività produttiva[11]. Vasapollo e Martufi sviluppano questo tema evidenziando come l’economia e la politica economica dei paesi capitalistici non tiene conto di questa compatibilità e come sia necessario collegare ad essa (come si fa nell’Alba latino-americana) la compatibilità sociale riconsiderando le scelte di politica economica in direzione di un’equa distribuzione della ricchezza prodotta ed in una gestione sociale della produzione stessa che è il presupposto necessario per introdurre seriamente la compatibilità ambientale. La cultura sociale ed economica di mercato non è conciliabile con la questione ambientale e non può creare lavori socialmente utili di tipo non mercantile anche perché negli ultimi trent’anni ha innescato un processo di privatizzazione dei servizi pubblici. A questo proposito perché si possa controllare il rapporto tra i processi produttivi e l’ambiente, come gli indicatori di gestione sono necessari per ottenere informazioni sullo stato di salute dell’impresa dal punto di vista economico, finanziario e patrimoniale, così dal punto di vista dell’impatto sociale complessivo dell’attività produttiva sono fondamentali gli indicatori di performance socio-ambientale che permettono di analizzare i rapporti che legano l’impresa al macrosistema ambientale complessivamente inteso. Questi strumenti sintetici di natura qualitativa e quantitativa permettono di effettuare un confronto rapido ed efficace sugli aspetti socio-ambientali connessi all’attività d’impresa che la contabilità tradizionale non consente di analizzare (si rinvia alle lettura dell’articolo in nota circa la classificazione di questi indicatori)[12].
La riflessione critica dell’organizzazione sulle pretese dell’economia capitalistica di ricomprendere la questione ambientale si concentra in un’analisi della Green Economy. Gli intenti reali di quest’ultima sono la concentrazione della proprietà della terra e la privatizzazione della risorse naturali. Ad es. mettendo una sanzione pecuniaria o una tassa sull’inquinamento si vieta di fatto solo a chi è più debole di inquinare e soprattutto si consente a chi è più forte di vincere la competizione economica. I provvedimenti contro la deforestazione si concretizzano nell’impossibilità delle comunità indigene di accedere a risorse che per loro sono vitali, l’utilizzo delle biomasse riserva milioni di ettari all’alimentazione di macchine, l’agricoltura adattabile a differenti climi (reputata intelligente) prevede l’uso di pesticidi e di prodotti transgenici. Le restrizioni dell’uso dell’acqua favoriscono la concentrazione nelle coltivazioni ad alto valore per le esportazioni, la prezzatura delle risorse naturali ne permette la privatizzazione e la mercificazione. Il punto in questo senso è il rapporto tra la questione ambientale e i soggetti che devono decidere come affrontarla. Da questo punto di vista il protagonismo delle comunità indigene soprattutto nei paesi in via di sviluppo è corroborato dal fatto che esse a livello mondiale producono il 50% circa degli alimenti del mondo occupando il 20% della superficie coltivabile mondiale[13]. Non è un caso che Evo Morales abbia dichiarato che l’ambientalismo dell’economia verde sia il nuovo colonialismo rivolto contro popoli e governi anticapitalisti[14]. Giustamente a suo tempo si è criticata quella sinistra (nella quale sono comprese anche associazioni come il WWF, Lega Ambiente, Greenpeace) che, agitando la questione ambientale, ha di fatto delegato a meccanismi di mercato la soluzione della stessa (sgravi fiscali, investimenti pubblici a favore di imprese private, sviluppo dell’agricoltura per la produzione di agrocombustibili, aumenti tariffari a carico di tutti gli utenti)[15]. Al tempo stesso si è evidenziato come nella tradizione marxista e rivoluzionaria ci siano stati numerosi riferimenti[16] all’importanza della questione ambientale[17].
Ovviamente il fatto che la questione tra Capitale e Natura vada ricompresa in quella tra Capitale e Lavoro non esclude che all’interno dei limiti dati dai rapporti di produzione capitalistici si verifichino conflitti tra le istanze ambientali che riguardano tutta la cittadinanza e la difesa dell’occupazione dei lavoratori. Poiché infatti il come, il dove e il fine della produzione sono determinati dalle esigenze della massimizzazione del profitto, è ovvio che il capitale usi la forza lavoro disponibile come ostaggio per sottrarsi alle esigenze di compatibilità ambientale. E tuttavia si è dimostrato che i lavoratori, le loro democratiche rappresentanze e i loro dirigenti politici possono unificare le questioni togliendo quella contraddizione che invece nel modo di produzione capitalistico si ripresenta incessantemente[18].
Proprio per questa sensibilità sempre dimostrata è augurabile che nella nostra organizzazione l’ipotesi alla base dell’economia circolare venga approfondita come strumento fondamentale per il rapporto tra questione ambientale e pianificazione socio-economica. Infatti, per quanto sull’economia circolare si stia appuntando l’interesse anche del capitalismo, tale interesse è solo legato alle diverse attività legate a questo progetto, attività che possono a vario titolo essere commercializzate. Tuttavia l’idea dell’economia circolare che si fa strada in ambito capitalistico è una idea distorta dal momento che l’economia circolare non è un modello che possa essere realizzato in ordine sparso a seconda della convenienza economica e della disponibilità ad investire da parte dei soggetti privati. Perché essa possa avere successo, c’è bisogno del coordinamento di un’intera società secondo un progetto complessivo realizzato da istituzioni che non debbano internamente tenere conto di finalità tra loro in potenziale conflitto (da istituzioni in ultima analisi che non abbiano la massimizzazione del profitto come loro obiettivo). Perché essa possa avere successo, la strategia degli incentivi e dei disincentivi economici deve essere solo integrativa ad un asse strategico basato sul coinvolgimento e sulla partecipazione diffusa delle classi popolari e infine sul carattere precettivo di almeno alcune norme prodotte in fase di realizzazione del progetto
[1] Casadio, Mauro, Note Introduttive in Pianeta Merce, l’ultima frontiera del modo di produzione capitalista, Quaderno di Politica e Classe, Roma, Giugno 2008, p.9
[2] Vasapollo, Luciano, La contraddizione Capitale-Natura dentro il conflitto Capitale-Lavoro in Pianeta Merce, l’ultima frontiera del modo di produzione capitalista, Quaderno di Politica e Classe, Roma, Giugno 2008, p. 71-84
[3] http://contropiano.org/news/ambiente-news/2012/11/14/limbroglio-del-capitalismo-verde-012541
[4] https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1846/ideologia/capitolo_II.html
[5] Casadio, Mauro, Note Introduttive in Pianeta Merce, l’ultima frontiera del modo di produzione capitalista, Quaderno di Politica e Classe, Roma, Giugno 2008, p.11
[6] Casadio, Mauro, Note Introduttive in Pianeta Merce, l’ultima frontiera del modo di produzione capitalista, Quaderno di Politica e Classe, Roma, Giugno 2008, p.12
[7] Franco, Michele, Come opporsi ad una società che produce scorie materiali e degrado umano in Pianeta Merce, l’ultima frontiera del modo di produzione capitalista, Quaderno di Politica e Classe, Roma, Giugno 2008, p.103-108.
[8] http://contropiano.org/news/ambiente-news/2011/06/19/appello-per-la-democrazia-e-il-rispetto-della-legalita-in-val-di-susa-02030
[9] http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=725
[10] http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=759
[11] http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=24
[12] http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=24
[13] http://contropiano.org/news/ambiente-news/2012/06/21/le-false-soluzioni-della-green-economy-09773
[14] http://contropiano.org/news/ambiente-news/2012/07/02/la-green-economy-e-un-nuovo-colonialismo-09980
[15] http://contropiano.org/news/ambiente-news/2012/11/14/limbroglio-del-capitalismo-verde-012541
[16] Capitale e Natura, per una visione di classe dei temi ambientali, Supplemento di Contropiano, Anno 19, n.2, Roma, Maggio 2011.
[17] http://contropiano.org/news/ambiente-news/2019/04/22/cambiamento-climatico-cera-qualcosa-prima-di-greta-0114736
[18] http://contropiano.org/regionali/puglia/2017/11/29/98262-098262
*Rete dei Comunisti
(la grafica di copertina è di Federico Ruxo)
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