Certo, se si sposta lo sguardo verso est verso il confine con la Germania, a Belfort, la cittadina dove un tempo si costruivano le locomotive Alstom e dove è nato il mitico Tgv, si scopre che la General Electric, che ha rilevato gran parte della Alstom, ha appena deciso di chiudere alcune linee produttive e licenziare un migliaio di dipendenti, ma se lo farà (con tanto di “piano sociale” si capisce) stavolta non sarà colpa, del sistema-Paese che, al contrario, brilla per una sua ritrovata attrattività verso gli investimenti stranieri.
I quali, per la prima volta - annuncia uno studio della società di consulenza strategica Ernst&Young che il quotidiano economico Les Echos ha “sbattuto” orgogliosamente in prima pagina - hanno superato quelli diretti in Germania e in Gran Bretagna (in dettaglio, 1.054 progetti in Francia contro 1.027 Oltremanica e 973 Oltrereno).
Fine della crisi economica e, per conseguenza, dell’ormai semestrale lamento di ogni fine settimana dei Gilet gialli (siamo arrivati all’atto n.30 sabato prossimo) sul famoso potere d’acquisto sempre più debole per milioni di famiglie che vivono “nella miseria” per usare uno degli slogan storici del movimento?
Se si abbandona per un attimo la retorica sviluppista dei giornali, si mette da parte il dibattito tutto politico di questi giorni (il crollo dei repubblicani, ridotti all’8,4% alle Europee e le grandi manovre di Macron e della Le Pen per prendersi a pezzi il partito che fu di De Gaulle, Chirac e Sarkozy) e ci si concentra (anzi, ci si ri-concentra) sul sociale, come si dice, cioè sullo stato di salute della società francese, non si può non convenire con le parole del presidente pronunciate il 10 dicembre scorso, a due settimane dall’arrivo dei Gilet gialli sui rond-points e sui boulevard delle grandi città, e ripetute nella conferenza stampa (la prima del quinquennato) del 25 aprile, a chiusura di quel lunghissimo e affollatissimo Grand Débat.
Queste parole, in particolare:
“Noi vogliamo un Paese in cui tutti i francesi possano vivere degnamente del proprio lavoro”.Per questo il presidente, come ha scritto più volte questo blog, ha “liberato” 17 miliardi di euro di spesa sociale, tra aumento dello smic, salario minimo, decontribuzione dei premi aziendali, defiscalizzazione delle pensioni più basse e varie altre iniziative, mettendo in secondo piano l’originario progetto di ridurre la spesa pubblica e portare il ratio debito/pil all’89% (oggi viaggia verso il 100%).
Certo l’effetto di questi 17 miliardi di spesa sociale aggiuntiva non si può vedere nell’immediato (anche se ci sono già stime sull’incremento del potere d’acquisto previsto in crescita di alcune centinaia di euro a famiglia).
Mentre si può vedere - grazie a un dettagliatissimo studio curato dall’Insee dal titolo “Reddito e patrimonio delle famiglie francesi” pubblicato pochi giorni fa - come ancora milioni di francesi non potrebbero arrivare alla fine del mese se non avessero quegli aiuti sociali - dall’indennità di disoccupazione ai contributi per l’affitto solo per citarne alcuni - che, sommati tutti insieme, arrivano alla bella cifra di 759 miliardi di euro.
Cifra superiore, tanto per dare un’idea, all’ammontare dei redditi da lavoro fermi a 739 miliardi di euro. In totale, sommando redditi da lavoro, redditi da capitale e prestazioni sociali (comprese le pensioni che da sole cifrano 325 miliardi) le famiglie francesi dispongono di un reddito lordo di 1.557 miliardi di euro che scende a 1.353 se si sottraggono 219 miliardi di imposte (al netto di deduzioni e detrazioni).
Ma il dato che più impressiona è quello percentuale, cioè a dire il peso dei redditi da lavoro sulle risorse totali disponibili. Ebbene, dal 1960 a oggi la quota dei redditi da lavoro ha perso ben 15 punti (Sarkozy, nel 2007, se ne era accorto al punto da costruirci sopra una campagna elettorale tutta incentrata sul “potere d’acquisto” da recuperare), mentre sull’altro lato della forchetta il peso dei redditi da capitale, finanziario e non, è raddoppiato dall’11 al 23%.
Allo stesso modo e con la stessa velocità è cresciuto il peso degli aiuti sociali, al punto che oggi - ecco la sintesi più inquietante dello studio Insee - milioni di francesi non potrebbe arrivare alla fine del mese senza l’aiuto dello Stato, come si diceva prima.
Non si tratta dei poveri in senso tradizionale, quelli con un reddito inferiore al 60% del reddito medio per Paese secondo la classificazione statistica europea (14 milioni ne ha contati l’Onpes, Osservatorio nazionale della povertà e dell’esclusione sociale ) ma di quanti “non riescono a vivere degnamente del proprio lavoro” per dirla con le parole dello stesso Macron.
Per rendersene conto basta scorrere il grafico che divide l’universo delle famiglie in decili (ogni decile rappresenta il 10% della popolazione). Ed ecco che nel primo decile (D1), quello delle famiglie con reddito medio annuo di 12.700 euro, la voce “prestazioni sociali” rappresenta il 47,6% delle risorse disponibili, sei punti in più rispetto alle “revenus” da lavoro che arrivano appena al 41,1%. Il 15% rimanente è rappresentato dalla voce “pensioni”.
Esattamente il contrario nel decile più alto (D10) con redditi superiori a 88mila euro annui: qui il reddito da lavoro rappresenta il 79,9% delle risorse, il reddito da capitale il 24,5%, le pensioni il 22,8% e le prestazioni sociali appena lo 0,5%.
Morale? Quella che spiega Jérôme Vignon, un dirigente cattolico che ha lavorato con Delors a Bruxelles e che oggi presiede l’Onpes:
“Senza gli aiuti sociali il 30% dei francesi precipiterebbe nella miseria”.Proprio come gridano da sei mesi i Gilet gialli.
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