Nel
2011 fu il padre nobile del referendum sull’acqua
pubblica, ma la legge sul settore è ancora congelata.
IlFattoquotidiano UGO
MATTEI
Sono
due anni che Stefano Rodotà ci ha lasciato. Tutti sono
insostituibili sul piano umano per chi li ha amati, ma sono pochi
coloro che lo sono anche su quello politico.
Da
questo punto di vista vale la pena di riflettere su quel fenome-no,
quasi unico, di compenetrazione
fra un personaggio eun intero popolo. Nella mia vita ricordo ciò per
pochissimi leaders che sono stati davvero amati da tutti gi italiani
per bene. Forse solo Pertini e Berlinguer prima di Stefano.
Rodotà
è stato uno straordinario giurista, maestro indiscusso del diritto
civile, e vero protagonista intellettuale di una delle più feconde
stagioni della nostra civilistica,fra gli anni Sessanta e gli anni
Settanta, aprendoci gli occhi sulla natura ideologica del formalismo
giuridico e prendendo coscienza di come il diritto fosse, nelle mani
del potere, un potente strumento di sfruttamento.
DEDICANDO
la
sua attenzione alle istituzioni giuridiche fon-damentali del
capitalismo,proprietà, contratto, responsabilità civile, Stefano fu
capace di accreditarsi in giovanissima età come indiscusso maestro,
dotandosi dell’autorevolezza
indispensabile per condurre una critica, anche radicale, capace di
farsi prendere sul serio. Tale critica non fumai solo pars destruens,
ma seppe trovare in una compiuta elaborazione giuridico-filosofica
dei diritti una dimensione costruttiva capace di affrontare ogni
trasformazione sociale con una chiave di lettura profondamente legata
ai valori costituzionali. Tale visione,che oggi chiamiamo
costituzionalismo dei bisogni, fu capace di fungere da stella polare
anche etica per i dilemmi di quella post-modernità che da-gli anni
Ottanta prese le fattezze di un processo reazionario,il
neo-liberismo.
Prestissimo
(1972) Rodotà ci fece capire come la trasformazione tecnologica
dirompente e mai neutrale, rendesse la teoria dei diritti molto più
debole del previsto, spingendolo poco dopo a riflettere sul legame
fra i diritti e le risorse materiali che il settore pubblico,
sopratutto quello dei servizi, aveva il dovere costitu-zionale di
dedicare alla loro soddisfazione.
La consapevolezza che i diritti non
possono essere scissi dalle condizioni materiali della loro
soddisfazione collettiva portò Rodotà a schierarsi fra i primi
politicamente e scientificamente contro l’ideologia
delle privatiz-zazioni, che a partire negli anni Novanta iniziava a
far strame dell’impianto
sociale e solidaristico della nostra Costituzione. Il cammino
culturale fu sempre accompagnato dall’impegno
politico.
Conobbi Rodotà nel 1983, per una prima battaglia
ambientalista, quando egli fu promotore, da parlamentare, della Legge
contro il piombo nella benzina. Dopo l’esperienza
parlamentare (in cui per la presidenza della Camera ci fu il suo
primo siluramento da “fuoco
amico”a
favore di Giorgio Napolitano) ci furono quella di primo Garante ed
effettivo fondatore dell’Autorità
per la privacy (dove crebbe ancor più lo scetticismo per l’approccio
formalistico della legge) e il suo im-portantissimo ruolo nella
scrittura della Carta di Nizza, che Rodotà considero’sempre
un compromesso accettabile nonostante il fallito tentativo di
inserirvi la “funzione
socia-le della proprietà privata”.
SULLA
CONCRETIZZAZIONE di
questa funzione lavorammo quando, dal giugno del 2007, fummo chiamati
dall’ultimo
governo Prodi rispettivamente come presidente e vicepresidente della
commissione ministeriale di riforma del libro terzo del Codice Civile
(quella che divenne nota come Commissione Rodotà).
Si trattava di
mettere il Codice Civile al passo con la Costituzione, di tutelare i
beni pubblici contro le privatizzazioni arbitrarie e di accogliere
vent’anni
di critiche scientifiche alla nozione formalistica ed obsoleta di
demanio. Iniziò li, per noi e per il Paese, la stagione dei beni
comuni che in quella sede videro definirsi la loro struttura come
beni:
a) funzionali all’eserci
-zio dei diritti fondamentali della persona
b) produttivi di utilità
che vanno tutelate rispetto all’arbitrio
del proprietario sia esso privato o pubblico
c) che vanno collocati
fuori mercato e amministrati nell’interesse
delle generazioni future.
Fanno parte dell’elenco esemplificativo di questo ABC dei beni comuni:
acqua, aria,fauna e
flora selvatiche, ghiacciai e nevi perenni, beni cultu-rali,
foreste...
È storia nota che nel 2009 il governo Berlusconi fece un
tentativo generale di privatizzazione e che a quello rispon-demmo con
i quesiti referendari su cui nel giugno 2011, 26 milioni di italiani
difersero i loro beni comuni.
Quell’ABC,già
penetrato nel diritto vivente sotto forma di sentenze, regolamenti e
statuti locali,divenne dal 2011 parte del vocabolario politico.
Ma
ancora oggi non è legge! Sull’onda
di quel risultato, Rodotà fu consacrato leader gentile del movimento
per i beni comuni e proprio per questo due anni dopo il “fuoco
amico”gli
preferì lo strappo costituzionale della conferma di Napolitano al
Quirinale.
OGGI
UN COMITATO che
porta il suo nome prova a far diventare finalmente legge, tramite
un’iniziativa
popolare, questo suo prezioso lascito civile, ammirato in tutto il
mondo.
Di nuovo è attivo il “fuoco
amico”ma
lavoriamo in tanti (www. generazionifuture.org) perché il Maestro,
con il suo dolce sorriso sognante, possa donare a tutti i ragazzi un
diritto che sappia difendere il loro futuro.
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