domenica 2 giugno 2019

Cannabis light, dai prodotti al mercato Ecco le conseguenze dopo la Cassazione.


La sentenza dice che è vietata la vendita di oli, resina, inflorescenze e foglie di marijuana sativa perché la norma sulla coltivazione non li prevede tra i derivati commercializzabili, a meno che questi prodotti siano in concreto “privi di efficacia drogante”. È questo il passaggio che, in attesa delle motivazioni, lascia il punto interrogativo sulla futura vendita.

 

F.Q. Martina Milone

Vendere i derivati della cannabis con “effetto drogante” è reato. A dirlo è la sentenza emessa giovedì dalle sezioni unite penali della Cassazione. Una decisione che è andata a definire l’ambito di applicazione della legge 242 del 2016, quella cioè inerente alla “promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”, ma che ha lasciato molti commercianti con diversi punti interrogativi. Secondo il provvedimento del 2016, sono consentite la produzione e la commercializzazione della “cannabis light”, ma solo per determinati scopi. Una norma che non tocca tutte le casistiche e che negli ultimi due anni e mezzo ha fatto proliferare sia i cannabis shop che le tabaccherie autorizzate alla rivendita di bustine di erba, tecnicamente senza effetti psicotropi. 
Molti esercizi, già dal primo giorno dopo la sentenza, nella più totale confusione e senza aspettare le motivazioni della Cassazione che specificheranno cosa è lecito e cosa no, hanno deciso di chiudere i battenti o di cessare la vendita della cannabis light. Il giro d’affari è di 150 milioni di euro solo nel 2018, secondo Coldiretti.
Ma ora cosa succede? Sarà ancora possibile tenere nel proprio tabacchi la cannabis depotenziata, o bisognerà smettere di venderla? Era questo l’obiettivo di Salvini?

Legge del 2016: cosa prevede

È proprio il vuoto normativo interno alla legge 242 del 2016 che i giudici della Corte di Cassazione sono andati a riempire. In particolare, secondo il provvedimento varato durante la precedente legislatura, sono lecite le coltivazioni della cosiddetta “cannabis light”, quella cioè depotenziata e quindi con un valore di Thc (tetraidrocannabinolo) inferiore allo 0,2% (ma con risvolti penali solo dallo 0,6%), ma solo se delle varietà previste dalla normativa europea.
Regolati anche gli usi. In particolare è consentito il consumo in ambito alimentare, cosmetico, tessile e nel settore della bioedilizia. Vietati, ma solo per esclusione, quindi, gli scopi ricreativi, quelli cioè che la sentenza della Suprema Corte va a toccare. Secondo la normativa del 2016, inoltre, la vendita è libera – da qui la nascita di diversi cannabis shop e rivenditori autorizzati – e soggetta solo alle limitazioni relative al consumo. La 242 regola solo l’utilizzo della cannabis depotenziata. Fuori discussione, quindi, l’uso di erba terapeutica, che ha valori di Thc compresi tra il 7 e il 22% ed è vendibile in Italia solo dietro prescrizione medica e solo in farmacie ospedaliere o territoriali autorizzate.

Cosa dice la sentenza della Cassazione

Analizzati i prodotti consentiti dalla legge del 2016, la sentenza della Cassazione tenta di trovare un punto d’incontro tra due diverse sentenze, una emessa dalla Quarta sezione penale, una dalla Sesta, le quali davano pareri essenzialmente opposti sul commercio della cannabis. In sostanza, già da oggi, è vietata la vendita di oli, resina, inflorescenze e foglie di marijuana sativa, perché la norma sulla coltivazione non li prevede tra i derivati commercializzabili. Chi li vende quindi lo fa illegalmente, a meno che questi prodotti siano in concreto “privi di efficacia drogante”. È proprio questo il punto più controverso della decisione e quello al quale si potranno appellare i negozi per evitare la chiusura, visto che le sostanze in commercio sono, già prive di effetto stupefacente proprio perché a bassissimo contenuto di Thc, come previsto dalla legge.

Prodotti e negozi a rischio?

Dopo la sentenza del 30 maggio, molte tabaccherie e altrettanti negozi sono già corsi ai ripari. Anche i siti internet che smerciavano prodotti derivanti dalla canapa risultano oggi momentaneamente non raggiungibili. Eppure per capire definitivamente quali prodotti sono a rischio e quali no bisognerà attendere le motivazioni che hanno portato la Cassazione a pronunciare la sentenza. Solo con tutte le carte in mano sarà possibile valutare più precisamente quali siano i prodotti leciti e quali no. Ad oggi, quel che è certo è che molti dei materiali di scarto normalmente venduti dalle aziende produttrici di canapa, come oli, fiori e resina, sono diventati illegali.
Ed è proprio sulla base di questo che già da oggi le forze dell’ordine potrebbero far chiudere i negozi o denunciare i rivenditori sospetti. Ancora lecita, invece, la vendita di altri derivati come biscotti, cracker, creme, saponi e shampoo, normalmente commercializzati in tutti i cannabis shop. Il vero rischio è quello legato alla vendita di infiorescenze che, se considerate con “effetto drogante”, diventerebbero subito illegali. Il vero rischio, hanno denunciato diverse categorie, è quello che stanno correndo migliaia di lavoratori, oggi impegnati nella produzione di cannabis light. Secondo il questore di Macerata, Antonio Pignataro, che per primo ha dato il via alla chiusura dei cannabis shop, tutti i negozi sono destinati a chiudere perché alimenti e cosmetici non sono sufficienti a sostenere il business.

Gli effetti dell'erba light

Come già detto, la cannabis depotenziata ha al suo interno bassissime percentuali di Thc, la sostanza che produce l’effetto psicotropo, con effetti come sensazione di euforia, aumento dell’appetito, prostrazione, rilassamento, percezioni uditive alterate e disorientamento nello spazio e nel tempo, che possono durare anche ore. Azzerato, o quasi, questo principio, resta invece uno degli altri elementi principali della marijuana, il Cbd (cannabidiolo) che non ha effetti stupefacenti, ma serve ad evitare gli effetti collaterali e prolunga gli effetti analgesici del Thc. Le percentuali di Cbd contenute nella cannabis light possono variare, ma in generale non devono superare il 4%. Gli effetti si discostano molto da quelli del classico spinello, e più che altro sono benefici per l’organismo. Secondo gli esperti, infatti, la cannabis light ha effetti miorilassanti, antiepilettici, antinfiammatori e antiossidanti. Resta, in parte, la sensazione di tranquillità dovuta alle percentuali residue di Thc.

Il mercato: trend sempre in crescita

Dalla “liberalizzazione” del 2016, la vendita di cannabis light in Italia ha subito una grandissima espansione. Un boom che, secondo la Coldiretti, solo nel 2017 valeva 40 milioni e nel 2018 è arrivato a valere 150 milioni di euro. Il business riguarda anche il mercato del lavoro: sono migliaia i commessi, gli agricoltori e i rivenditori sparsi su tutta la penisola. Sempre secondo Coldiretti, nel giro di cinque anni sono aumentati di dieci volte i terreni coltivati a canapa: dai 400 ettari del 2013 ai quasi 4.000 del 2018. La legge del 2016, inoltre, ha parzialmente diminuito la diffusione di erba illegale, scesa del 12% rispetto a due anni e mezzo fa.

Salvini diceva chiudeteli tutti

Non è la prima volta, nelle ultime settimane, che si parla di cannabis light. Già da inizio maggio, durante il tour elettorale, il vicepremier Matteo Salvini ha iniziato a diffondere l’idea di voler chiudere tutti i canapa shop. Durante il suo giro nelle Marche sono stati chiusi i primi due negozi in provincia di Macerata. Un intento che il Viminale ha un po’ smorzato, emanando una direttiva a riguardo che, però, non prevede la chiusura di negozi. La proposta, comunque, va in una direzione totalmente opposta rispetto a quella degli alleati di governo che a inizio anno hanno presentato in Senato un ddl per la liberalizzazione della cannabis a firma del senatore Matteo Mantero. Nel documento del ministero dell’Interno, comunque, si legge che tutti gli esercizi dovranno essere controllati, che una “cura particolare dovrà riguardare la verifica del possesso delle certificazioni su igiene, agibilità, impiantistica, urbanistica e sicurezza, richieste dalla legge per poter operare” e che non si potranno avere negozi vicino a “luoghi sensibili”, come scuole, ospedali, centri sportivi, parchi giochi.


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