martedì 8 maggio 2018

Il metodo Mattarella nella follia dei “partiti”.

Dato ai “partiti” ciò che va dato loro – il velato disprezzo che ha fatto capolino anche nelle parole felpate di Sergio Mattarella – bisogna concentrare meglio l’attenzione sulle conseguenze della “via d’uscita” offerta dal presidente della Repubblica: un “governo neutrale” fino a dicembre.
 

Una cosa va detta subito: i governi non sono mai neutrali. Tanto meno un governo “europeista” dopo un voto che, nei fatti, certificava la forza dell’euroscetticismo tra gli elettori.
Governare significa scegliere cosa un paese deve fare. Ossia se vanno tagliate le tasse o le spese (o entrambe le cose, come chiedono multinazionali e finanza), se vanno favorite determinate figure sociali o altre, se bisogna lasciare mano libera alle “forze del mercato” oppure se queste vanno come minimo imbrigliate.
Non può quindi essere per nulla neutrale un governo dalla vita breve ma intensa come quello che Mattarella sta preparando, impegnandosi in prima persona a garantire che i suoi ministri non sfrutteranno questa “finestra di visibilità” per candidarsi poi alle elezioni politiche. Il che significa che ha già pronta la lista dei ministri e la loro firma sotto questo inedito impegno a scomparire dalla scena politica.
Comunque la si rigiri, è una situazione abnorme. Eccezionale. Ed è nelle situazioni di eccezione che si fanno avanti i pretendenti al trono, gli aspiranti “sovrani” che intendono stabilire un nuovo regime.
Il governo di Mattarella non potrà essere neutrale neppure sul fronte internazionale. Deve infatti impostare in pochi giorni una “manovra correttiva” di oltre 20 miliardi (come minimo) per impedire che scatti l’aumento automatico dell’Iva, con effetti depressivi sui consumi e quindi sull’attività economica rivolta soprattutto al mercato interno.

Deve partecipare – in giugno – alla discussione sulla “riforma” dell’Unione Europea. Che non è e non sarà mai quello “spazio” vagheggiato dagli “europeisti di sinistra”, ma una più vincolante costrizione dei singoli paesi al rispetto di vecchi e nuovi trattati – dalla governance della moneta unica alla redistribuzione degli immigrati, dal riarmo al nuovo bilancio settennale europeo – tale da generare una “Unione Europea a due velocità”. Dentro il nucleo ristretto quelli che accettano in pieno tutto il nuovo ordinamento, nel cerchio più largo i reprobi (soprattutto dell’Est europeo e la Grecia massacrata dalla Troika) che fanno fatica a correre in questa direzione.
Deve infine preparare – sotto il pieno controllo della Commissione di Bruxelles, come previsti dai trattati chiamati Six Pack e Two Pack – una legge di stabilità per il 2019 che metta a regime il Fiscal Compact, ossia il trattato che impone il taglio progressivo del debito pubblico per riportarlo intorno al 60% da qui a venti anni. Per l’Italia, si tratta di un impegno a ridurlo del 5% annuo, praticamente per sempre.
Deve elaborare – in concerto col resto d’Europa, ma badando ai propri interessi economici e strategici – una risposta alla montante guerra dei dazi globali, scatenata dall’America di Trump e che ha già provocato risposte cinesi, russe, ecc.
Deve occuparsi, possibilmente con qualche visione che non sia il solito “signorsì”, della difesa o denuncia del trattato sul nucleare con l’Iran.
Infine, anche se Mattarella non l’ha detto, questo governo “neutrale” dovrebbe almeno provare a metter mano alla legge elettorale, in modo tale da garantire per via di regole che le prossime elezioni politiche non ripropongano lo stallo attuale.
Più varie ed eventuali…
Vasto programma”, si usa dire. Niente a che vedere con “il disbrigo degli affari correnti” che costituisce da sempre l’ambito massimo di un governo che non ha più, o non conquista mai, la fiducia del Parlamento.
Mattarella sta confezionando l’ultima versione possibile – la più astratta e violenta – del “governo europeista”, che prenderà altri impegni ultradecennali o perenni firmando nuovi trattati che non possono essere modificati (occorre l’unanimità dei paesi firmatari…), né essere sottoposti a referendum popolare. Com’è noto, per porre in evidenza il problema, due campagne di raccolta firme sono attualmente in corso, promosse da Potere al Popolo ed Eurostop, per chiedere un referendum “di indirizzo” sull’eliminazione dell’obbligo al pareggio di bilancio, inserito a forza nell’art. 81 della Costituzione e uno per ottenere che anche i trattati europei siano sottoponibili alla consultazione popolare.
Un governo siffatto non deve neanche entrare a Palazzo Chigi. Nessun altro impegno può esser preso in nome di un paese che non vuole ma che, per sua disgrazia, ha affidato il suo crescente euroscetticismo a due forze farlocche, che hanno già accantonato ogni promessa elettorale (clamoroso il voltafaccia dei Cinque Stelle in versione Di Maio, convertito in pochi giorni al rispetto dei vincoli Nato, dell’euro e dell’Unione Europea).
L’impasse che sta azzerando la residua credibilità della “politica” ha molti attori e qualche regista. Renzi e Berlusconi, in campi solo teoricamente diversi, hanno scientemente impedito qualsiasi soluzione diversa, rispettando in questo gli impegni presi con Angela Merkel e Emmanuel Macron. Come preteso dai “mercati internazionali” e dal loro vero Stato: l’Unione Europea.
Per questo, non si può che pretendere di tornare immediatamente al voto.
Potere al Popolo vi sarà costretta prima ancora di aver iniziato a consolidare la propria struttura, raffinato il proprio programma, esteso il proprio radicamento sociale.
Ma è l’unica forza che, in tutti i suoi limiti, si sta guadagnando un po’ di credibilità tra “la nostra gente”, quella che sarà massacrata dagli “impegni internazionali” presi dall’ennesimo governo privo di legittimità democratica. E’ infatti l’unica forza, apertamente conflittuale e alternativa all’ordine esistente, che abbia messo la rottura con l’Unione Europea dei trattati in cima al proprio programma.
Sappiamo che ci sono difficoltà, nostalgie preistoriche, timori e un diffuso senso di inadeguatezza. E nessuno qui pensa che alla seconda prova elettorale in pochi mesi si possa rovesciare i rapporti di forza sociali, politici e anche elettorali.
Ma non si torna indietro. Non è fisicamente e politicamente possibile. Il vecchio terreno di battaglia, quello cui si era abituata certa “sinistra” e che l’ha portata alla sostanziale scomparsa, semplicemente non c’è più. Bisogna soltanto aprire gli occhi, rendersene conto e gettarsi con decisione nella mischia. Il “nemico” è chiarissimo, non va lasciato fare ciò che vuole.

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