Sta cambiando tutto. Cambia il modo di comunicare, di nutrirci, di abitare, di curarci, di lavorare, di produrre energia, di finanziarci, di spostarci. In tutto l’emisfero boreale, c’è un’unica forza sociale, cioè prepolitica, che si è rivelata capace di intercettare, interpretandole virtuosamente, tutte queste istanze di cambiamento. Facendosene veicolo, vettore. Il Movimento Cinque Stelle è stato (e sarà) innanzitutto questo: disintermediazione. Dalle vecchie categorie. Dai polverosi schemi fenomenologici di decodifica del presente. Dagli obsoleti criteri di merito e di demerito. Dalla vecchia politica, dai suoi nefasti meccanismi di rappresentanza.
Allora, se non altro per rispetto di chi per primo ha intuito questo cambiamento d’epoca, dobbiamo almeno chiedercelo: siamo pronti – come collettività e come individui – ad accogliere questo tsunami morale? Siamo pronti a riconcettualizzare il dogma dell’utilità monetaria? Siamo pronti a ridiscutere le categorie, profondamente occidentali, di giusto e di sbagliato? La partita ce la giocheremo nelle risposte che sapremo dare a queste domande, prima ancora che in cabina elettorale. Ma non sarà per niente facile.
Dovremo affidarci a una forza titanica inesplorata (perché sopita), ma viva (perché ancestrale), per reagire alla soffocante coercizione dei perimetri opachi. Ci vogliono dentro a quei perimetri. Ci fanno paura dentro a quei perimetri. Ci ricattano dentro a quei perimetri. Perimetri fatti di spread, di (finto) welfare, di promesse di sicurezza, di facili consumi, di modelli seducenti, di cronica insoddisfazione, di depressione e di cure chimiche. L’Unione Europea, cane da guardia al guinzaglio della finanza internazionale, che si nutre di quelle finzioni, sa parlare solo questo linguaggio. E lo fa da dentro a quei perimetri.
Blackrock, primo asset manager al mondo, gestisce patrimoni per 4.900 miliardi di dollari. Goldman Sachs, decimo in classifica (il cui presidente Jim O’Neill sostenne nel 2013 che il vero problema dell’Europa era Beppe Grillo), di 1.100 miliardi. Il Pil dell’Italia è di 1.850 miliardi. Se vogliono, ci comprano come noi compriamo un monolocale. Allora? Allora, la risposta non va trovata nel nostro costo, ma nel nostro valore. Il valore di noi italiani, capaci di immaginare quello che ancora non si vede. Di solcare oceani al di fuori di quei perimetri di comfort, di esportare genialità e prosperità, in questo e in nuovi mondi.
Chiudo il mio primo libro con queste parole di Keynes:
Dovremo saperci liberare di molti dei principi pseudomorali che ci hanno superstiziosamente angosciato per due secoli, per i quali abbiamo esaltato come massime virtù le qualità umane più spiacevoli. Dovremo avere il coraggio di assegnare alla motivazione “denaro” il suo vero valore. […] Ma attenzione: il momento non è ancora giunto! Per almeno altri cento anni dovremo fingere con noi stessi e con tutti gli altri che il giusto è sbagliato e che lo sbagliato è giusto, perché quel che è sbagliato è utile, e quel che è giusto no.
Cento anni. Keynes ha scritto queste parole nel 1930. La scelta è nostra.
Leggevo recentemente sul web questa invocazione: “Messaggio all’umanità: TORNA!”. Mi ha strappato un sorriso. Uno solo.
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