venerdì 19 giugno 2015

Sciogliamo Sel e allarghiamo il campo, è l’ultima chiamata

 



 Fonte: Il ManifestoAutore: Ciccio Ferrara
Dovremmo fer­marci e ragio­nare su noi stessi, sulla pro­spet­tiva della nostra poli­tica. Da anni la sini­stra ita­liana fa la stessa cosa, aspet­tando risul­tati che non arri­vano. Chissà per­ché dovreb­bero sca­tu­rire, se lo schema è una coa­zione a ripe­tere di un per­corso poli­tico e orga­niz­za­tivo che la riporta alla casella di par­tenza.
Guar­diamo alla Gre­cia, alla Spa­gna, senza mai con­si­de­rare quei pro­cessi dei modelli mec­ca­ni­ca­mente da impor­tare, ma vediamo come mani­fe­stano una rot­tura, una spe­ranza in quei paesi e per l’Europa. È pre­sto per dire se da lì potrà emer­gere un’alternativa alle scel­le­rate poli­ti­che di auste­rità che per­cor­rono il Con­ti­nente, ma nella lunga sta­gna­zione della sini­stra euro­pea sem­bra aprirsi un varco.
Da noi non è così. Met­tere sul tap­peto le ragioni di uno stallo poli­tico che può diven­tare scacco matto per l’intera sini­stra è una neces­sità non rin­via­bile. Il qua­dro che si deli­nea nelle urne è un allar­ga­mento del solco che i cit­ta­dini met­tono, con l’astensione, tra sé e l’offerta di un pos­si­bile cam­bia­mento, che non rico­no­scono come tale. Ciò deter­mina la cre­scente spo­li­ti­ciz­za­zione della società den­tro cui fer­ti­liz­zano popu­li­smi e tra­sfor­mi­smi che diven­tano il ter­reno per la rico­sti­tu­zione di una destra xeno­foba e nazio­na­li­sta. Se guar­diamo alla pro­spet­tiva, assi­stiamo al pro­li­fe­rare, a sini­stra, di ten­ta­tivi gene­rosi ma incon­clu­denti. Di loro si per­ce­pi­sce il senso di una fram­men­ta­zione inca­pace di un pro­cesso di ricom­po­si­zione, privo del minimo comun deno­mi­na­tore poli­tico in grado di pro­durre quell’unificazione che tiene insieme cul­ture poli­ti­che e lea­der­ship con­di­visa, pro­get­tua­lità, orga­niz­za­zione di una nuova sog­get­ti­vità poli­tica della sinistra.
Sel è stata il più gene­roso e strut­tu­rato di que­sti ten­ta­tivi. Gene­roso per l’impegno dei mili­tanti in un pro­getto mai con­si­de­rato auto­suf­fi­ciente e sem­pre aperto, come nelle euro­pee e in que­sta tor­nata ammi­ni­stra­tiva, ad allar­gare il campo a con­ta­mi­na­zioni con espe­rienze e pra­ti­che arric­chenti. Più strut­tu­rato per­ché Sel ha messo in campo una ricerca ine­dita di cul­ture poli­ti­che come archi­trave di una stra­te­gia di cam­bia­mento per il Paese. Un’elaborazione incom­piuta ma alta e non comune nel pano­rama ita­liano. Un’elaborazione che è man­cata al pro­cesso di costru­zione del Pd, segnando il suo destino di con­te­ni­tore elet­to­rale orien­tato all’occupazione del potere, fino al punto di con­ce­pirlo par­tito della nazione. È qui la causa prin­ci­pale della dif­fi­coltà di un comune ope­rare di que­ste due forze per la costru­zione di un cen­tro­si­ni­stra la cui cul­tura di governo risul­tasse parte di un’alternativa poli­tica e sociale alla destra e al mode­ra­ti­smo. Dob­biamo avere il corag­gio di dire che que­sto ten­ta­tivo gene­roso non è bastato, né basterà, se la pro­spet­tiva è dare al Paese una sini­stra con­si­de­rata utile da una parte larga, popo­lare, mag­gio­ri­ta­ria dell’Italia. Se la sini­stra non è que­sta, l’autoreferenzialità e la ripro­du­zione di ceto poli­tico che tanto con­tra­stiamo diven­terà un impe­dente dato di fatto.
Il tempo per rom­pere gli indugi, a par­tire da Sel, è adesso. Il rin­vio, l’esercizio tem­po­reg­gia­tore di un altro giro, ci con­se­gne­reb­bero ad una lunga subal­ter­nità. Scom­po­si­zione, scio­gli­mento, riag­gre­ga­zione, diven­tano espres­sioni ger­gali di ceti poli­tici se non siamo capaci di rom­pere dav­vero lo schema di gioco che ci para­lizza. L’esperienza che abbiamo com­piuto è in sé ormai esau­rita. Que­sta capa­cità si gioca adesso in un campo più vasto e abita tutti i luo­ghi in cui il con­fronto e l’incontro, è sul cam­bia­mento, sull’alternativa ai popu­li­smi, ai tra­sfor­mi­smi, ai posi­zio­na­menti di potere, ai con­so­cia­ti­vi­smi delle unità nazio­nali. Cogliamo l’urgenza e met­tia­moci al lavoro per costruire qual­cosa di nuovo a sini­stra, con tutte quelle sog­get­ti­vità che pro­prio per­ché distanti da un’autosufficienza mino­ri­ta­ri­stica avver­tono, come noi, che il tempo sta per sca­dere. Le nostre resi­stenze, le paure verso un pas­sag­gio dif­fi­cile, le chiu­sure, le attese, risul­te­reb­bero con­tra­stanti rispetto a quella mis­sione che è al fon­da­mento della nostra stessa esi­stenza. È un rischio che cor­riamo, se è vero che da tempo invo­chiamo l’apertura di un varco, ad esem­pio den­tro il Pd, e nel momento in cui ciò final­mente avviene ci attar­diamo su giu­dizi che hanno a che fare con il posi­zio­na­mento dei diversi inter­lo­cu­tori, da Civati a Fas­sina o Lan­dini, impe­gnato in un’azione tesa a dare nuova forza al mondo del lavoro, piut­to­sto che pro­muo­vere noi per primi luo­ghi d’incontro e di con­fronto nei quali que­ste diverse espe­rienze abbiano modo di par­larsi e di agire sul merito dei pro­blemi. Demo­cra­zia dif­fusa e inno­va­zione poli­tica sono i due ter­reni da dis­so­dare per dare alla sini­stra che vogliamo un pro­prio pro­filo cul­tu­rale e poli­tico e insieme una lea­der­ship affi­da­bile e popo­lare. Qui è il campo dove occorre tra­sfe­rire quel patri­mo­nio utile e ricco che abbiamo accu­mu­lato in Sel in que­sti anni, con l’orgoglio di averci pro­vato e di essere stati capaci nei punti più alti del nostro cam­mino — in Puglia, a Milano, a Cagliari — di spe­ri­men­tare feli­ce­mente. Ragio­nare su que­sto pas­sag­gio, mai come ora così urgente e neces­sa­rio, è la strada giu­sta dove gio­care la sfida che ci attende e, que­sta volta, vincerla.

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