I migranti sbarcano da noi per arraffarsi le nostre ricchezze? Semmai il contrario. Sbarcano incessantemente dal 1990 perché, a partire da quella data, noi sbarchiamo incessantemente nei loro paesi, a seguito dei nostri eserciti, per arraffarci le loro ricchezze, a suon di bombe. Il che provoca il loro esodo.
contropiano.org Patrick Boylan*
Per cui un modo per fermare le orde migratorie in
fuga ci sarebbe: non causarle.
E' azzeccato lo spot
che l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha diffuso il
20 giugno, per la Giornata Mondiale del Rifugiato. Denuncia il record assoluto di sfollati nel mondo verificatosi nel 2014 – sono stati costretti ad abbandonare casa 60 milioni di persone, equivalente all'intera popolazione dell'Italia – e quella cifra potrebbe essere addirittura superata quest'anno. Davanti a questa impennata vertiginosa, mai vista prima, il video lancia allo spettatore un invito pressante: “Chiediti perché.”
Noi della Redazione di PeaceLink ci siamo
chiesti perché – peraltro, è da tempo che ce lo chiediamo – ed ecco le
nostre risposte. Sono due. Una individua una causa push (ciò che
spinge un soggetto ad andar via dal proprio paese, suo malgrado).
L'altra, che sarà oggetto di un successivo editoriale, individua una
causa pull (ciò che noi facciamo, pur lamentandoci dei nuovi arrivi sulle nostre coste, per farli arrivare comunque).
Né l'una né l'altra di queste due cause
hanno a che fare con le spiegazioni razziste o comunque autoassolventi
che circolano oggi con sempre maggiore insistenza, grazie anche ad una
certa stampa e a certi ambienti politici demagogici.
Non crediamo affatto, ad esempio, per
citare la spiegazione populista fornita più frequentemente, che l'ondata
crescente di migranti in quest'ultimi tempi sia dovuta all'“invidia che loro hanno della nostra ricchezza, che vogliono arraffarsi”.
Questa “spiegazione” non regge proprio.
Negli anni del boom economico italiano (1950-1980), infatti, i popoli
dell'Africa e del Medio Oriente, attraverso la TV, conoscevano benissimo
il divario di ricchezza che li separava dal Nord mondiale, eppure non migravano in massa. I dati ONU sulle migrazioni, in particolare quelli nelle caselle verdi, parlano chiaro:
Se i popoli dell'Africa e del Medio Oriente non migravano
in massa, è perché, nonostante il più alto tenore di vita in Europa
durante gli anni del boom, la scelta di migrare, come sottolinea lo spot
dell'Unhcr, è una scelta difficile – non solo per i rischi tremendi, ma
per il tormento di dover abbandonare la propria casa e tutti gli
affetti e, squattrinati, di dover affrontare nuove lingue e nuove
abitudini in ambienti spesso ostili. Tranne per i casi eccezionali, la
migrazione viene rifiutata dalla gente comune – a meno di non esservi
costretti, ad esempio per evitare le bombe.
E allora, perché, dopo 1980, e vertiginosamente negli ultimi quattro anni, c'è stata un'impennata di migrazioni?
Non è che la situazione economica per un
lavoratore in Europa sia diventata, ad un tratto, molto più attraente
rispetto agli anni '60 o '70. Semmai il contrario: il reddito pro capite
per un lavoratore manuale in Europa è sceso in termini reali,
particolarmente negli ultimi sei anni (dati CNEL 2014).
E non è che la situazione economica nei
paesi africani o medio-orientali, tranne per le zone di guerra, sia
diventata, ad un tratto, molto meno attraente rispetto a prima. Semmai
il contrario. Il seguente grafico
illustra, infatti, l'andamento economico recente dell'Unione Europea
nei confronti di sei paesi segnati da guerre o comunque da violenti
conflitti interni. Come si vede, tutti hanno recuperato, più o meno,
dalla crisi economica mondiale nel 2009. Tranne per la Libia, che ha
subito una seconda catastrofe nel 2011: buona parte delle sue
infrastrutture produttive è stata deliberatamente distrutta
dall'aviazione italiana, francese e angloamericana, col pretesto che era
necessario farlo per rovesciare Gheddafi.
Questo grafico dimostra chiaramente,
dunque, che i sei paesi in guerra elencati sopra hanno non solo
recuperato almeno una parte del livello economico da loro raggiunto
prima del 2009 ma, in alcuni casi, hanno persino ridotto il divario tra
loro e l'Unione Europea (che stenta a ripartire).
Tutto ciò significa che chi scappa da
questi paesi in guerra, non scappa da una situazione economica
catastrofica o comunque molto peggiorata rispetto a prima, per ricercare
un presunto “Eldorado” in Europa.
La catastrofe da cui scappa, dunque, non
può essere che la guerra stessa, e le sue conseguenze: la distruzione
della propria casa e la perdita dei propri cari, la paura delle violenze delle milizie nemiche, il timore delle proprie forze armate e dell'aviazione “amica”, che ti può far saltare in aria come “danno collaterale” senza battere ciglio. Perché questa è la guerra.
Anche quelle migrazioni che sembrano
avere origine nelle persecuzioni etniche o religiose sono, in realtà,
fughe dalla guerra – o meglio, da uno sterminio manu militari, condotto
apparentemente in nome di una etnia o di una religione ma, come tutte le
guerre, in realtà per motivi molto più bassi:
il dominio politico-economico di un territorio, anche per conto terzi.
Abitualmente, infatti, questi stermini etnici o religiosi sono istigati e
alimentati da interessi finanziari internazionali che non hanno né
etnia né religione. Pecunia non olet,
Infine, molte migrazioni – che appaiono
provocate dalla povertà, non dalle guerre – possono essere, anch'esse,
ricondotte a fughe da conflitti armati occulti, generalmente istigati e
finanziati dall'Occidente. Emblematico è il caso dell'Eritrea oggi: non
c'è più la guerra guerreggiata interetnica con l'Etiopia, finanziata
dagli USA nel 1998-2000 per rovesciare Isaias Afewerki, il Presidente
eritreo anti NATO e anti Fondo Monetario Internazionale. Ma continuano
comunque gli attacchi sporadici logoranti lungo la frontiera eritrea.
(Nel 2011, l’Etiopia ha ammesso
di sostenere una guerriglia anti-eritrea; l'Eritrea tace ma sicuramente
ne finanzia una anti-etiope.) Inoltre, tramite le sanzioni, l'Occidente
strangola economicamente l'Eritrea, nella speranza che il
depauperamento del paese provochi una rivolta anti regime. (E' la stessa
strategia usata dall'Occidente in passato contro l'Iraq ed ora contro
la Siria.) Infine, ad intervalli, la CIA attua tentativi di golpe nel paese, che porta il regime, già autoritario, a barricarsi (e il paese) ancora di più – permettendo
all'Occidente di inveire ancora di più contro il regime
anti-democratico di Afeweki. In mezzo a tutto ciò, l'Italia mantiene la
propria equidistanza, fornendo armi ad entrambe le parti.
Naturalmente nei mass media occidentali
non appare quasi nulla di tutto ciò: le ondate di profughi eritrei
vengono spiegate come fuga, non da una guerra occulta che noi
alimentiamo, ma da un “feroce dittatore”. L'epiteto virulento
ricorda quello applicato dai mass media a Mu'ammar Gheddafi per
giustificare i bombardamenti del 2011 e il suo assassinio. I mass media
stanno forse sollecitando la nostra adesione ad un'altra operazione del
genere?
Riprendiamo il grafico presentato prima
(“Tabella 2 – Saldi migratori”), questa volta allineando i dati
verticalmente, per poter paragonare la crescita esponenziale delle
migrazioni, a partire dagli anni '90, con la crescita esponenziale delle
guerre, anch'essa a partire dagli anni '90.
Si tratta di guerre che ci riguardano da
vicino perché sono quelle condotte, direttamente o per procura, da noi
occidentali. Vengono condotte in particolar modo attraverso la NATO che,
da forza difensiva atlantica, è passata, all'inizio degli anni '90 e senza alcuna ratifica nei parlamenti europei, a forza offensiva mondiale.
Come si evince dalla tabella, c'è stata
una spaventosa impennata di “guerre per la democrazia” e di “guerre
contro il terrorismo” dopo l'implosione dell'ex Unione Sovietica nel
1990. Infatti, a partire da quel momento, gli USA e i loro alleati,
sotto l'egida della nuova NATO offensiva, hanno potuto usare le loro
armi, incontrastati nel mondo. E ne hanno approfittato, altro che!
Ovviamente la “democrazia” e il
“terrorismo” c'entrano poco con queste guerre; esse vengono condotte,
nella realtà dei fatti, per ben altri motivi. Segnatamente, vengono
condotte per rovesciare regimi non graditi da Washington o da Bruxelles
e per sostituirli con regimi filo NATO e filo Fondo Monetario
Internazionale. E se i nuovi regimi si dimostrano più sanguinari ed
autoritari di quelli vecchi? In questo caso, la NATO fa finta di niente.
Conclusione
La vertiginosa crescita delle migrazioni
nel mondo viene causata in primo luogo – non dalla povertà o dalle
carestie – ma dall'impennata, a partire dal 1990, delle guerre da noi
intraprese nel mondo. I migranti sono i “danni collaterali” delle
operazioni militari che noi lanciamo per impadronirci delle materie
prime e delle altre ricchezze che si trovano nei loro paesi.
Ecco perché il più comune grido razzista – “Via i migranti, vogliono solo arraffarsi le nostre ricchezze!” – è così ipocrita: infatti, i veri saccheggiatori siamo noi. Su scala planetaria. Ma rifiutiamo ostinatamente di vederlo.
Siamo, ahimè, un po' come il marito
ossessivo che accusa continuamente la moglie di presunti tradimenti e
che, poi, si scopre di avere lui un sfilza di relazioni extraconiugali.
Egli teme nella moglie un impulso libidico incontrollato che sa
benissimo di esistere – nella realtà dei fatti – perché ce l'ha lui dentro; e per non guardare in faccia questa triste verità, proietta quell’impulso su di lei. Così il razzista che denuncia l'avidità dei migranti.
Ma lasciamo stare le diatribe razziste.
Pensiamo piuttosto a cosa possiamo fare per ridurre la prima causa delle
ondate di migrazioni – quella push (che spinge un soggetto ad andar via dal proprio paese, suo malgrado).
La risposta è ormai chiara: ridurre il
numero di guerre a cui l'Italia partecipa e, nel contempo, spingere il
Ministro degli Affari Esteri Gentiloni a recuperare il ruolo prestigioso
che l'Italia svolgeva nel Rinascimento, quando i diplomatici italiani
insegnavano a tutta l'Europa l'arte di risolvere pacificamente i
conflitti più intricati.
Ma perché questa soluzione produca
davvero risultati positivi, è essenziale che l'Italia assuma un ruolo
attivo e propositivo nel mondo. Non è sufficiente, infatti, che l'Italia
smetta di partecipare alle guerre, perché diminuiscano gli sbarchi
sulle sue spiagge. L'Italia deve contribuire a fermare le guerre tout court,
anche a costo di dover tener testa ad alleati bellicosi. Bisogna dunque
ripristinare la diplomazia internazionale come vocazione qualificante
del Bel Paese, facendo leva sullo status morale che l'Italia acquisirà
dalla pratica di una ferrea politica di neutralità. E' ciò che fecero,
con successo, molti Paesi Non Allineati durante l'epoca d'oro di quel
movimento.
Sul piano pratico, dal momento che la NATO ci coinvolge in sempre più guerre all'estero, la soluzione più immediata
sarebbe quella di fare campagna per l'uscita dell'Italia dal patto
atlantico e per il pronunciamento formale di uno status di neutralità
internazionale. Rivendicazioni vecchiotte? Pura utopia? Non è detto.
Pochi lo sanno (i giornali si ostinano a non parlarne), ma tre Senatori
della Repubblica, del Gruppo Misto, hanno depositato un Disegno di Legge che chiede proprio quello: si può firmare la petizione a sostegno della loro DL qui.
Male che vada, come ripiego, si potrebbe
fare campagna per rimanere nella NATO ma a titolo di partner, non
membro. Come semplice partner – la qualifica che hanno rivendicato ed
ottenuto l'Austria, la Svezia e l'Irlanda – l'Italia parteciperebbe agli
esercizi NATO di difesa del continente europeo ma, come i predetti
paesi, non sarebbe costretta a partecipare alle guerre offensive
all'estero – peraltro in flagrante violazione dell'art. 11 della
Costituzione italiana.
Come ultima possibilità, per chi trova
che anche un cambio di status all'interno della NATO sia utopistico, si
potrebbe pur sempre fare campagna per uscire dalle varie compagini ad
hoc, create per fomentare e foraggiare le guerre, di cui l'Italia fa
tuttora parte.
Per esempio, si potrebbe chiedere al Ministro Gentiloni:
-
di togliere l'Italia dal Gruppo di Londra (gli ex “Amici della Siria”), la compagine che fornisce le armi ai mercenari jihadisti da noi foraggiati per rovesciare il governo Assad (in palese violazione della carta dell'ONU).;
-
di uscire dalla missione Resolute Support in Afghanistan (dove altri 17 civili sono morti l'altro ieri sotto le bombe delle forze occidentali di occupazione), rimpatriando ora tutte le truppe italiane. Siccome si tratta – su carta se non nella realtà dei fatti – di una missione di addestramento delle truppe afghane, l'Italia non è vincolato dall'art. 5 dello Statuto NATO e perciò non ha nessun obbligo di parteciparvi;
-
di uscire dal Gruppo UE che fornisce gli aiuti militari al governo di Kiev per condurre la sua guerra nel Donbass. Chiediamocelo: se i secessionisti veneti dovessero prendere con le armi piazza San Marco, sarebbe concepibile che un governo italiano ordinasse il bombardamento a tappeto di Venezia “per stanare i terroristi”? Eppure è quello che fa il Presidente ucraino Poroshenko (le parole virgolettate sono sue). Ora basta, egli deve smettere di bombardare il proprio popolo! Non si tratta di cedere nulla a Putin: dal momento che esistono altri modi per risolvere – con successo – i tentativi di secessione, come la storia insegna, bisogna utilizzare quei mezzi, non le bombe. Il Ministro Gentiloni dovrebbe, dunque, non solo interrompere il flusso di aiuti militari italiani a Kiev ma anche minacciare di escludere l'Ucraina dall'UE, ponendo un veto, se il Governo non cercherà di risolvere il conflitto senza i canoni.
Soprattutto, per quanto riguarda la questione specifica dei flussi migratori, si potrebbe chiedere al Ministro Gentiloni
-
di uscire dall'EUNAVFOR Med, la missione anti-scafisti approvata il 18 maggio scorso dai Ministri degli Esteri e della Difesa dell’Unione Europea. Questa missione propone, come “ultima ratio” (ma si sa già come andrà a finire), una vera e propria “guerra agli scafisti” libici per “salvare i migranti dalle loro grinfie” e ridurre i flussi in transito. Si tratta di una balla colossale.
La “guerra agli scafisti”, infatti, è
un chiaro pretesto per ricominciare con i bombardamenti che hanno
devastato la Libia nel 2011. Qualcuno crede ancora che la NATO si sia
mossa allora per difendere i dimostranti libici in piazza, minacciati da
Gheddafi? Figuriamoci. La NATO si è mossa, come in tutte le guerre, per
assicurare ai suoi referenti (ENI per l'Italia, tanto per fare un nome)
il dominio economico-territoriale del paese bersagliato.
Solo che, in Libia, non l'ha ottenuto
completamente; ci sono troppe milizie di ribelli che, dopo l'assassinio
di Gheddafi, non si sono lasciati arruolare dai leader sponsorizzati
dall'Europa. Perciò ora bisogna completare il lavoro di colonizzazione,
annientando tutte le milizie che non ubbidiscono all'auto-proclamato
governo filo-UE. Si tratta di un governo che molti paesi europei hanno
già riconosciuto, disconoscendo nel contempo il governo meno
manovrabile, ma regolarmente eletto, insediatosi a Tripoli. (Ma non
avevamo bombardato la Libia per portarci la democrazia e far rispettare
lo stato di diritto?) L'Italia, poi, sempre per mantenere le
equidistanze, riconosce entrambi i governi.
Quindi, come nel 2011, EUNAVFOR Med,
assistita dalla NATO, si propone di impadronirsi della Libia con un
pretesto umanitario. Ma questa volta, si propone di farlo per davvero,
eliminando ogni opposizione e, nel fare ciò, distruggendo quel poco di
infrastrutture che il paese si è potuto ricostruire finora. Ciò creerà
immancabilmente nuove ondate di migranti che fuggono dalle devastazioni,
ma non importa, fermare le migrazioni non è e non sarà il vero scopo
della missione. Ecco perché bisogna dire no a questo progetto criminale,
strappare l'intesa EUNAVFOR Med, e rifiutare l'utilizzo delle basi
italiane per qualsiasi azione militare in Libia.
Tutto questo per dire che esiste una
soluzione al “problema” delle migrazioni di massa. Anzi, esistono almeno
due soluzioni. La seconda sarà oggetto di un prossimo editoriale: come
eliminare la causa pull delle migrazioni, ossia l'attrattiva.
Per quanto riguarda la prima soluzione, ossia come eliminare la principale causa push che “spinge” a migrare, la si può riassumere in due parole soltanto: Basta guerra!
* Peace Link, attivista della Rete No War
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