Intervista a Juan Carlos Monedero di Matteo Pucciarelli
Ex numero 2 di Podemos, professore di Scienze Politiche con la passione di Gramsci e Marx, è in Italia per il suo libro “Corso urgente di politica per gente decente”: “Senza politica siamo un uccello migratore solitario, privo del riferimento degli altri. La politica è autoaiuto collettivo”. “Alla crisi della democrazia noi rispondiamo con due parole: uguaglianza e diritti”.
Si possono dire cose di sinistra, molto di sinistra, senza mai parlare della sinistra? Si può scrivere un saggio su cosa significhi oggi essere di sinistra – quali valori, quale tensione ideale, quali sentimenti, quali emozioni – senza nominare praticamente mai la parola “sinistra”?
micromega m.pucciarelli |
Così, per capire come abbia fatto Podemos a sfondare ben oltre i recinti classici della sinistra radicale, bisogna ascoltare questo ex consulente del governo di Hugo Chavez appassionato di Antonio Gramsci (e anche di Marx. Ospite alla Fondazione Feltrinelli chiede e ottiene di sfogliare una delle prime copie del Manifesto del partito comunista). Tutto quanto – spiega – «ruota attorno al fare egemonia. Alla necessità di sovvertire il modello di pensiero individualista e consumista imposto dal neoliberismo. Ci hanno rubato le parole. Giocano con le parole e ad esempio la precarietà diventa “flessibilità”. Ci hanno rubato la Politica, con la democrazia che oggi è solo un esercizio di cinque minuti con la matita ogni cinque anni». I socialisti del Psoe hanno attaccato per mesi il neonato movimento, liquidandolo come “populista”. «Ma non sempre il populismo è un fenomeno negativo, è un momento di crisi della democrazia rappresentativa che fa appello al popolo. A questa crisi noi rispondiamo con due parole: uguaglianza e diritti».
Quando Monedero militava in Izquierda Unida, la storica coalizione delle sinistre radicali spagnole e che include il Partito comunista, le sue riflessioni sul come trasformare valori in emozioni capaci di mobilitare, di scatenare una reazione – cosa che i partiti classici non fanno più da anni – «vennero bollate come romanticismo, discorsi da omosessuali». E invece – ragiona – bisogna ripartire proprio da lì, dalle basi, dai comportamenti che qualificano davvero cosa è sinistra e cosa no. Ci si salva da soli oppure insieme agli altri? L’uomo per sua natura tende all’egoismo, una autoselezione della specie dove il più debole soccombe, oppure è capace di cooperare, di godere solo se può farlo anche chi ti sta a fianco?
«Senza politica siamo un uccello migratore solitario, privo del riferimento degli altri. La politica – scrive Monedero – è autoaiuto collettivo. Il noi del nostro io. La lingua che ci permette di parlare a noi stessi ma che è nata per essere dialogo. All’inizio era un gesto, uno sguardo, una mano agitata (“aiutami”), poi divenne una parola che riassumeva il gesto, lo sguardo implorante, la mano agitata che chiamava (“aiutami!”). L’autoaiuto individuale si differenzia da quello collettivo perché presuppone un’esitazione codarda di fronte alla vita. Il coraggio è un grande apripista».
Il successo di Podemos è figlio del movimento degli Indignados e del 15-M, riuscito a portare in piazza centinaia di migliaia di persone, spesso senza alcuna militanza alle spalle; ma pure del coraggio di rompere gli schemi e i legami con le vecchie organizzazioni, sia sindacali che di sinistra. «Scegliemmo le Europee per lanciarci perché sono considerate elezioni di serie B. E non saremmo stati accusati di voler rompere l’unità della sinistra. Prendemmo l’8 per cento a sorpresa e il giorno dopo facemmo le facce nere, tristi: “Non basta. Noi vogliamo conquistare la maggioranza”. Fu un messaggio fortissimo. Il muro del bipolarismo non si è ancora rotto. Ma è apparsa una crepa che ogni giorno diventa più grossa», continua Monedero.
“Egemonia”, appunto, è la parola magica. L’ambizione cioè di incarnare non una nuova opzione politica; ma semmai un contenuto valoriale in antitesi rispetto “al mondo che va alla rovescia”; che va alla rovescia ma nonostante questo viene presentato come l’unico possibile. «La vittoria neoliberista è esattamente questa: aver costruito dei binari sui quali anche la sinistra per molto tempo si è piegata a correre»; così che ci fosse il centrodestra o il centrosinistra al governo cambiava poco. Privatizzazioni, “riforme” del mercato del lavoro, i mercati come entità divine intoccabili e incontrollabili, il rigore a dispetto dell’umanità, il consumo come ciò che ti rende cittadino, la libertà che si riduce alla scelta dentro uno scaffale, che sia di un supermercato che sia elettorale. Ma per ricreare una maggioranza occorre riscoprire il conflitto.
«Politicizzare qualcosa significa portare alla coscienza delle persone il conflitto inevitabile fra gli interessi di individui e gruppi e gli interessi del resto della collettività. L’uomo – sottolinea Monedero – si muove spinto dal desiderio, che nasce a sua volta dall’imitazione, ma il desiderio può realizzarsi solo nella vita sociale. Il conflitto non può essere risolto in maniera radicale privilegiando l’uno o l’altro dei due estremi, ma solo raccogliendo poco alla volta il consenso della maggioranza. Se tutti radicalizzassimo la nostra condizione di individui ci troveremmo di fronte al minimo della politica».
Lo studio dell’America Latina è stato fondamentale per creare Podemos, continua il professore. Perché lì, a differenza della società europea, non avevano più nulla da perdere: il neoliberismo degli anni ’80 e ’90 si era già mangiato tutto. «Mentre in Europa ci si aggrappa a ciò che si ha, timorosi di perderlo», e da qui la conservazione come attitudine mentale. Sempre da laggiù Podemos ha introiettato altre considerazioni: parlare di destra e sinistra non aveva ormai senso, molto più chiaro il basso contro l’alto; il proletariato in sé non esisteva più, così frammentato e confuso, il ruolo centrale della classe operaia è un concetto ormai passato. I partiti non bastavano, piegati su se stessi: occorreva saldarsi con i movimenti.
Si arriva persino a parlare di cinema, a come il “sistema” infili dei messaggi ben precisi dove neanche te lo immagini. «Il popolo che reagisce è criminale. Anche se ne ha tutte le ragioni. Il popolo perbene se ne sta a casa. È Batman, con l’aiuto della polizia, che deve scendere nelle fogne per dare la caccia al movimento sociale (divenuto terrorista, ovviamente) e salvare la città».
Quando invece si tocca l’argomento Italia, Monedero quasi scuote la testa. «Noi non abbiamo nessun rapporto politico con il vostro Paese. Peccato perché siete sempre stati un punto di riferimento culturale per molti anni… Mentre il legame con Syriza è forte. Tsipras? Muy lindo, uno a posto, la sua battaglia è la nostra». Ci sarebbe il M5S «ma in Europa ha scelto un’altra collocazione. Non basta la protesta, serve una proposta con idee chiare e a me pare che nei Cinque Stelle coesistano posizioni troppo distanti tra loro». Iglesias non è Grillo: «È più magro e anche più bello. Ma scherzi a parte, Pablo è un professore di Scienza politica che viene da una storia di sinistra. Fare paragoni è impossibile».
La paura contro la speranza, ecco la sfida del domani. La paura che ti chiude in una stanza o la speranza che ti porta in piazza; un processo individuale oppure uno collettivo. L’iniquità come processo irreversibile o la lotta contro la disuguaglianza motore di una nuova comunità. La vera missione della nuova sinistra è una: «Costruire un immaginario allegro».
Sembra tutto semplice e potabile. Che non lo sia lo dimostra la stessa scelta di Monedero, che da numero 2 di Podemos, eletto in direzione, si è dimesso per diventare militante semplice. «Se si perde il legame con la gente è la fine. Non basta rappresentare, occorre coinvolgere. E sentivo che stavo perdendo il contatto. Così ho le mani libere per fare ciò che so fare, confrontarmi con le persone», chiosa il professor Monedero. Verrebbe proprio da credergli, senza stare a sentire i giornali spagnoli che parlano di dissidi al vertice di Podemos che lo hanno portato a defilarsi.
Che serva un corso urgente di politica, anche e soprattutto in Italia, è sicuramente vero. È riconoscere e riscoprirsi “gente decente” che è un po’ più complicato.
(22 giugno 2015)
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