lunedì 29 giugno 2015

Ricchi con la canapa

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Con la canapa si può fare di tutto. Si presta a mille usi e ha una coltivazione poco impegnativa. In Italia il mercato è ancora di nicchia. Ma chi la propone ha fatturati a tanti zeri
CanapaPuò essere usata per produrre cibo per animali, T-shirt, carte da gioco, birra, combustibile, bottoni, olio, integratori alimentari, carta, mattoni. Con un vantaggio in più. Se mischiata a cotone, seta, lana, la canapa rende i tessuti più soffici e resistenti. La carta oggi prodotta con le fibre della canapa richiede meno additivi chimici di quella di legno e ha nella coltivazione una resa quattro volte superiore. In campo alimentare l’olio di canapa è raccomandato per il contenuto di Omega 3 e Omega 6, mentre semi e farina sono proteici e ricchi di vitamine e minerali, adatti quindi ad arricchire la dieta vegetariana. A Sauris (Ud) poi il birrificio Zahre (www.zahrebeer.com) propone la birra alla canapa, mentre la tedesca Hanf-Natur (www.hanf-natur.de) la impiega in linee di dolci, pasta, müsli e caramelle. Validissima come ingrediente per prodotti cosmetici (saponi, creme, dentifrici), la canapa si presta anche per fabbricare plastiche resistenti e biodegradabili, già in commercio in pannelli interni e cofani di auto. «In Germania si costruiscono addirittura pannelli acustici isolanti» spiega Felice Giraudo, presidente Assocanapa (www.assocanapa.it).
C’è poi un uso energetico, come alimentazione di generatori e motori a scoppio e di biocombustibili, accanto a quello per l’edilizia nella composizione di mattoni e materiali isolanti. Lo sanno bene alla Equilibrium (www.equilibrium-bioedilizia.com) di Lecco, che produce non solo il bio-mattone (pare che faccia risparmiare il 40% dell’energia per riscaldamento), ma anche altri materiali per costruzioni (leganti, truciolati…). Non sorprende quindi che, a livello mondiale, negli ultimi 10 anni il mercato sia raddoppiato, passando da 50mila a 90mila tonnellate di fibra all’anno (di cui 23mila in Europa): complice la semplicità della coltivazione, che richiede poca acqua, non necessita di pesticidi e ha una crescita rapida. La Cina fa la parte del leone, seguita da Cile, Corea del Nord, Canada.
Ma in Italia?
Il business è ancora agli esordi
«In Italia è legale la coltivazione di cannabis sativa, mentre è vietata quella di cannabis indica» prosegue Giraudo. Il divieto riguarda la diversa concentrazione di Thc (tetraidrocannabinolo, un composto stupefacente) e mira quindi a impedire la produzioni di sostanze psicoattive, mentre sono lecite le attività “industriali”. «Ma indica e sativa non sono distinguibili a vista: ecco perché i coltivatori devono richiedere autorizzazione al Ministero della Salute. La burocrazia è lunga: un certificato dall’ex Ente sementi elette, una denuncia alle Forze dell’ordine… Eppure la documentazione è l’ultimo problema per gli operatori. Il vero ostacolo sono gli impianti di lavorazione: in Italia praticamente non esistono, quello progettato da Assocanapa è partito solo da sei mesi. Inviare all’estero il raccolto significa erodere tutti i guadagni. E così quello che per Cina, Francia, Inghilterra e Germania è già un grosso business, in Italia è ancora ai primordi» aggiunge Giraudo. «Da noi si contano tra 50 e 100 coltivatori, a fronte di un raccolto di 400 tonnellate di fibra: sui due milioni di euro il giro d’affari nostrano, però il 40% della materia prima proviene dall’estero. E pensare che negli Usa l’olio di canapa è quotato in Borsa».
Io la coltivo
«La canapa si coltiva sotto gli 800 metri e per l’Italia, che fino al 1950 è stata leader mondiale con la Russia, potrebbe diventare come il petrolio. Rispetto a 20 anni fa la sensibilità di consumatori e industrie è cambiata» attesta Arturo Malagoli, titolare della “canapotecnica” Raggio Verde (vedi box a pag. 64) «Certo, prodotta su suolo nazionale è un materiale che costa di più rispetto a quello a basso costo della Cina. Ma la strategia sta nel proporla come merce di qualità, di nicchia». Esemplare così la storia di Canapuglia (www.canapuglia.it), impresa nata nel 2010 con sovvenzione regionale su progetto di Claudio Natile e Carmine Campaniello, che lo scorso marzo ha piantato mezzo ettaro a canapa e ne sta già promuovendo la farina per preparare pizza (è adatta ai celiaci perché senza glutine) e crêpes, oltre a una miscela di caffè, tutti serviti in loco. Nel catalogo di Canapuglia figurano poi taralli e sfogliatine alla canapa.
La difficoltà, per i commercianti, sta nella mancanza di inquadramenti: vendere prodotti di più settori a base di canapa in uno stesso negozio significa richiedere permessi diversi in più uffici. Il mercato c’è, ma è di nicchia. «Pare che gli aerei costruiti in lana di canapa sarebbero più leggeri: un risparmio di migliaia di euro di carburante per le compagnie aeree. La costruzione di una casa con materiali a base di canapa emette 11mila kg di CO2 rispetto ai 21mila di una casa tradizionale. Chi volesse iniziare a rischiare da subito potrebbe già investire con la coltivazione di un ettaro e darsi da fare per cercare investitori: un impianto per la lavorazione costa sui 500mila euro» conclude Giraudo.
Il pioniere: Arturo Malagoli
«Ho iniziato per sfida, oggi fatturo 5 milioni di euro»
«Scommetto sulla canapa dal 1990, quando ho deciso che per la mia cartotecnica non avrei più usato carta prodotta dal legno. Oggi fatturo cinque milioni di euro e sono convinto che negli anni a venire il business della canapa sarà sempre più profittevole» afferma Arturo Malagoli, 58 anni, titolare di Raggio Verde, azienda che usa la fibra di canapa anziché quella del legno per produrre oggetti da casa e ufficio (zaini e shopper, portaocchiali, cornici, penne e matite…) a Comacchio. «Il listino in genere è sul 30% in più di quello tradizionale: un quaderno per la scuola costa in media 1,50 euro, dove quello in canapa da noi ha un prezzo di 1,90 euro. Stesso discorso per le borse shopper: in cotone vanno a 1,50, mentre in canapa costano 2,50 euro. Per stare sul mercato bisogna fare un discorso sulla qualità e sulla richiesta della gente, che, cifre alla mano, dimostra di voler spendere meno, ma meglio. Il trend tende verso ciò che è biologico, naturale: così i prodotti cosmetici alla canapa – sapone, crema per mani, corpo e viso – che ho da poco commercializzato, si sono trasformati in breve e senza investimenti promozionali in un business. Eppure ho iniziato quasi per gioco, perché mi avanzava dell’olio di canapa. Ma dal prossimo anno organizzerò la distribuzione in erboristeria con il nuovo marchio creato ad hoc, Xenia. E ho, tra i progetti più prossimi, la distribuzione capillare dei miei prodotti nelle librerie».
Una storia esemplare
«Come abbiamo creato la bottega della canapa partendo da zero»
«Il mercato della canapa in Italia è ancora poco conosciuto. Ma l’interesse è in crescita. Noi abbiamo pensato di riproporre una tradizione emiliana con nuovi occhi» spiegano Massimiliano Spinelli, 40 anni, e Giacomo Masioli, 38, di Cesena (nella foto sopra), che nel marzo 2003 hanno aperto la Bottega della Canapa, negozio su strada di prodotti in canapa. «L’idea? Gestivo un circolo equosolidale e quindi avevo già una sensibilità verso i temi ambientali. Inoltre avevamo amici all’estero che ci raccontavano la loro predilezione per questo materiale. Abbiamo così deciso di scommetterci 50mila-70mila euro per aprire il negozio» prosegue Spinelli. È stata proprio la “verticalità” dell’assortimento il volano per il successo di un’attività che, nel giro di sei mesi dopo l’apertura, è stata replicata da un secondo negozio in affiliazione. «Proponiamo alimentari, cosmetici, abbigliamento, accessori (cinture, calzini, portafogli…), scarpe e, da poco, indumenti intimi. Circa 24-36 mesi il rientro dall’investimento, a fronte di un fatturato sui 200mila euro. Importiamo da Danimarca e Germania, che veicolano anche stoffe dall’Asia: scegliamo solo aziende con certificazioni etiche e ambientali e troviamo i prodotti recandoci a fiere europee dedicate al biologico e al naturale. Con un partner danese abbiamo avviato la produzione e la distribuzione di abbigliamento in canapa a marchio Pacino, a sua volta certificato nel lato etico e in quello ambientale. Di produzione italiana i cosmetici, che esportiamo in Inghilterra e Germania con nostro marchio» racconta Spinelli. I prodotti più richiesti? Borse, abbigliamento e alimentari. I ricarichi sono in linea con quelli dei prodotti non ecologici e partono dal 5-10% sugli alimentari per arrivare al 30% sull’abbigliamento. «Dal primo giorno abbiamo destato interesse e a Cesena abbiamo clienti che vengono da Mantova, Ancona… Per farci conoscere, siamo partiti dai nostri vecchi contatti del circolo equosolidale. Abbiamo poi partecipato a parecchie fiere, come il Sana di Bologna e saloni stranieri. Infine, ha giocato a nostro favore la conoscenza del prodotto da parte di molti consumatori romagnoli, consapevoli della coltivazioni tradizionali locali (nel 1910 in Emilia erano coltivati 45mila ettari in canapa, cioè la metà del totale nazionale, ndr)» spiega Spinelli.
Il franchising «Due le basi dell’attività: un bacino di almeno 100mila abitanti e una location in una zona ad alta frequentazione. Circa 100 mq la superficie di vendita. Sui 50mila-60mila euro l’investimento iniziale, a cui fa fronte un fatturato a regime di 150mila-200mila euro» conclude Spinelli.
INFO: www.bottegadellacanapa.it

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