enrico campofreda
Combattenti del Rojava, abitanti, attivisti, ma
anche osservatori internazionali e analisti strategici si domandano cosa ci sia
dietro il nuovo attacco dell’Isis alla città simbolo di Kobanê. Un attacco
anomalo. Condotto in sordina, mascherato, compiuto da reparti che vestivano
divise simili a quelle dell’Esercito siriano libero, addirittura pronunciando
frasi in kurdo, come hanno riferito alcuni testimoni di rastrellamenti di
abitazioni civili in due aree d’una città resa spettrale da mesi di fuoco
incrociato. Parole volte al disorientamento, unite a successivi gesti di
terrore con l’assassinio di decine di inermi cittadini, compresi donne e
bambini. I miliziani neri non sono nuovi a sotterfugi, raggiri, e soprattutto a
crudeltà esasperate profuse a filo di lama o con qualsiasi strumento. Ieri
hanno usato pallottole e bombe per istillare panico e nuova voglia di fuga. La
presenza stanziale della popolazione li infastidisce, soprattutto quando sanno
che quella gente resiste e resisterà senza piegarsi al proprio volere. Sia
l’enclave di Kobanê, sia la località di Tal Abyad creano non pochi ostacoli
alla pianificazione dello Stato Islamico che nella parte nord, lungo tutto il
confine turco (un confine dimostratosi in varie circostanze amico) deve fare i
conti col sigillo combattente delle Unità di protezione del popolo.
Ora nei rovesci del fronte la tendenza militare
delle ultime settimane potrebbe produrre un tentativo di sfondamento delle Ypg verso
Raqqa, la cui direttrice è aperta dopo la riunificazione dei collegamenti
diretti fra i tre cantoni kurdi. Temendo un simile attacco, magari solo come
fobìa insinuata nell’istituzione che i fedelissimi di Al-Baghdadi hanno
costruito per mesi e che il 29 giugno segna un anno di vita, è partita
quest’operazione disturbatrice. Diversificatrice verso Kobanê e Hassakeh,
località che fra loro distano oltre 270 km, e che per essere difese richiameranno
miliziani del Rojava verso est e ovest, distogliendoli appunto da un possibile
impiego da Tal Abyad in direzione sud per Raqqa. Fra i due centri corrono una
novantina di chilometri, ma le forze kurde sono scese nella ancor più vicina Ain
Issa, a quaranta chilometri dalla capitale del Califfato. Insomma sarebbero in
corso operazioni tattiche. I comandanti di Baghdadi che, in più circostanze
avevano mostrato una predilezione per comportamenti da esercito, non solo nelle
parate post conquista ma per come si dispongono nello scontro, in queste ore sono
passati a pratiche di guerriglia. Usano miliziani in ranghi ridotti, con
formazioni leggere capaci di sganciarsi, colpire e dileguarsi. Magari solo per
svariare e impegnare il nemico in luoghi differenti da quelli predisposti per i
principali obiettivi. Nel Rojava lo scontro continua.
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