Il 20 e 21 maggio 2015 si è tenuto il meeting del Comitato militare della Nato a cui hanno partecipato i leader delle forze armate dei 28 paesi dell’Alleanza atlantica. L’incontro è servito a fare il punto sui programmi odierni e futuri e ad approfondire le “minacce alla sicurezza” nelle regioni orientali e meridionali della Nato.
contropiano.org Antonio Mazzeo
“Il meeting
del Comitato dei Capi della difesa ha consentito di reiterare il pieno
supporto Nato all’Ucraina e alla sua sovranità e integrità territoriale
adesso che proseguono e aumentano le violazioni dell’accordo per il
cessate il fuoco da parte dei separatisti sostenuti dalla Russia e il
loro uso di armi pesanti”, riporta il comunicato finale sottoscritto da
tutti i partecipanti al vertice. “I Capi della difesa riaffermano
altresì il loro solido impegno a favore delle odierne missioni Nato,
valutando positivamente i progressi registrati con la missione KFOR in
Kosovo e discutendo sulle problematiche ancora presenti in Afghanistan,
dove sta per essere avviata la missione addestrativa Resolute Support
per supportare e assistere le forze di sicurezza afghane”.
All’ordine del giorno del Comitato militare, infine, i nuovi strumenti di dispiegamento rapido in tutte le aree critiche del pianeta varati al summit della Nato tenutosi in Galles lo scorso anno. “Abbiamo potenziato le nostre capacità di analisi e intelligence, stiamo accelerando le modalità di assunzione delle decisioni, stiamo esplorando nuovi modi di lavorare con i nostri partner internazionali e stiamo implementando il più grande rafforzamento della nostra difesa collettiva dalla fine della Guerra fredda, grazie al Readiness Action Plan (RAP) approvato il 5 settembre 2014 al Summit in Galles”, spiega il generale Knud Bartels, presidente del Nato Military Committee. “Infine stiamo incrementando la prontezza e l’efficienza di tutte le nostre forze armate, a partire della Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), la forza congiunta di pronto intervento che sarà pienamente operativa nel 2016”.
Come sottolineato nella dichiarazione finale dell’ultimo Summit dell’Alleanza, il Readiness Action Plan ha lo scopo di consentire alla Nato di “rispondere velocemente e con fermezza alle nuove sfide alla sicurezza”, grazie all’utilizzo di un “coerente” pacchetto di strumenti militari “ai confini dell’Alleanza e anche più lontano”. I rischi e le minacce maggiori - secondo gli strateghi Nato - “sono posti in essere dalla Russia” o “provengono dalle nostre regioni meridionali, dal Medio oriente e dal Nord Africa”. Nello specifico, il nuovo Piano di pronto intervento prevede il rafforzamento della presenza Nato nell’Europa centrale ed orientale grazie ad una serie di “misure di sicurezza” (assurance measures) e, a più lungo termine, il cambiamento della postura delle forze armate con alcune adaptation measures che “accresceranno le capacità dell’Alleanza nel rispondere ancora più velocemente alle emergenze, ovunque esse si presentino”.
All’ordine del giorno del Comitato militare, infine, i nuovi strumenti di dispiegamento rapido in tutte le aree critiche del pianeta varati al summit della Nato tenutosi in Galles lo scorso anno. “Abbiamo potenziato le nostre capacità di analisi e intelligence, stiamo accelerando le modalità di assunzione delle decisioni, stiamo esplorando nuovi modi di lavorare con i nostri partner internazionali e stiamo implementando il più grande rafforzamento della nostra difesa collettiva dalla fine della Guerra fredda, grazie al Readiness Action Plan (RAP) approvato il 5 settembre 2014 al Summit in Galles”, spiega il generale Knud Bartels, presidente del Nato Military Committee. “Infine stiamo incrementando la prontezza e l’efficienza di tutte le nostre forze armate, a partire della Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), la forza congiunta di pronto intervento che sarà pienamente operativa nel 2016”.
Come sottolineato nella dichiarazione finale dell’ultimo Summit dell’Alleanza, il Readiness Action Plan ha lo scopo di consentire alla Nato di “rispondere velocemente e con fermezza alle nuove sfide alla sicurezza”, grazie all’utilizzo di un “coerente” pacchetto di strumenti militari “ai confini dell’Alleanza e anche più lontano”. I rischi e le minacce maggiori - secondo gli strateghi Nato - “sono posti in essere dalla Russia” o “provengono dalle nostre regioni meridionali, dal Medio oriente e dal Nord Africa”. Nello specifico, il nuovo Piano di pronto intervento prevede il rafforzamento della presenza Nato nell’Europa centrale ed orientale grazie ad una serie di “misure di sicurezza” (assurance measures) e, a più lungo termine, il cambiamento della postura delle forze armate con alcune adaptation measures che “accresceranno le capacità dell’Alleanza nel rispondere ancora più velocemente alle emergenze, ovunque esse si presentino”.
Le dispendiose misure adottate dai comandi di Washington e
Bruxelles per consolidare l’immagine e il ruolo di una Nato sempre più
invasiva e globale (e ipocritamente giustificate di fronte l’opinione
pubblica con le “aggressive azioni russe in Ucraina”), saranno coperte
finanziariamente da tutti i 28 paesi dell’Alleanza. A partire del maggio
2014, il “pacchetto sicurezza” della Nato ha previsto la crescita del
numero dei cacciabombardieri impiegati in operazioni di pattugliamento
dello spazio aereo delle Repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e
Lituania) e il rischiaramento di numerosi velivoli da guerra e da
trasporto alleati in alcuni aeroporti della Romania e della Polonia. A
partire dal 1° maggio di quest’anno, invece, Belgio, Italia, Gran
Bretagna e Norvegia hanno rafforzato il loro impegno nelle attività di
vigilanza dello spazio aereo dell’Europa centrale e orientale;
Portogallo e Stati Uniti hanno inviato aerei da guerra in Romania per
svolgere attività addestrative congiunte; gli aerei radar AWACS della
forza Nato di sorveglianza e intelligence con base in Germania hanno
avviato missioni spia nei territori più orientali dell’Alleanza e di
pattugliamento nel mar Baltico. Ancora nel Baltico, in Mar Nero e nel
Mediterraneo sono stati intensificati i pattugliamenti dei gruppi navali
di pronto intervento e di contro-misure mine ed è progressivamente
aumentato anche il numero delle unità di superficie e di profondità
rischierate negli scacchieri marittimi strategici.
“Alcune unità terrestri sono state inviate su base rotativa nelle
regioni orientali dell’Alleanza per partecipare ad esercitazioni e
attività addestrative e migliorare le capacità di risposta e intervento
della Nato Response Force (NRF)”, spiegano i vertici del Comando alleato
interforze. Il Summit dei ministri della Nato in Galles ha deciso di
triplicare il numero dei militari assegnati alla NRF, portando la
composizione della forza di rapido intervento a 30.000 effettivi
provenienti dai reparti altamente specializzati (terrestri, marittimi e
aerei) alleati.Corpo d’élite della nuova NRF sarà proprio la Very High
Readiness Joint Task Force (VJTF) al centro delle analisi del Comitato
militare Nato del 20 e 21 maggio scorso. Enfaticamente
soprannominata Spearhead (punta di lancia), la VJTF sarà composta da una
brigata di terra di 5.000 militari circa, supportata da forze aeree e
navali speciali e, in caso di crisi maggiori, da due altre brigate con
capacità di dispiegamento rapido. “La Spearhead force sarà in grado di
essere schierata in meno di 48 ore”, afferma il Comando Nato. “In
particolare, essa potrà essere di grande aiuto nel contrastare
operazioni irregolari ibride come ad esempio lo schieramento di truppe
senza le insegne nazionali o regolari e contro gruppi d’infiltrati e
agitatori. La leadership e la fornitura di truppe e reparti
alla Spearhead e alla NRF saranno garantite a rotazione e su base
annuale da alcuni paesi membri dell’Alleanza”. Sino al prossimo anno,
saranno Danimarca, Germania e Olanda a contribuire alle attività della
neocostituita punta di lancia Nato. Sei sono invece i paesi offertisi a
dirigere le future operazioni della Response Force: Germania, Italia,
Francia, Gran Bretagna, Polonia e Spagna.“Al fine di garantirne la
massima prontezza operativa, la task force si avvarrà di sei nuovi
centri multinazionali di comando e controllo dislocati in Bulgaria,
Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania”, ha annunciato il
Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. “Se esploderà una
crisi, questi centri renderanno ancora più rapidi i dispiegamenti delle
forze nazionali e Nato; intanto contribuiranno a rafforzare la
cooperazione interalleata e a preparare, coordinare e supportate le
attività addestrative e le esercitazioni”. Al potenziamento dei
dispositivi pro task force concorreranno pure altri programmi varati di
recente, come ad esempio quelli relativi all’ampliamento delle
infrastrutture e delle funzioni del quartier generale del Multinational
Corps Northeast di Szczecin, Polonia, e alla sua trasformazione in hub
per la “cooperazione militare regionale”; il preposizionamento di
attrezzature, velivoli e sistemi d’arma in alcune basi dell’Europa
orientale; la realizzazione o il potenziamento di nuove infrastrutture
strategiche come scali aeroportuali e porti ancora tra nei paesi alleati
dell’Est Europa.
Al pericoloso processo di riarmo e militarizzazione in atto
contribuiscono pure le sempre più intense attività addestrative
organizzate in ambito multi o bilaterale. Lo scorso mese di aprile, ad
esempio, l’esercito degli Stati Uniti d’America ha trasferito centinaia
di carri armati e altri veicoli corazzati in Polonia e nelle Repubbliche
baltiche per partecipare all’esercitazione Dragoon Ride. Sempre ad
aprile sono state condotte altre due importanti esercitazioni
alleate: Noble Jump, che ha consentito di testare in Olanda e nella
Repubblica Ceca le capacità di mobilitazione della Very High Readiness
Joint Task Force (VJTF) con più di 1.500 militari (alcuni provenienti
dalla Germania) e la supervisione del Joint Force Command di stanza a
Lago Patria, Napoli; Joint Warrior, maxi-esercitazione navale al largo
della Scozia con più di 50 unità di superficie, tra cui un gruppo
italiano, 70 velivoli e 13.000 militari. Nel mese di maggio si sono
svolte inveceDynamic Mongoose, un’esercitazione per la guerra ai
sottomarini a largo della Norvegia con più di 5.000 uomini e le
complesse attività di tiro a fuoco in Polonia da parte di decine di tank
“Leclerc” della fanteria francese e di un corpo d’élite dell’esercito
tedesco.
Di dimensioni ancora maggiori le attività addestrative previste
dalla Nato per il prossimo mese di giugno, congiuntamente denominate
“Allied Shield” e che vedranno operare complessivamente oltre 11.000
militari di 19 paesi. Dal 5 al 15, nelle acque del Baltico, le unità da
guerra, i sottomarini e 4.500 militari di 14 paesi dell’Alleanza
(Belgio, Canada, Danimarca, Estonia, Francia, Gran Bretagna, Lettonia,
Lituania, Norvegia, Olanda, Polonia, Turchia, Usa) e di tre paesi
europei filo-Nato (Finlandia, Georgia e Svezia) si prepareranno alle
operazioni di guerra navale e anti-sottomarina, all’abbordaggio in mare
aperto e allo sbarco anfibio (Baltops). Alla vasta esercitazione
parteciperanno tra l’altro due Standing Maritime Group e gli AWACS della
Nato, 47 imbarcazioni da guerra, 49 elicotteri d’assalto UH-60
“Blackhawks”, CH-47 “Chinook” e AH-64 “Apache”, i bombardieri strategici
B-52 e finanche la 173rd Airborne Brigade, la brigata aviotrasportata
dell’US Army di stanza a Vicenza.
I war games alleati proseguiranno con Saber Strike (dall’8 al 19
giugno), esercitazione terrestre nelle Repubbliche baltiche e in Polonia
a cui è prevista la presenza di 3.000 militari provenienti pure da
Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Norvegia, Stati Uniti e
dall’immancabile Finlandia, paese sempre più deciso ad abbandonare la
sua “neutralità” per fare ingresso nella Nato globale e anti-Russia. Dal
10 al 21 giugno, nel poligono di Zagan, Polonia, 2.100 militari di
Belgio, Germania, Lituania, Norvegia, Olanda, Repubblica Ceca, Ungheria e
Usa daranno vita a Noble Jump2, “il primo test di dislocamento
operativo della forza di pronto intervento VJTF”, come spiegato dai
Comandi alleati SHAPE e JFC Naples che coordineranno le attività
addestrative. I giochi bellici proseguiranno in Italia, Bulgaria e
Romania dal 17 al 28 giugno con Trident Joust: sotto la leadership
del Joint Force Command di Lago Patria Napoli, 1.500 militari
contribuiranno a “migliorare l’efficienza e le capacità di proiezione
della NRF Nato”.
L’appuntamento chiave per la sperimentazione delle nuove strategie
interventiste della Nato è previsto tuttavia per il prossimo autunno.
Dal 21 ottobre al 6 novembre si terrà infattiTrident Juncture, “la più
grande esercitazione della Nato dalla fine della Guerra fredda”, come
viene presentata dai capi dell’Alleanza. Vi parteciperanno più di 30.000
militari, 200 velivoli da guerra e 50 unità navali mentre tutte le
attività si terranno nelle acque dello Stretto di Gibilterra, in Spagna,
Portogallo ed Italia. Trident Juncture avrà il compito di certificare
gli elementi di comando e controllo della NRF, pienamente operativa dal
2016. “L’esercitazione simulerà uno scenario adattato alle nuove
minacce, come la cyberwar e la guerra asimmetrica e rappresenterà,
inoltre, per gli alleati ed i partner, l’occasione per migliorare
l’interoperabilità della Nato in un ambiente complesso ad alta
conflittualità”. Una prova generale per le odierne o prossime
inevitabili guerre: in Ucraina e in Caucaso; in Siria, Iraq,
Afghanistan, Pakistan e Yemen; in Libia, Corno d’Africa, Mali, Niger e
in Golfo di Guinea…
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