Dall’Ucraina al Medio Oriente i conflitti stanno diventando una morale stabile. Come nel 1914 il fanatismo domina non solo nelle tirannidi ma anche nelle democrazie.
(DOMENICO QUIRICO – lastampa.it)
E se questo fantastico, mostruoso sforzo, e questi lutti innumerevoli fossero senza scopo? Se questo sforzo doloroso, metodico, immenso, lento tanto che dura da due anni e sembra senza fine e si abbarbica e scava tane e si caccia avanti e procede a sbalzi, pompando tutte le energie, tutte le ricchezze da molte nazioni e che ha dietro le sue spalle tutto quello che esige per il suo sforzo, fosse senza scopo? Se la fecondità della guerra anche quella vittoriosa (ma tutti spergiurano di poter vincere!) fosse null’altro che un’ombra? Una ipotesi, terribile: tutte le previsioni degli economisti che attendono l’esaurimento della ricchezza del nemico, le previsioni degli strateghi che aspettano di vedere, da un momento all’altro, il vincitore cadere seppure esausto sul vinto, tutte le profezie facili e per questo da due anni irreali, potrebbero essere sbagliate e l’unica vera è la parola del Papa, che dice con tono tolstoiano, inascoltato e sempre più flebile: è inutile. Forse bisogna dirlo, spietatamente: il pacifismo si è posto questa domanda e dopo due anni il pacifismo ha fallito. Una causa mirabile, di più, necessaria, l’unica degna, si è, nonostante gli sforzi di pattuglie indomite, liquefatta nella pratica. Ancora una volta, purtroppo.
Sospendete le marce, i raduni non certo oceanici, i dibattiti, mettete da parte striscioni, slogan, bandiere. Perché bisogna scrivere un nuovo manifesto del pacifismo adatto all’era delle nuove guerre.
In fondo a più di un secolo da Romain Rolland tutto sembra come allora chiaro: combattere contro la guerra, il male è il male, l’idiozia è l’idiozia, il massacro è il massacro, e nessuna ragione al mondo permette di farsene complici o propagandisti. Anche lo scrittore francese ebbe la tentazione che si ripete oggi: accettare la Grande guerra come un crogiuolo in cui si sarebbe liquefatto il mondo dei perturbatori della pace, una necessità della Storia o un volere di dio a seconda dei punti di vista. Ma respinse l’ipocrisia di moralizzare il massacro. Pensava che bisognava mantenere sgombra la cittadella della intelligenza; e fosse colpevole che le diplomazie, mentre i soldati si battevano, non facessero il possibile e l’impossibile per metter fine al conflitto in modo onorevole e si lasciassero inghiottire, come oggi!, dal mito della vittoria che annienta il nemico anche in quello che ha di civile. E restò con il riscaldarsi degli animi, solo, accusato di esser filo tedesco dai francesi e detestato dai tedeschi. Non è un’immagine in cui a un secolo di distanza molti pacifisti, a iniziare dal Papa, possono, sconsolati, riconoscersi?
Dove si è sbagliato, dunque? Nessuna guerra, dal 1914, è stata fermata dal movimento pacifista, dalle piazze mobilitate per la pace, dalle bandiere arcobaleno, dagli uomini miti e di buona volontà.
Nel secolo breve uno solo è riuscito, Lenin nel 1917: proponendo come atto politico lo sciopero dei soldati, il ritiro unilaterale dalla carneficina, lo svelamento dei criminali accordi per il banchetto delle spartizioni del dopoguerra. Non era pacifista. Aveva bisogno dei combattenti, disgustati dal massacro, per fare la sua rivoluzione. E usarli poi per un’altra guerra, quella civile.
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