martedì 23 aprile 2024

DOMENICO QUIRICO. Il fallimento del pacifismo nell’era delle nuove guerre.

Dall’Ucraina al Medio Oriente i conflitti stanno diventando una morale stabile. Come nel 1914 il fanatismo domina non solo nelle tirannidi ma anche nelle democrazie.

 

(DOMENICO QUIRICO – lastampa.it)

E se questo fantastico, mostruoso sforzo, e questi lutti innumerevoli fossero senza scopo? Se questo sforzo doloroso, metodico, immenso, lento tanto che dura da due anni e sembra senza fine e si abbarbica e scava tane e si caccia avanti e procede a sbalzi, pompando tutte le energie, tutte le ricchezze da molte nazioni e che ha dietro le sue spalle tutto quello che esige per il suo sforzo, fosse senza scopo? Se la fecondità della guerra anche quella vittoriosa (ma tutti spergiurano di poter vincere!) fosse null’altro che un’ombra? Una ipotesi, terribile: tutte le previsioni degli economisti che attendono l’esaurimento della ricchezza del nemico, le previsioni degli strateghi che aspettano di vedere, da un momento all’altro, il vincitore cadere seppure esausto sul vinto, tutte le profezie facili e per questo da due anni irreali, potrebbero essere sbagliate e l’unica vera è la parola del Papa, che dice con tono tolstoiano, inascoltato e sempre più flebile: è inutile. Forse bisogna dirlo, spietatamente: il pacifismo si è posto questa domanda e dopo due anni il pacifismo ha fallito. Una causa mirabile, di più, necessaria, l’unica degna, si è, nonostante gli sforzi di pattuglie indomite, liquefatta nella pratica. Ancora una volta, purtroppo. 

Sospendete le marce, i raduni non certo oceanici, i dibattiti, mettete da parte striscioni, slogan, bandiere. Perché bisogna scrivere un nuovo manifesto del pacifismo adatto all’era delle nuove guerre.

In fondo a più di un secolo da Romain Rolland tutto sembra come allora chiaro: combattere contro la guerra, il male è il male, l’idiozia è l’idiozia, il massacro è il massacro, e nessuna ragione al mondo permette di farsene complici o propagandisti. Anche lo scrittore francese ebbe la tentazione che si ripete oggi: accettare la Grande guerra come un crogiuolo in cui si sarebbe liquefatto il mondo dei perturbatori della pace, una necessità della Storia o un volere di dio a seconda dei punti di vista. Ma respinse l’ipocrisia di moralizzare il massacro. Pensava che bisognava mantenere sgombra la cittadella della intelligenza; e fosse colpevole che le diplomazie, mentre i soldati si battevano, non facessero il possibile e l’impossibile per metter fine al conflitto in modo onorevole e si lasciassero inghiottire, come oggi!, dal mito della vittoria che annienta il nemico anche in quello che ha di civile. E restò con il riscaldarsi degli animi, solo, accusato di esser filo tedesco dai francesi e detestato dai tedeschi. Non è un’immagine in cui a un secolo di distanza molti pacifisti, a iniziare dal Papa, possono, sconsolati, riconoscersi?

Ecco la realtà di oggi che si specchia in quella del 1914. Tutti nei campi avversi scoprono che l’avversario è un barbaro, lo è sempre stato, non ha dato nulla alla civiltà. 
Il bellicismo invade gli scritti di “chierici” che non sono fedeli alla regola di parteggiare sì ma attenendosi alla ragione; la stupidità come sempre genera mostri; piccoli uomini meschini tengono la ribalta vantandosi con atti e parole di assassinare perfino il futuro e dietro il fanatismo mascherano la malafede e la vergogna di essersi degradati a strumenti. 
Con il prolungarsi delle guerre ci si accanisce sempre più contro coloro che, lottando per la pace invocando la ragione, vogliono «mutilare la vittoria». 
Le voci fanatiche hanno il sopravvento almeno di frastuono non solo nelle tirannidi oligarchiche o che bestemmiano dio annettendoselo, ma anche nelle democrazie. Qui alla libertà e al diritto si mescola un estremismo delle idee che rende la corruzione intera. Non è più la guerra politica che costringe al gesto democratico di vincere un totalitarismo o l’incendio purificatore della guerra rivoluzionaria. 
La guerra sta diventando silenziosamente una morale stabile oltre che un’economia stabile, una deforme religione di Stato, anche di quelli democratici. 
Il fragore delle stragi e il numero dei morti, quotidianamente sempre più mostruoso, non paiono più sacrilegi.
Fa capolino sotto spoglie neppure troppo aggiornate e molto più rozze, l’Hegel de “La filosofia del diritto”, che spiegava che c’è un elemento morale nella guerra e alla fine sul paesaggio di rovine e di dolore inconsolabile che nulla può placare, si cela comunque una astuzia della Storia: portare alla realizzazione dello “spirito del mondo” ovvero la giustizia e la pace, ovviamente la nostra.
È l’argomentazione sofistica di molti semplificanti: come si può dire che la guerra è solo un male se serve alla giustizia cioè al bene e per paradosso come si può dire che è contraria alla pace quando serve per ottenerla, ovviamente giusta?
 
Dopo due anni di mobilitazione pacifista c’è chi mette a merito della guerra aver risvegliato dal letargo le democrazie occidentali e reso più saldo il patto tra loro, aver costretto l’Europa-bancomat a dotarsi di una industria comune delle armi e chissà forse un esercito. 
O ai massacri di Palestina di aver riproposto l’urgenza di una soluzione al problema palestinese! Insomma, il maggior bene della guerra è in lei stessa… ahi, Hegel!

Dove si è sbagliato, dunque? Nessuna guerra, dal 1914, è stata fermata dal movimento pacifista, dalle piazze mobilitate per la pace, dalle bandiere arcobaleno, dagli uomini miti e di buona volontà. 

Nel secolo breve uno solo è riuscito, Lenin nel 1917: proponendo come atto politico lo sciopero dei soldati, il ritiro unilaterale dalla carneficina, lo svelamento dei criminali accordi per il banchetto delle spartizioni del dopoguerra. Non era pacifista. Aveva bisogno dei combattenti, disgustati dal massacro, per fare la sua rivoluzione. E usarli poi per un’altra guerra, quella civile.

Allora: il pacifismo o è rivoluzionario o non è. 
Non ovviamente nel senso del ricorso alla violenza. Ma deve abbandonare la tattica delle marce giudiziose, delle prediche ecumeniche, degli appelli alla bontà e alla ragionevolezza umana. 
Bisogna adottare e capovolgere a loro danno i metodi del Nemico, il bellicismo di chi nella ennesima età del ferro ha un produttivo salasso da mettere al servizio dei propri interessi economici e di potere. 
È l’ora di fare i nomi non solo degli aggressori e dei prepotenti ma anche dei responsabili delle bugie e dei mancamenti nel nostro campo, di mettere sugli striscioni gli indirizzi degli elemosinieri occidentali della guerra a oltranza, i loro colpevoli affari, gli opulenti e insanguinati fatturati. Prima che sia troppo tardi.

Nessun commento:

Posta un commento