A parte il Codice etico che raccomanda ai candidati di fare i bravi, il Pd ha pronta un’altra infallibile soluzione contro gli scandali tipo Bari e Torino: ripristinare il finanziamento pubblico ai partiti.
(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano)
L’idea del finanziamento pubblico per evitare le mazzette poteva reggere quando nacque, nel 1974, dopo lo scandalo petroli (tutti i partiti, maggioranza e opposizione, a libro paga dell’Unione petrolifera in cambio di sconti fiscali). Poi i partiti iniziarono a incassare soldi dallo Stato e continuarono a prendere mazzette dai privati. Tante Tangentopoli locali fino a quella nazionale del ’92. Perciò nel ’93 gl’italiani corsero al referendum per abolire il finanziamento pubblico. Questo però rientrò dalla finestra come “rimborso elettorale”. Che, calcolato a forfait e senza ricevute, copriva 4-5 volte le spese. E saliva di anno in anno con voti bipartisan, fino a diventare una tassa-monstre di 10 euro l’anno per ogni elettore (contro 1,1 del ’93). Nel 2009 i partiti avevano già rapinato le nostre tasche per 2,2 miliardi. Senza rinunciare alle mazzette. E piangevano pure miseria. Nel 2013, per frenare l’avanzata dei 5Stelle e di Renzi (ancora in versione grillina di “rottamatore”), il governo Letta introdusse il finanziamento pubblico indiretto e volontario col 2xmille delle tasse. Ma, siccome la credibilità dei partiti è rimasta sottozero, devolvono in pochi: 16 milioni di euro in tutto all’anno. Di qui l’ideona di rimetterci le mani in tasca senza che ce ne accorgiamo. Con un’altra scusa: “Senza finanziamento pubblico fanno politica solo i ricchi”. Infatti, appena fu ripristinato sotto mentite spoglie, arrivò il miliardario B.. E, appena fu abolito, vinse il M5S senza un soldo.
Nessun commento:
Posta un commento