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A quanto pare è un po’ difficile venire a capo del primo verdetto emesso della Corte di giustizia internazionale su Israele perché tutte le parti hanno un qualche interesse a mettere l’accento su una presunta vittoria dei palestinesi e del Sudafrica che ha presentato l’accusa di genocidio: i sionisti perché dà loro modo di coltivare ancora di più il vittimismo senza che tuttavia sia arrivato un ordine, una prescrizione a smetterla con i bombardamenti sulla popolazione civile di Gaza, i filopalestinesi perché dopotutto la sentenza riconosce al governo di Tel Aviv dei torti, gli Usa perché così possono far vedere che questa corte ritagliata solo sugli interessi occidentali è invece obiettiva, come se non sapessimo che in questo momento è nell’interesse di Washington non essere associata al genocidio, benché fornisca le armi per attuarlo. La solita merda insomma.
In realtà la sentenza della corte è un bizzarro miscuglio in cui si dice che Israele sta potenzialmente attuando misure che potrebbero rivelarsi genocide, ma poi rifiuta di attuare la richiesta più importante avanzata dai giuristi sudafricani ovvero la sospensione delle operazioni militari dentro e contro Gaza. Per riassumere la Corte di giustizia ha invitato Israele a seguire un decalogo di azioni per prevenire il genocidio, di aiutare le donne palestinesi a partorire, di curare i feriti, nutrire i civili e di tornare fra un mese per riferire sui passi compiuti in questo senso. Purtroppo scarseggiano i testimoni ufficiali perché le truppe israeliane prendono di mira i giornalisti e tutte le informazioni trapelano con difficoltà attraverso un muro di rigidissima censura, È difficile immaginare come si possano realizzare queste misure provvisorie se la carneficina a Gaza continua e tra un mese altre migliaia di palestinesi saranno morti. “Senza un cessate il fuoco, l’ordine in realtà non funziona”, ha dichiarato senza mezzi termini Naledi Pandor, ministro delle Relazioni internazionali del Sud Africa, dopo la sentenza.
Dunque da un punto di vista concreto questa sentenza è esattamente il papocchio che ci si poteva aspettare dalla “giustizia” occidentale, una sorta di opaco specchio del caos. Tuttavia anche se la Corte non si pronuncerà per alcuni anni sulla questione se Israele stia commettendo un genocidio e non solo azioni potenzialmente genocide, essa ha cambiato di molto le cose stabilendo di fatto e forse anche senza volere, che usare la parola “genocidio” per descrivere ciò che Israele sta facendo a Gaza è legittimo, anzi legale. Questo non salverà la Striscia dalla catastrofe umanitaria, ma ha inferto un colpo devastante al mito fondativo di Israele che si presenta come eternamente perseguitato, ma che ora è stato credibilmente accusato di aver commesso un genocidio contro i palestinesi a Gaza. Un popolo, un tempo bisognoso di protezione dal genocidio, ora lo sta potenzialmente commettendo; insomma la sentenza della corte sull’ammissibilità delle accuse mette in discussione la vera ragion d’essere dello “Stato ebraico” e l’impunità di cui esso ha goduto sin dalla sua fondazione 75 anni fa. Rendere la parola genocidio applicabile a Israele distrugge la mistica utilizzata per tre quarti si secolo adottata per portare avanti il progetto coloniale contro gli abitanti autoctoni della Palestina storica. Lo stato ebraico non è solo quello creato per risarcire gli ebrei dall’olocausto, ma può essere egli stesso genocida.
Come si può vedere la narrazione sta cambiando radicalmente e questo costituirà un grave problema per la sopravvivenza stessa di Israele man mano che cambieranno i rapporti di forza e che la folle idea statunitense di distruggere il resto dell’occidente e l’Europa in particolare per guadagnarsi qualche anno di illusioni si sarà rivelata catastrofica. Invece di una grande Israele che è nei sogni del sionismo più estremista è possibile che non ce ne sia nessuna.
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