L’entrata in vigore del decreto per le Comunità energetiche rinnovabili, arrivata con 19 mesi di ritardo, porta con sé non solo la promessa di favorire lo sviluppo di 5 gigawatt di impianti al 2027 (il 10% degli obiettivi al 2030), ma anche qualche incognita e una brutta sorpresa.
ilfattoquotidiano.it Luisiana Gaita
Intanto, non si è ancora concluso l’iter per la piena approvazione del decreto pubblicato sul sito del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase), dopo il via libera di Commissione europea e Corte dei Conti. E molto dipenderà proprio dai prossimi passi. Entro 30 giorni dall’entrata in vigore, infatti, verranno pubblicate le regole operative per accedere ai benefici, dettate – su proposta del Gestore dei Servizi Energetici (Gse) e previa verifica di Arera – da un altro decreto del Mase. Dall’entrata in vigore di questo secondo decreto, il Gse avrà 45 giorni per avviare la piattaforma per l’invio delle richieste di accesso. Ci vorranno, dunque, altri due mesi e mezzo, se non ci sono intoppi.
“Abbiamo aspettato tantissimo per questo decreto, dato che il Mase avrebbe dovuto pubblicarlo a giugno 2021, sei mesi dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 199 che recepiva la direttiva RED II, ora però ci aspettiamo le regole tecniche al massimo entro il 23 febbraio” commenta Andrea Brumgnach, vicepresidente di Italia Solare e coordinatore del gruppo di lavoro Cer e autoconsumo dell’associazione. Secondo l’associazione, se il meccanismo verrà prorogato anche nei prossimi anni “le Cer potrebbero contribuire per un 15-20% all’obiettivo di raggiungere 50GW al 2030”. A Ilfattoquotidiano.it, però, Brumgnach racconta che il documento ha già riservato un’amara sorpresa.
Italia Solare: “Nel decreto, una notizia devastante” – “Si stabilisce che gli impianti a fonte rinnovabile che vogliano far parte di una Cer, possono entrare in esercizio dopo la costituzione della comunità energetica. Solo che non c’era alcuna disposizione del decreto 199 e da dicembre 2021 fino a gennaio 2024, ossia per tre anni, sono tutti rimasti in attesa delle regole. E oggi ci ritroviamo con tantissimi impianti, senza che siano state costituite comunità”. Una novità assoluta non solo rispetto al decreto che recepiva la direttiva. “Il ministero non aveva mai messo a disposizione ufficialmente delle bozze del decreto nei mesi passati, anche se poi la bozza è circolata e non conteneva questa disposizione – racconta il vicepresidente di Italia Solare – e neppure si è mai fatto un cenno durante le interlocuzioni che le varie associazioni hanno avuto con Gse e Ministero”.
Resta il problema. “E ha una portata devastante. Il decreto 199 diceva che potevano far parte della Cer tutti gli impianti entrati in esercizio dopo il 16 dicembre 2021. Non faceva alcun riferimento al fatto che dovevamo aver già costituito la comunità energetica”. Tra l’altro, la direttiva RED II era già stata parzialmente recepita dall’Italia, dando il via alle comunità energetiche sperimentali, con potenza massima di 200 Kw e sotto la cabina secondaria, ossia la cabina di trasformazione tra media e bassa tensione. La novità che tutti aspettavano con il decreto appena approvato è che la potenza degli impianti viene portata a un megawatt e che il bacino non è più quello della cabina secondaria, ma della cabina primaria, quindi molto più ampio, perché territorialmente a circa 3-4 Comuni oppure, nelle grandi città, a due o tre quartieri.
In attesa di una soluzione – “Sapendo che a giugno 2022 sarebbe uscito il decreto – spiega Brumgnach – la stragrande maggioranza dei soggetti che volevano costituire una Cer hanno atteso a registrarla, ma nel frattempo hanno realizzato gli impianti. Una volta uscito il decreto (che intanto accumulava ritardi) avrebbero potuto costituire la comunità e inserire i vari soggetti sotto la stessa cabina primaria”. Ora, però, questo obbligo rappresenta “un fulmine a ciel sereno che sta scuotendo tutto il mercato”. La speranza è tutta riposta nelle regole operative che, se tutto va bene, dovrebbero essere pronte nel giro di un mese. “C’è da sperare nelle regole tecniche il Gse. Bisognerebbe disporre che quanto definito nel decreto attuativo del Mase – aggiunge – valga per tutti gli impianti che entreranno in esercizio dopo la pubblicazione del decreto, ‘salvando’ gli impianti che l’hanno fatto dal 16 dicembre 2021 ad oggi. O, ancora meglio, applicando questo obbligo dopo 120 giorni dall’entrata in vigore del decreto, dando così la possibilità anche agli impianti che stanno finendo i lavori adesso”.
Tra tariffa incentivante e contributo del Pnrr – Oltre a questo problema, ci sono una serie di nodi non ancora sciolti, ma uno dei punti di maggiore attesa riguarda i contributi del Pnrr. Il testo, infatti, individua due strade per promuovere lo sviluppo delle Cer. La prima è una tariffa incentivante ventennale sull’energia rinnovabile prodotta e condivisa, composta da una parte fissa, stabilita in base alla taglia dell’impianto e da una parte variabile, che cambia in funzione del prezzo del mercato dell’energia. Il secondo strumento è quello di un contributo a fondo perduto fino al 40% dei costi ammissibili, finanziato con 2,2 miliardi di euro dal Pnrr e cumulabile con la tariffa incentivante (valida su tutto il territorio nazionale). Questi contributi sono destinati alle Cer nei Comuni sotto i cinquemila abitanti, per supportare lo sviluppo di due gigawatt complessivi.
Chi può utilizzare il contributo – “Nell’articolo 7, comma 1, si scrive che i beneficiari di questo contributo – spiega Brumgnach – sono le comunità energetiche e i sistemi di autoconsumo collettivo. Se leggo questo articolo, deduco che l’investimento lo deve fare la comunità”. Poi, però, nelle FAQ pubblicate sempre dal Mase “per iniziare ad orientare cittadini, piccole e medie imprese, enti, cooperative e tutti gli altri destinatari del provvedimento” si scrive che può beneficiarne ‘colui che sostiene l’investimento’. Cosa che sarebbe auspicabile, secondo Italia Solare. La differenza è nella possibilità di accesso al credito e di capacità di gestire la burocrazia che ha una comunità che si è appena costituita rispetto a quella di un’azienda. Se le uniche beneficiarie potranno essere le comunità, sottolinea Italia Solare, si farà molta più fatica a utilizzare queste risorse entro giugno 2026.
“Abbiamo poco più di due anni. Immaginiamo delle comunità energetiche, soggetti giuridici neo-costituiti e, nella maggioranza dei casi, con bassissima capitalizzazione. Con un contributo del 40% – aggiunge – dovranno chiedere il restante 60% alle banche. Ora immaginiamo un’azienda, che può realizzare un impianto con il contributo in conto capitale e, magari, il restante 60 per cento può investirlo con le proprie risorse, mettendo l’impianto a disposizione della comunità, come produttore terzo o diventando membro della comunità, producendo e consumando energia allo stesso tempo. Anche su questo punto, speriamo ci sia un chiarimento”. Gse, intanto, renderà disponibili sul proprio sito istituzionale documenti e guide informative, oltre a canali di supporto dedicati, per accompagnare gli utenti nella costituzione delle Cer. Sarà presto online, inoltre, un simulatore per la valutazione energetica ed economica delle iniziative, mentre è già disponibile la mappa interattiva delle cabine primarie sul territorio nazionale.
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