lunedì 27 febbraio 2023

Un anno di guerra non ha isolato la Russia

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L’Occidente ha cercato di isolare la Russia, ma non ha funzionato. Lo ha scritto il New York Times, in un articolo della scorsa settimana – in realtà una seduta di autocoscienza dell’establishment statunitense – che analizza attraverso una serie di infografiche i mutamenti geopolitici avvenuti in un anno di guerra fra Russia ed Ucraina, cioè fra Russia ed Occidente.

Allo scoppio della guerra – ripercorre il New York Times – l’Occidente cantava vittoria. Gli Stati Uniti parlavano di una “schiacciante compattezza globale” contro la Russia. Infatti alle Nazioni Unite 141 Paesi votarono a favore di un ritiro incondizionato della Russia dall’Ucraina. Per contro, in quell’occasione solo quattro appoggiarono la Russia: Bielorussia, Corea del Nord, Eritrea e Siria.

In un anno di guerra molti Paesi si sono avvicinati alla Russia

Tuttavia altri 47 Paesi si astennero o non votarono: comprese Cina e India. Molti di essi, constata il New York Times, in questi 12 mesi hanno offerto alla Russia un appoggio economico e diplomatico di fondamentale importanza. E non solo. Il blocco occidentale ha perso i pezzi. Il New York Times non usa questa espressione: però mette in fila i fatti che lo dimostrano.

Infatti alcuni che nel febbraio 2022 si erano schierati contro la Russia e con l’Occidente si sono spostati verso una posizione neutrale, o più neutrale. Si tratta di Turchia, Brasile, Paesi del Golfo Persico: in testa Emirati Arabi Uniti e Dubai. L’Iran è passato dalla neutralità all’appoggio dichiarato alla Russia. Vari Paesi africani che all’Onu si erano astenuti hanno nel frattempo rinsaldato i legami di amicizia con la Russia.

Soprattutto, dice ancora il New York Times, quella parte del mondo che sembrava compatta contro la Russia si è in realtà frammentata. Molti Paesi africani, asiatici, sudamericani e mediorientali che pure hanno saldi legami ufficiali con gli Stati Uniti non si curano granché della guerra. La vedono come un problema europeo ed americano e si concentrano sulla difesa dei propri interessi nell’ambito dello sconvolgimento geopolitico che la guerra ha causato.

Un anno di sanzioni e aiuti militari all’Ucraina

Hanno imposto sanzioni alla Russia 37 Paesi. Il blocco, a guida statunitense, mirava in questo modo a togliere alla Russia la capacità economica di portare avanti la guerra. Ma non è accaduto, constata il New York Times. Vari Paesi hanno aumentato in questi 12 mesi le esportazioni verso la Russia, colmando il vuoto aperto dalle sanzioni. Non si tratta solo di India e Cina. Hanno aumentato le esportazioni anche Turchia, Indonesia, Brasile eccetera, che all’inizio della guerra facevano parte dei 141 schierati all’Onu contro la Russia.

Risultato: le importazioni russe sono effettivamente crollate nel febbraio 2022, ma poi sono aumentate rapidamente. Ora, pur restando inferiori a quelle dei mesi che hanno immediatamente preceduto la guerra, sono grossomodo in linea con il 2021 e con gli anni precedenti.

E la compattezza del blocco occidentale nel mandare armi in Ucraina e nell’imporre sanzioni alla Russia? Turchia e Corea del Sud non applicano le sanzioni, constata il New York Times. Ungheria, Malta, Svizzera e Cipro, simmetricamente, applicano le sanzioni ma non forniscono assistenza militare.

In realtà, solo 18 Paesi mandano all’Ucraina aiuti militari pari almeno allo 0,1% del loro Pil. Alcuni, fra cui Italia e Francia, mandano anche armi pesanti ma impegnano meno dello 0,1% del Pil. Altri – Giappone, Belgio, Bulgaria… –  non mandano armi pesanti pur impegnando in aiuti almeno lo 0,1% del Pil.

Fin qui il New York Times. Per il resto, va constatato che solo 18 Paesi seguono in tutto e per tutto la linea dura dell’Occidente a trazione statunitense. Si può contestare la decisione del New York Times di inserire fra quelli che non sono sufficientemente allineati anche l’Italia, “rea” di non devolvere all’Ucraina almeno lo 0,1% del suo Pil. Ma anche tenendo conto di sfumature di questo tipo, la “compattezza” del mondo e dell’Occidente si è ridotta come un maglione di cachemire finito per sbaglio in lavatrice a 60 gradi.

GIULIA BURGAZZI

 

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