domenica 26 febbraio 2023

Perchè siamo sudditi e non ancora cittadini

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Di Lea Ghisalberti per ComeDonChisciotte.org

Antonio Gramsci riesce a spiegare con chiarezza come la società tenda a sviluppare idee e convinzioni che fanno da specchio alle prevalenti strutture di potere. Ciò porta alla creazione di un sistema di attitudini e comportamenti, che vanno sotto la descrizione di “senso comune”, che protegge tali strutture di potere. Ciò che fa parte del senso comune lo diamo per scontato, come l’aria che respiriamo, perfino nei casi in cui esso va contro i nostri stessi benefici e principi.

Il senso comune riguardo alla politica in cui io mi sono trovata a crescere, nella periferia di Milano degli anni ’90 si presentava sotto due aspetti principali: l’arrendevolezza o la rabbia generalizzata.

L’arrendevolezza aveva il sapore della saggezza, quella consapevolezza che la politica è sempre stata corrotta e sempre lo sarà e che le cose sono troppo complicate e strutturate per essere capite e quindi cambiate. Questo porta a sentimenti di escapismo che spesso si materializzano in “ricerche spirituali” o a una “divinizzazione del passato naturale”, ben lontani a dare contributi concreti alla riorganizzazione o al cambiamento del sistema. La rabbia generalizzata, dall’altro lato, aveva il suono dell’entusiasmo giovanile, che invece del confronto fattuale con la realtà tende invece a focalizzarsi sui soli aspetti negativi. Con esso si è sviluppata l’dea che tutto ciò che è legato al sistema, come lo Stato stesso, con le sue leggi e le sue tasse, è li per limitare la libertà individuale di ognuno di noi. Questo porta frequentemente a confusionarie lotte di resistenza senza sbocchi costruttivi o visioni per il futuro e una fortissima propensione agli estremismi. Nessuno può negare che entrambe queste “prospettive” sono intrinsecamente radicate nel nostro senso comune, a un punto tale che ormai è considerato normale non sentirsi inclusi nel dibattito politico che prestabilisce gli orizzonti legislativi ed economici verso i quali ci dirigiamo tutti assieme. Chiaramente questi atteggiamenti non aiutano ad organizzarsi in modo più efficace per cambiare le cose, semmai favoriscono la minoranza dominante bloccando quell’unica possibilità che ancora ci rimane: una compatta e costruttiva unione delle masse contro gli abusi di potere.

Come scritto dal filosofo David Hume nel trattato riguardo ai Principi Primi del Governo:

Non c’è niente di più sorprendente della facilità con cui i molti sono governati dai pochi e dall’implicita sottomissione con la quale le persone mettono da parte volontariamente i propri sentimenti e passioni a beneficio dei loro governanti. Quando investighiamo riguardo ai mezzi che hanno permesso questo miracolo, li vi troveremo che mentre la forza sta sempre dal lato dei governati, i governanti non hanno nulla che li supporti se non l’opinione. È quindi unicamente sull’opinione che il governo si fonda, e questo accade tanto in governi militari e dispotici, quanto in quelli più liberali e popolari. [1]

Ecco, la democrazia che tutti noi conosciamo e di cui tutti noi siamo volontari sottomessi, è una democrazia rappresentativa, nella quale pochi rappresentanti si fanno carico della responsabilità sociale di disegnare il futuro della comunità che li ha eletti a rappresentanti. Forse negli anni si è perso di vista il significato di “rappresentanza” o meglio ci si è resi conto della limitatezza con cui tale concetto poteva essere applicato. Infatti non vi è alcun dialogo tra politici eletti ed elettorato, e quindi non vi è alcun modo in cui l’individuo può mettere mano o bocca nei processi decisionali che danno forma al nostro vivere come comunità. Finchè le decisioni legislative ed economiche sono nelle mani di pochi, e tali pochi sono sordi ai molti, allora non si può parlare di democrazia. E finchè non vi è democrazia, progredire verso un futuro demilitarizzato, verde e giusto sarà, in concreto, soltanto argomento di propaganda.

Ma questo non vuol dire che è troppo tardi. Non c’è scusa che regga per non attivarsi ed unirsi a chiedere una più coerente e responsabile rappresentazione politica. Come già citato prima da Hume, le masse hanno la forza. Lamentarsi di tutto e tutti ci rende solo più soli ed isolati e deboli, perdendo così la nostra forza di identità di massa. Infatti, non è vero che sarebbe troppo complicato implementare un sistema di dialogo più efficace tra elettorato e rappresentanti politici e non è vero che il sistema è talmente complicato che è lecito che i processi decisionali siano portati avanti dai soli esperti. Ciò che va sotto il nome di democrazia diretta, in cui ogni individuo ha voce e mano nel processo decisionale che determina la direzione della comunità è più che visibile all’orizzonte.

Vi sono già stati esempi di partiti, come il Partido della Rete in Argentina, il Partito Pirata in Svezia e il Wikipartito in Spagna, che hanno cercato di implementare gli ideali della democrazia diretta attraverso piattaforme digitali per assicurare una comunicazione bilaterale tra elettorato e rappresenti politici. [2] Non solo le persone venivano costantemente tenute al corrente dei disegni di legge proposti e discussi dal governo, ma le stesse persone potevano partecipare direttamente, commentando e proponendo modifiche che il politico eletto era tenuto a tenere in considerazione e rappresentare durante la discussione. Quando si parla di partecipazione politica digitale è molto facile storcere il naso, soprattutto pensando al Movimento Cinque Stelle che ha appunto sfruttato questo forte desiderio sociale di democrazia diretta solo come propaganda, per poi assecondare, come al solito, gli interessi di pochi. Questo però non può essere il primo e ultimo tentativo per provare ad implementare dei veri valori democratici. E inoltre, chi ha detto che tale partecipazione debba avvenire unicamente in maniera digitale? Magari un sistema ibrido che assicuri una costante connessione con la realtà politica attuale congiunto con un regolare dibattito faccia a faccia e senza intermediari può essere una bilanciata soluzione. Penso che valga la pena tentare con istituzioni nuove, realmente orizzontali, che permettano di trovare tramite l’intelligenza collettiva, le giuste contromisure alla monopolizzazione dei sistemi decisionali tanto all’interno dei partiti quanto nella politica in generale.

Cosa potrebbe implicare questa modalità politica su più larga scala? Potrebbe forse implicare la fine di un sistema politico monodirezionale che, al pari dei mass-media, sembra imporsi su di noi senza il nostro consenso o senza darci modo di rispondere o controbattere? Se la risposta è si, è l’ora di parlare chiaro e ridefinire le nostre priorità. Se riusciamo a sincronizzare tutti assieme le nostri voci, sarà molto difficile ignorarle. Se non sei parte di un partito politico, cercane uno che abbia la redistribuzione della ricchezza, e quindi del potere, come priorità. Cerca una vera rappresentanza e pretendi coerenza e comunicazione.

Di Lea Ghisalberti per ComeDonChisciotte.org

26.02.2023

Lea Ghisalberti. Ricercatrice per passione e professione. Stanca del monopolio ideologico che la mentalità del profitto sta creando grazie ad ipocrisie, ingiustizie e distrazioni.

NOTE

[1] https://davidhume.org/texts/empl1/fp

[2] https://www.eldiario.es/tecnologia/diario-turing/partidos-red-aire-fresco-politica_1_5606013.html

Ispirato da Noam Chomsky “Devastating Critique of Wage Slavery”, https://www.youtube.com/watch?v=03-X94ZlYH8

 

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