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I – Massacro a Nablus
II – L’ONU accusa Israele di “domicidio”
La comunità internazionale deve agire per fermare la sistematica
demolizione e l’impiego di sigilli sulle abitazioni palestinesi, gli
sgomberi e i trasferimenti forzati nella Cisgiordania occupata, hanno
ammonito il 13 febbraio gli esperti delle Nazioni Unite Francesca
Albanese, Relatrice Speciale sulla Situazione dei Diritti Umani nei
Territori Palestinesi Occupati dal 1967, Balakrishnan Rajagopal,
Relatore Speciale sul Diritto a un Alloggio Adeguato, e Paula Gaviria
Betancur, Relatrice Speciale sui Diritti Umani degli Sfollati.
Solo nel mese di gennaio del 2023, secondo quanto riferito, le autorità
israeliane hanno demolito 132 strutture palestinesi in 38 comunità nella
Cisgiordania Occupata, comprese 34 strutture residenziali e 15
strutture finanziate da donatori. Questa cifra rappresenta un aumento
del 135% rispetto allo stesso periodo del 2022 e include cinque
demolizioni punitive.
“La demolizione sistematica delle case palestinesi, la costruzione di
insediamenti israeliani illegali e il sistematico rifiuto di permessi di
costruzione per i palestinesi nella Cisgiordania Occupata equivalgono a
‘domicidio’”, hanno scritto nel loro Report gli esperti, ribadendo la
propria preoccupazione per la situazione a Masafer Yatta, dove oltre
1.100 residenti palestinesi sono ancora a rischio di sgombero forzato e
sfollamento arbitrario, previa demolizione delle loro case e distruzione
dei loro mezzi di sostentamento, comprese le strutture idriche e
igienico-sanitarie. Nel novembre del 2022, le autorità israeliane hanno
già demolito una scuola finanziata da donatori a Isfey Al-Fauqa e altre
quattro scuole della zona sono adesso in fase di demolizione.
Si tratta, secondo gli esperti, del “tentativo da parte di Israele di
limitare il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione, minacciando
la loro stessa esistenza”. Tattiche che non sembrano avere limiti, se si
pensa che ciò accade anche a Gerusalemme Est, dove “un regime
discriminatorio di pianificazione territoriale e urbanistica favorisce
l’espansione degli insediamenti israeliani, compiendo un atto illegale
secondo il diritto internazionale, che costituisce un crimine di
guerra”.
Gli esperti si sono poi soffermati sull’approvazione da parte del
governo israeliano di misure punitive contro i presunti autori di
attacchi “terroristici” e i loro familiari, come la revoca della
cittadinanza, dei documenti di identità, della residenza e della
previdenza sociale. Il 29 gennaio, le autorità israeliane hanno infatti
annunciato misure per mettere immediatamente i sigilli alle case delle
famiglie di coloro che erano sospettati di aver compiuto degli attacchi a
Gerusalemme Est occupata. Così, due famiglie di presunti aggressori
sono state cacciate con la forza dalle loro case, mentre più di 40
persone, compresi alcuni membri di queste famiglie, sono state
arrestate.
“Lo stato di diritto deve prevalere in qualsiasi azione dello Stato
contro gli atti di violenza. Il sigillo apposto alle case dei familiari
di presunti autori di reato e la successiva demolizione di queste stesse
case rappresenta una totale mancanza di rispetto dello stato di diritto
e delle norme internazionali sui diritti umani. Tali atti equivalgono
infatti a punizioni collettive che sono severamente vietate dal diritto
internazionale”, hanno affermato gli esperti. “Ci rammarichiamo che
prevalga l’impunità, in particolare per le violazioni dei diritti umani e
i potenziali crimini di guerra commessi dalla potenza occupante. È
giunto il momento che gli organi di giustizia internazionale determinino
la natura dell’occupazione israeliana e rintraccino i responsabili di
tutti i crimini commessi nei Territori Palestinesi Occupati”, hanno
concluso gli esperti delle Nazioni Unite che, pur avendo ripetutamente
sollevato la questione con il governo di Israele, non hanno per ora
ricevuto alcuna risposta.
A meno che non si vogliano considerare risposte, anche piuttosto
esplicite, la legge approvata dalla Knesset il 15 febbraio per revocare
cittadinanza e residenza ai palestinesi detenuti per presunti “atti di
terrore” che ricevono assistenza finanziaria dall’Autorità Palestinese
(AP) e vivono in Israele o a Gerusalemme Est; o le demolizioni che
Israele continua ad infliggere alla popolazione palestinese, ultime
delle quali quelle avvenute il 22 febbraio nelle aree di Gerico e
Betlemme.
Aprendo la Sessione 2023 del Comitato per l’Esercizio dei Diritti
Inalienabili del Popolo Palestinese, il Segretario Generale delle
Nazioni Unite, António Guterres, è tuttavia stato chiaro: “In tutta la
Cisgiordania Occupata e a Gaza, la disperazione si sta diffondendo,
alimentando rabbia e disperazione. Ogni nuovo insediamento è un altro
ostacolo sulla via della pace”, mentre “lo status di Gerusalemme non può
essere alterato da azioni unilaterali”. Una pace giusta, ha concluso
Guterres, si ottiene solo “ponendo fine all’occupazione e realizzando la
soluzione dei due Stati”.
III – Incontro al vertice su Gerusalemme
Il Presidente Mahmoud Abbas ha partecipato alla Conferenza a sostegno di
Gerusalemme che si è tenuta al Cairo, presso la sede della Lega Araba,
lo scorso 12 al febbraio. La Conferenza mirava ad internazionalizzare la
questione di Gerusalemme e a sostenere la determinazione dei suoi
residenti palestinesi a resistere nonostante i continui attacchi
israeliani contro di loro, contro la città e i suoi luoghi sacri
islamici e cristiani, e di fronte ai tentativi israeliani di giudaizzare
la Città Santa, divenuti ancor più evidenti dopo la formazione del
governo di estrema destra che vuole distruggere la soluzione dei due
Stati. Un altro proposito della Conferenza era poi quello di discutere i
modi per aiutare concretamente gli abitanti di Gerusalemme, presentando
uno studio per il finanziamento di circa 30 progetti di sviluppo e
investimento proposti dallo Stato di Palestina, nel campo della salute,
dell’istruzione, dell’alloggio e dell’emancipazione femminile. La
Conferenza doveva poi concludersi con la formazione di un Comitato di
esperti arabi specializzati in diritto internazionale, per fornire
consulenza legale sui casi di violazioni da parte delle forze di
occupazione israeliane, con particolare riferimento a quelle commesse a
Gerusalemme.
In questa occasione, il Presidente della Palestina ha ribadito che
“sostenere Gerusalemme e rafforzare la determinazione di coloro che vi
abitano non è solo un dovere religioso, ma anche un imperativo
umanitario e nazionale”, ricordando che “la battaglia per Gerusalemme
non è cominciata solo il giorno della sua occupazione nel 1967, ma
diversi decenni prima, ancor prima della Dichiarazione Balfour, emanata
dalle potenze coloniali nel 1917”.
IV– Storie di calcio palestinese
Natali Shaheen, campionessa palestinese di calcio già capitana della
nazionale palestinese, è nata a Gerico 28 anni fa e dal 2018 risiede a
Sassari, dove studia e dove, entrando nella squadra di calcio a 5
Sassari Torres, in categoria A2, è diventata la prima palestinese in un
club europeo, passando poi all’Athena Sassari, prima nella formazione a
11 e poi in quella a 5, sempre in A2.
Per ripercorrere il suo viaggio – avvenuto grazie al sostegno
dell’associazione sarda Ponti non Muri, impegnata in progetti di
sviluppo nei Territori Palestinesi – questa atleta ha pubblicato il
libro “Un calcio ai pregiudizi. Dalla Palestina alla Sardegna dribblando
ogni ostacolo”: un’occasione per parlare anche del rapporto tra donne e
sport, sullo sfondo della questione israelo-palestinese. “L’occupazione
militare israeliana influenza la vita di tutti”, spiega Natali, “e per
me che abitavo in un’altra città, giocare a Ramallah ha significato
dover tenere duro. Perché le forze israeliane decidono tutto: chiudono
le strade e tengono la gente in fila per ore. All’andata sfruttavo le
attese studiando, ma a ritorno, col buio, non potevo”.
Ricordando gli ultimi Mondiali in Qatar, Natali ha detto: “La nazionale
palestinese non si era qualificata, ma quella del Marocco e della
Tunisia, insieme a tanti tifosi di tutto il mondo, hanno sventolato la
nostra bandiera e quindi ci è sembrato di essere lì”. Un appuntamento,
quello nel primo Paese arabo ad ospitare la Coppa del Mondo, “molto
importante perché ha promosso cambiamenti sia nella mentalità dei
qatarini che in quella di tutti gli arabi che hanno seguito le partite
dal vivo o in tv: non è infatti scontato – ricorda la calciatrice –
vedere donne negli stadi o in strada a festeggiare”. Come non è scontato
che i giovani palestinesi possano realizzare i propri sogni. Si sono
infranti in maniera violenta quelli di Ahmad Atef Mustafa Daraghma, un
calciatore come lei. Giocava in Palestina nella Thaqafi di Tulkarem, e
ha perso la vita a 23 anni, nel pieno delle sue forze, ucciso
dall’esercito israeliano all’alba del 22 dicembre, nella città di
Nablus, quella che gli occupanti continuano a prendere di mira. Anche di
questo dovrebbe occuparsi la FIFA.
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