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Alfredo Cospito resterà al regime carcerario del 41-bis. La Corte di Cassazione ha infatti respinto il ricorso presentato dalla difesa dell’anarchico contro la decisione del tribunale di Sorveglianza di Roma di confermare il regime del carcere duro. L’istanza è stata rigettata nonostante i pareri contrari della procura generale della Consulta, della Direzione distrettuale antimafia di Torino e del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP), favorevoli al trasferimento dell’anarchico presso un regime carcerario di minore afflittività e coercitività, come quello di alta sicurezza con censura. Soddisfatto l’esecutivo, che dalla Consulta si è visto confermare “la linea di fermezza” adottata nei confronti di Cospito. Quest’ultimo, attualmente ricoverato in ospedale a Milano, ha invece annunciato la volontà di fermare la somministrazione di integratori e farmaci necessari per la sopravvivenza, dichiarando: «Morirò presto, spero che qualcuno dopo di me continuerà la lotta».
Alfredo Cospito è stato condannato in via definitiva per aver gambizzato un dirigente dell’Ansaldo Nucleare ed è in attesa della definizione del giudizio per aver collocato due ordigni a bassa intensità nella Scuola Allievi Carabinieri di Fossano (Torino) i quali, esplosi in orario notturno, non causarono né morti né feriti. Nel maggio del 2022, il ministero della Giustizia, allora presieduto da Marta Cartabia, ha deciso l’applicazione del 41-bis, perché si rischiava che il detenuto inviasse messaggi ai “compagni anarchici” dalla propria cella. Proprio per la natura politica della misura, la difesa di Cospito e le associazioni relative ai diritti dei detenuti chiedono al guardasigilli, che lo scorso 9 febbraio ha respinto l’istanza di revoca, di tornare sui propri passi. «Ci auguriamo che anche alla luce di altri pareri, il ministro Nordio possa rivedere la sua decisione, anche perché il regime di 41-bis nasceva con altre finalità e non per contrastare ogni tipo di criminalità», ha commentato il presidente di Antigone Patrizio Gonnella.
Nelle scorse settimane il fronte schieratosi a favore del trasferimento di Cospito a un regime carcerario meno duro si è arricchito. Si pensi ai pareri in tal senso della Direzione distrettuale antimafia di Torino, del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) e della procura generale della Consulta. Nella richiesta avanzata dal procuratore generale Pietro Gaeta si legge che “il 41-bis non può giustificare la rarefazione e la compressione di altre libertà inframurarie se non con l’impedimento di contatti e collegamenti che risultino concretamente e specificamente finalizzati ad evitare ulteriori reati o attività dell’associazione esterna”. A tal proposito è necessario che emerga una base fattuale, cosa che – secondo il procuratore – non è dato riscontrare nell’ordinanza del tribunale di sorveglianza su Cospito, in cui emerge invece una “carenza di fattualità in ordine ai momenti di collegamento” con gli anarchici. Una posizione simile era stata avanzata dall’avvocato Flavio Rossi Albertini, secondo cui non sussistono i presupposti per equiparare l’attività comunicativa di Cospito ai cosiddetti “pizzini”, dunque i messaggi criptici veicolati dai detenuti all’esterno.
Oltre alla soluzione politica, i legali dell’anarchico potranno avanzare un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), le cui sentenze sono vincolanti per gli Stati membri e dunque anche per l’Italia. Nel 2018, la CEDU ha accolto un ricorso dei legali di Bernardo Provenzano condannando Roma per aver violato l’articolo 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo, relativo al divieto di tortura o trattamenti disumani e degradanti. A due anni dalla morte del boss, i giudici di Strasburgo avevano ritenuto l’Italia colpevole di non aver correttamente valutato le sue condizioni di salute, prolungato la sua detenzione in regime di 41-bis.
[di Salvatore Toscano]
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