La caccia al reato inesistente che il pm Eugenio Albamonte conduce da tempo nei miei confronti ha conosciuto un nuovo colpo di scena. Ignorando la decisione del tribunale del riesame e della cassazione, il 12 novembre scorso il responsabile delle inchieste sul terrorismo e i reati informatici della procura di Roma ha messo da parte l’imputazione di associazione sovversiva ed ha rilanciato l’accusa di favoreggiamento. Dopo l’iniziale violazione di segreto d’ufficio da cui l’indagine era partita siamo giunti al quinto cambio di imputazione in 12 mesi.
insorgenze.net Paolo Persichetti
Il
2 luglio scorso il tribunale del riesame aveva stabilito che le accuse
utilizzate per consentire alla polizia di svuotare il mio archivio erano
prive delle condotte di reato. La procura si era limitata a enunciare
le accuse (associazione sovversiva e favoreggiamento) senza riportare
circostanze, modalità e tempi in cui esse si sarebbero materializzate.
Come a dire: «sono convinto che hai fatto questo, ma non so quando, come
e dove, ma siccome sono un pm faccio come il marchese del Grillo:
intercetto le tue comunicazioni, ti faccio pedinare e poi ti sequestro
tutto quello che hai in casa, anche le cose di tua moglie e dei tuoi
figli. Qualcosa alla fine troverò!».
I giudici del riesame avevano
proposto una ipotesi di reato alternativa: la violazione di notizia
riservata che si sarebbe consumata l’8 dicembre 2015, quando avevo
inviato tramite posta elettronica alcuni stralci della prima bozza di
relazione annuale della commissione Moro 2. Testo che sarebbe stato
pubblicato dall’organo parlamentare meno di 48 ore dopo. Pagine
destinate ad un gruppo di persone coinvolte nel lavoro di preparazione
di un libro sulla storia delle Brigate rosse (leggi qui), poi uscito nel 2017 con Deriveapprodi.
Tra queste c’era l’ex brigatista Alvaro Lojacono, ormai cittadino
svizzero, che poi aveva girato il testo ad Alessio Casimirri da decenni
riparato in Nicaragua, dove ha acquisito la nazionalità. Una lettura
giuridica, quella del riesame, che la cassazione lo scorso 10 novembre ha convalidato,
anche se al momento non se ne conoscono i motivi.
Il lavoro storico messo sotto accusa
Secondo la procura le pagine della bozza di relazione da me inviate, nelle quali si affrontava l’episodio delle vetture brigatiste abbandonate in via Licinio Calvo subito dopo il sequestro del leader Dc in via Fani, non avevano come finalità la ricostruzione corretta del percorso di fuga del commando brigatista e la confutazione delle fake news che circolano da decenni sulla vicenda, poi confluita nelle pagine del libro pubblicato nel 2017, ma servivano per il favoreggiamento dei due ex Br. Per la procura in quelle bozze si riportavano «degli accertamenti in corso da parte della predetta commissione, relativi a fatti reato, ancora non completamente chiariti, che coinvolgono anche le loro responsabilità penali». Accusa – come ha rilevato l’avvocato Romeo nelle sue controdeduzioni – difficile da sostenere sul piano giuridico: come avrebbe potuto concretizzarsi il reato di favoreggiamento in una vicenda giudiziaria conclusasi da diversi decenni con condanne all’ergastolo passate in giudicato sia per Casimirri che per Lojacono? Ammesso che possano ancora esistere fatti nuovi, questi sarebbero già assorbiti dalle condanne o largamente prescritti e non potrebbero rivestire più alcuna rilevanza penale ma solamente storica.
Se non c’è una valida ragione giuridica che tiene in piedi l’accusa, quale è allora il movente che spinge il pubblico ministero?
Ascoltato nel dicembre 2020 in
qualità di persona informata sui fatti, l’ex presidente della
commissione Moro 2 Giuseppe Fioroni aveva sostenuto che vi sarebbero
«ulteriori complici del sequestro, seppur con ruoli minori collegati
alla logistica, i cui nomi non sono ancora noti». Per poi suggerire che
«In tale contesto si potrebbe giustificare un interesse di terze persone
legate agli ambienti delle Brigate rosse nel conoscere gli stati di
avanzamento dei lavori della commissione con riferimento a questo
profilo». Una tesi che si scontra con la logica e la realtà dei fatti.
I
temi dell’indagine parlamentare erano facilmente desumibili dalle
audizioni pubbliche, accessibili sul sito di radio radicale, trascritte
sul portale della commissione stessa e dalle riunioni dell’ufficio di
presidenza i cui verbali venivano sistematicamente resi noti. Le piste
seguite dalla commissione erano di dominio pubblico, continuamente
rilanciate da indiscrezioni giornalistiche, interviste e commenti di
commissari molto loquaci. Inoltre i lavori dell’organo di inchiesta
parlamentare erano destinati a divenire di dominio pubblico, di lì a
poco, con la pubblicazione della prima relazione annuale sullo stato dei
lavori il 10 dicembre 2015. Alle «terze persone», accennate da Fioroni,
sarebbe bastato attendere qualche ora per conoscerli. Cosa sarebbe mai
cambiato in quel breve lasso di tempo? Quel «qualcuno» non aveva certo
bisogno di leggere le bozze dedicate a via Licinio Calvo per informarsi.
C’è molta presunzione nelle affermazioni all’ex politico di fede
andreottiana, giustamente non più rieletto dopo la fallimentare
esperienza dell’organismo parlamentare da lui presieduto.
Il teorema
del garage compiacente e di una base brigatista prossima al luogo dove
vennero lasciate le vetture utilizzate per la prima fase della fuga e
addirittura – secondo alcuni oltranzisti – prima prigione di Moro, è un
clamoroso falso che circola da diversi decenni. Ne parlò per la prima
volta, il 15 novembre del 1978, un quotidiano romano, Il Tempo, che anticipò un articolo dello scrittore Pietro Di Donato apparso nel dicembre successivo sulla rivista erotica-glamour Penthouse,
divenuta una delle maggiori referenze del presidente Fioroni. Nel suo
racconto Di Donato sosteneva che la prigionia di Moro si era svolta
nella zona della Balduina, quartiere limitrofo alla scena del rapimento e
al luogo dove era avvenuto il trasbordo del prigioniero ed erano state
abbandonate le macchine impiegate in via Fani. Diversi controlli e
perquisizioni vennero effettuate senza esito dalle forze di polizia in
alcune palazzine e garage dei dintorni. La sortita di Di Donato venne
ripresa nel gennaio 1979 da Mino Pecorelli sulla rivista Op. Entrò
quindi nella sfera giudiziaria quando il pm Nicolò Amato ne parlò
durante le udienze del primo processo Moro. Più tardi se ne occupò,
sempre senza pervenire a risultati, la prima commissione Moro e venne
consacrata nelle pagine del libro di Sergio Flamigni, La tela del ragno,
pubblicato per la prima volta nel 1988 (Edizioni Associate p. 58-61),
divenendo uno dei cavalli di battaglia della successiva pubblicistica
dietrologica.
Gli ultimi accertamenti della commisssione
Nell’ultimo
periodo della sua attività la commissione Moro 2 ha raccolto la
testimonianza di una coppia che alla fine del 1978 viveva in via dei
Massimi 91, strada situata nella parte più alta della Balduina. I due
hanno raccontato di aver ospitato per alcune settimane, sul finire
dell’autunno 1978, sei mesi dopo la fine del sequestro, una persona che
poi riconobbero essere il brigatista Prospero Gallinari. Dalla vicenda
sono scaturite alcune querele nei confronti di uno dei membri della
commissione parlamentare (leggi qui e qui)
che aveva impropriamente tirato in ballo una giornalista tedesca
totalmente estranea all’episodio. All’epoca il comprensorio di via dei
Massimi 91 apparteneva allo Ior, Istituto per le opere religiose, ente
finanziario del Vaticano. Amministratore unico era Luigi Mennini, padre
di don Antonio Mennini, il confessore e uomo di fiducia dello statista
democristiano, vice parroco della chiesa di santa Lucia a cui durante il
sequestro i brigatisti consegnarono su indicazione dello stesso Moro
diverse sue lettere. Alcuni consulenti della commissione si erano
lungamente soffermati sull’ipotesi che Alessio Casimirri fosse in
qualche modo «intraneo» all’ambiente che risiedeva o circolava in
quell’immobile, perché il padre Luciano era in quegli anni responsabile
della sala stampa vaticana, senza comprendere quali fossero le rigide
regole della compartimentazione e della logistica all’interno delle
Brigate rosse, che non poggiava certo sulle relazioni familiari. I
successivi accertamenti della commissione non hanno tuttavia trovato
conferme e al momento di chiudere i battenti è stato chiesto alla
procura di proseguire le indagini. Come si evince da alcune audizioni
pubbliche della Commissione, la coppia che aveva fornito ospitalità a
Gallinari, proveniva da un’area politica subentrata nelle Brigate rosse
dopo la conclusione del sequestro Moro e che aveva relazioni con Adriana
Faranda e Valerio Morucci, incaricati dalla colonna romana di trovare
una sistemazione a Gallinari dopo l’abbandono repentino della base di
via Montalcini nella estate del 1978. Non si comprende quindi quale sia
il fondamento investigativo e storiografico dell’accusa che mi viene
mossa, mentre appare sempre più evidente l’adesione di polizia e procura
a ipotesi complottiste, che non si limitano più a inquinare e depistare
le conoscenze storiografiche sulla vicenda Moro ma pretendeno di
esercitare il controllo assoluto sulla storia degli anni Settanta.
Le puntate precedenti
1. Se fare storia è un reato
2. La polizia della storia
3. La procura sequestra e tace
4. Polizia, procure e dietrologia, la santa alleanza contro la ricerca indipendente sugli anni 70
5. Lo
strano comportamento della procura, accusa Persichetti di avere diffuso
informazioni riservate ma ignora le ripetute fughe di notizie segretate
che hanno contrassegnato l’attività della com
6. Appello – Chi sequestra un archivio attacca la libertà di ricerca
7. Appel – Qui confisque des archives attaque la liberté de la recherche
8. Whoever
seizes an archive attacks the freedom of research the appeal signed by
researchers and citizens against the investigation by the prosecutor of
rome and the police
9. Manca il reato, il gip Savio censura l’inchiesta di Albamonte contro Persichetti
10. Kafka e l’archivio di Persichetti
1. Lo storico Marco Clementi, il sequestro dell’archivio di Paolo Persichetti è un attacco al suo lavoro di ricerca sugli anni 70 – Il Riformista
2. Ora la magistratura vuole orientare anche la ricerca storica – Piero Sansonetti, Il Riformista
3. Paolo Persichetti e il complottismo eterno delle procure – Daniele Zaccaria, Il Dubbio
4. Caso Persichetti, la ricerca storica sotto attacco – Marco Grispigni, il manifesto
5. La commissione Moro e il caso Persichett i- Intervista all’avvocato Francesco Romeo Radio Radicale
6. Caso Persichetti, la ricerca storica deve essere libera e indipendente – Fabio Marcelli, Contropiano
7. Quelle pietre d’inciampo preziose che hai seminato – Silvia De Bernadinis
8. Quando la ricerca storica diventa un problema giudiziario il caso di Paolo Persichetti – Davide Drago, Globalproject.info
9.Ricercatore perquisito e indagato per studi sul caso Moro – L’indipendente.online/2021/06/15
10. L’ex br Persichetti e l’enigma dell’archivio sotto sequestro
11. Caso Persichetti, procura e riesame non pervenuti – Frank Cimini, Il Riformista
12. L’ex br Persichetti e l’enigma dell’archivio sotto sequestro – metronews.it/2021/07/26
13. Archivio Persichetti su Moro, per il gip Savio: “Non c’è reato” – Frank Cimini, Il Riformista
14. Contropiano – Manca il reato, il gip smonta l’inchiesta di Albamonte contro Persichetti
15. Sequestrato l’archivio di Persichetti, mossa della procura per censurare il libro sulle br – Frank Cimini, Il Riformista
16. Archivio Persichetti su Moro per il gip Savio non c’è reato – Frank Cimini, Il Riformista
17. Incolpazione assente, il gip smonta il caso Persichetti – il Dubbio
18.Il gip affossa l’inchiesta contro Paolo Persichetti e la sua ricerca storica – www.radiondadurto.org/2021/11/03/
19. Delitto Moro, l’archivio Persichetti ancora sotto sequestro – Frank Cimini, il Riformista
20. Archivio Persichetti, la cassazione si inventa un nuovo reato – Frank Cimini, il Riformista
21. Contropiano, Kafka e l’archivio di Persichetti
22. Contropiano.org – Prosegue la caccia al reato inesistente, la procura non molla l’archivio di Persichetti
23. Persichetti, i pm non mollano, contestano il reato già bocciato
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