sabato 17 luglio 2021

Il “governo dei migliori” usa il calcio come oppio.

Come tutte le parodie inconsapevoli, contengono ciascuna un insegnamento profondo. È evidente che con Conte capo del governo non avremmo vinto niente, che con Arcuri alle vaccinazioni Donnarumma non avrebbe parato l’ultimo rigore, che solo l’arrivo del Gen. Figliuolo ha dato alla squadra lo sprint e lo spirito di disciplina necessari ad affrontare l’agone.


(pressreader.com) – di Daniela Ranieri – Il Fatto Quotidiano

Siamo indecisi tra: “Dalle bare al tricolore: la rinascita dopo il Covid” (Il Giornale) e “Italia campione, effetto Draghi: calcio, tennis e musica, così il nostro Paese è tornato protagonista” (Messaggero), ma abbiamo un debole anche per “La coppa rafforza anche Draghi in Europa” (Corriere della Sera). Come tutte le parodie inconsapevoli, contengono ciascuna un insegnamento profondo. È evidente che con Conte capo del governo non avremmo vinto niente, che con Arcuri alle vaccinazioni Donnarumma non avrebbe parato l’ultimo rigore, che solo l’arrivo del Gen. Figliuolo ha dato alla squadra lo sprint e lo spirito di disciplina necessari ad affrontare l’agone.

Perché Draghi e Mattarella ci tenevano tanto che l’Italia vincesse agli Europei? (Per inciso, siamo tra i pochi a cui la presenza allo stadio di un Mattarella senza mascherina, accanto alla famiglia reale inglese che vive d’immagine, dopo che s’era detto ai tifosi italiani di non sognarsi nemmeno di partire per Wembley con la variante Delta in circolazione, è parsa stonata e del tutto evitabile).

Perché sono patrioti e sportivi, certo, ma precisamente perché sapevano che il giorno dopo la stampa sarebbe stata invasa da titoli di quel tipo; che un’anamorfosi collettiva avrebbe attribuito la vittoria al Governo dei Migliori, come se i trionfi sportivi si trasferissero per osmosi a quelli che governano e fossero anzi a questi attribuibili. Da sempre, che si tratti di una monarchia assoluta, di una democrazia presidenziale o parlamentare, di un’oligarchia o di un sultanato sanguinario, le vittorie sportive conseguite da squadre del proprio Paese in qualunque competizione sono propaganda gratis e uno steroide popolare per i governi in carica, tali da portare nel Paese fiducia, gioia, anestesia, business, scosse benefiche all’economia e gratitudine per chi comanda. I fiaschi sportivi turbano la vanagloria di chi governa, quanto più esso è scarso e impopolare (ricorderete la disperazione di Renzi, che alle Olimpiadi 2016 decimò svariate gare, e i cui messaggini di auguri gli atleti temevano più della morte). Sono un oppiaceo naturale, insieme all’alcol e al tabacco: per questo, e non solo per i soldi che girano, ogni Paese briga e smania per avere coppe e tornei sul proprio suolo. Non si sta parlando del sano tifo popolare, l’unica fede non ancora intaccata dal disincanto; ma dell’uso della vittoria da parte dei governi (con la complicità dei giornali dell’establishment), in ispecie di questo Governo dei Performanti, per cui una sconfitta avrebbe voluto dire qualche punto in meno di Pil (invece è “una vittoria che ha il sapore della rinascita”, Messaggero) e una figuraccia di Draghi (demiurgo d’Europa, capace di rendere l’“Italia felice”, La Stampa). Draghi che – non a caso – ha voluto incontrare la squadra al rientro a Roma, concedendo poi (forse non lui in persona, ma restandone all’oscuro, che è peggio) la parata dei giocatori in pullman scoperto con migliaia di persone accalcate. Draghi che, ancora, voleva far disputare la finale a Roma perché a Londra ci sono focolai di Delta, mentre qui, come lui sa bene in quanto Competente, la variante non circola, il ponentino la neutralizza, e menomale che Johnson non gli ha dato retta.Nello sport sono in gioco non solo la competizione e la sfida tra atleti, ma anche l’agonismo tra popoli, il rito, la violenza e il sacro (non a caso nel tifo hanno libero sfogo razzismi, regionalismi e nazionalismi). Ma un misto di pensiero magico, populismo e disistima dei cittadini ha fatto sì che quel “siam pronti alla morte” che Figliuolo evocava per le vaccinazioni (scelta felicissima!) si fondesse con l’inno eseguito marzialmente, e che dalle telecronache ai commenti la vittoria calcistica fosse metaforizzata in chiave anti-Covid (“La vittoria di Wembley metafora di un Paese che riparte. Siamo tornati al centro dell’Europa uscendo da una delle notti più dure”, Il Quotidiano del Sud). Il tutto mentre per le strade si riversavano folle di cittadini alitanti (geniale la decisione di togliere l’obbligo delle mascherine all’aperto pochi giorni prima dei baccanali, con il 53% della popolazione non ancora vaccinata). Lasciamo la parola a Thomas Bernhard: “È sempre stata attribuita allo sport, in ogni epoca e da ogni governo, un’importanza grandissima, per la buona ragione che lo sport intrattiene e obnubila e rimbecillisce le masse, e in primo luogo le dittature sanno bene perché sono sempre e in ogni caso favorevoli allo sport. Chi è per lo sport ha le masse al suo fianco, chi è per la cultura ha le masse contro, e per questo tutti i governi sono sempre per lo sport e contro la cultura. In ogni epoca e in tutti gli Stati le masse vengono accalappiate mediante lo sport, e non c’è Stato che possa dirsi così piccolo e insignificante da non sacrificare tutto allo sport”.

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