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di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
Fonte originale: articolo Gospa News
«Si è tolto la vita nel pomeriggio di oggi 27 luglio Giuseppe De Donno, il medico diventato famoso durante la pandemia per aver scoperto e proposto la cura di plasma iperimmune per sconfiggere il Covid. Secondo quanto riporta la Gazzetta di Mantova, ancora non si sanno le cause e i motivi che hanno spinto il medico a togliersi la vita. Il dottor De Donno era il primario di Pneumologia dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, e insieme al Policlinico di Pavia, ha sperimentato la plasmaterapia con successo».
La sconcertante notizia è stata riportata in questi termini da Fanpage dopo che il giornale locale ha riferito del drammatico evento su cui ovviamente sarà chiamata ad indagare la magistratura in virtù del ruolo importante e delicato che ebbe il più famoso promotore della plasmaferesi terapeutica attraverso la quale si sarebbe riusciti a sconfiggere il Covid-19 se fosse stata adottata tempestivamente e diffusamente.
Era stato tra i primi ad infrangere i protocolli del Ministero della Salute e fare le autopsie, vietate dal ministro Roberto Speranza, scoprendo i scoprendo i microtrombi fatali delle embolie polmonari massive e poi il plasma che guariva i malati. Gli mandarono un ispezione in ospedale quando criticò il Ministero e propose le cure con il plasma.
Da tempo De Donno aveva iniziato a condurre una vita ritirata allontanandosi da quei riflettori che lo avevano giustamente celebrato come uno dei medici eroi della pandemia perché capace di trovare una cura efficace, rapida ed economica contro il Sars-Cov-2, a volte micidiale, altre volte innocuo,
Dal 5 luglio aveva cambiato vita: da primario ospedaliero a medico di medicina generale a Porto Mantovano. Una scelta sofferta, ma frutto di una lunga riflessione: voleva stare a contatto con il territorio e seguire i suoi pazienti uno a uno, forse con meno stress rispetto a quanto fatto in ospedale.
E’ pertanto difficile credere che un uomo di tale levatura abbia deciso di farla finita dopo aver portato il suo metodo terapeutico sperimentale ad avere successo in tutto il mondo. Sarà compito degli inquirenti, se saranno capaci di andare a scavare oltre agli interessi enormi che gravitano intorno all’emergenza Covid-19, quello di accertare quali siano state le cause del suicidio o se non si tratti di un ennesimo caso di testimone scomodo “suicidato” come avvenne per alcuni marescialli del’Aeronautica nella strage di Ustica.
L’Italia è purtroppo il paese dei misteri e dei massacri avvenuti all’ombra di un Deep State che ieri si occupava di geopolitica militare ed oggi si è specializzato nella cibernetica e nella ricerca batteriologica, visto che sulle Big Pharma dei vaccini investono gli stessi fondi d’investimento della Lobby delle armi.
Ho seguito la parabola sul sangue iperimmune capace di guarire i malati di Covid-19 in molteplici reportages fino a scoprire che quella terapia, inizialmente ritenuta miracolosa ma poi evaporata nel tramestio delle cure ufficialmente riconosciute, finì in parte nelle mani di una società collegata con Bill Gates, l’imperatore mondiale dei vaccini, che avrebbe avuto tutto da perdere se una semplice cura si fosse dimostrata risolutiva per i contagiati prima dell’arrivo delle terapie geniche vaccinali.
La terapia col plasma iperimmune fu sperimentata dal professor De Donno, direttore della struttura complessa di pneumologia e unità di terapia intensiva respiratoria Ospedale Carlo Poma di Mantova, insieme al professor Cesare Perotti, direttore del servizio di Immunoematologia e Medicina trasfusionale del San Matteo di Pavia.
Impiegarono mesi prima di essere presi sul serio i due abili medici, emulatori dei test con anticorpi innestati negli animali che fecero due scienziati scienziati in Germania già nel 1890: il primo, fu il fisiologo che nel 1901 vinse il premio Nobel per la medicina con la scoperta della cura alla difterite, Emil Von Behring, il secondo Kitasato Shibasaburō, batteriologo giapponese.
Questo ritardo di attenzione da parte della comunità scientifica fu segnalato dal professor Perotti grazie ad un convegno organizzato dall’associazione Novum Ticinum presso l’Università di Pavia nella primavera 2020.
«Abbiamo raccolto 329 donazioni, con donatori giunti anche dal Trentino. Una manifestazione di grande generosità, che ci consente ora di avere a disposizione un numero di sacche di plasma da utilizzare in caso di un’eventuale seconda ondata in autunno. Il ricorso al plasma iperimmune ha ridotto la mortalità dal 15 al 6 per cento. A riconoscere il nostro lavoro è stata anche la Commissione Europea, che ci ha assegnato l’incarico di scrivere le linee guida per tutta Europa per la terapia con il plasma donato da pazienti convalescenti».
«Il rammarico è che in Italia solo i colleghi dell’ospedale di Mantova hanno deciso di adottare il nostro protocollo: abbiamo calcolato che se l’identica scelta fosse stata adottata in tutta Italia, probabilmente sarebbe stato possibile salvare oltre 3mila pazienti che purtroppo sono morti» stigmatizzò Perotti.
Ma qualcosa di ancor più eclatante era accaduto a livello internazionale. Nonostante l’iniziale boicottaggio della comunità scientifica italiana, la terapia con il plasma degli ospedali Poma e San Matteo, visti i successi senza controindicazioni, fu poi emulata in 116 centri clinici universitari degli Stati Uniti d’America. Tra questi ci fu quello dell’Università della California di Los Angeles che sta portando avanti l’UCLA COVID-19 Convalescent Serum Project a cui aderì con una donazione di sangue anche il celebre attore Tom Hanks, guarito dal CoronaVirus.
IL SANGUE IPERIMMUNE SOTTRATTO IN… PARLAMENTO!
Fu la svolta? Macchè! In Parlamento la terapia col plasma subì un’incomprensibile e sconcertante deviazione. Infatti il protocollo sperimentato a Mantova e Pavia fu indirizzato all’Università di Pisa, individuata quale capofila del progetto nello sconcerto dei protagonisti e dei media. (continua a leggere)
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