martedì 2 febbraio 2021

L’uomo dei misteri d’Italia si chiama Federico Umberto D’ Amato.

Il suo nome in codice era Zaff: evocava lo zafferano, ingrediente molto apprezzato in cucina da Federico Umberto D’ Amato, gastronomo per diletto, brillantissimo dirigente e poi, dal 1971 al 1974, responsabile dell’ Uar, l’ Ufficio Affari Riservati del ministero dell’ Interno. D’ Amato, nato a Marsiglia nel 1919 e morto a Roma nel ’96, sosteneva che la sua competenza culinaria era nata insieme alla sua attività nell’ intelligence: quale posto più sicuro di un’appartata saletta di un ristorante per far sbottonare i taciturni funzionari sovietici, per arruolare delatori o per trattare con gli agenti mediorientali?


infosannio.com (Mirella Serri – la Stampa) 

È stato fino a oggi assai poco noto il profilo di uno dei personaggi più influenti d’Italia, a capo del servizio segreto civile, il cinico, mellifluo e duro come la pietra D’Amato. Proprio sui traffici del dirigente-spia, a novembre dello scorso anno, sono state riaperte le indagini in quanto finanziatore e organizzatore della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Un documento ritrovato di Licio Gelli testimonia di versamenti milionari avvenuti a favore di Zaff che fin dal 1979 si sarebbe incaricato di dare il via all’ operazione in cui furono uccise 85 persone e 200 rimasero ferite.

Ma chi fu veramente D’Amato? A rivelarci le sue oscure trame è il documentatissimo volume dello studioso Giacomo Pacini La spia intoccabile. Federico Umberto D’ Amato e l’ Ufficio Affari Riservati (in uscita per Einaudi, pp. 268, 28).

La vita dell’ agente segreto è come un filo che si dipana senza mai esaurirsi: fu sicuramente un genio del male, ma le sue spericolate operazioni spionistiche furono connotate da una persistente doppiezza che gli fecero conquistare una grande stima a destra, a sinistra e anche a livello internazionale: nel quartier generale di Bruxelles della Nato gli è stata intitolata una delle sale più prestigiose.

Lo 007 contribuì a rendere l’Uar un «organismo responsabile di una delle più spregiudicate e capillari opere di infiltrazione all’ interno di partiti politici, sindacati e movimenti extraparlamentari», spiega Pacini. «Si trattò di una sorta di polizia parallela che agiva in modo del tutto autonomo dalle normali forze di pubblica sicurezza. Era un vero e proprio servizio segreto, anche se non era giuridicamente riconosciuto come tale, e passava alla magistratura solo quello che voleva».

 

D’Amato, insomma, per anni si mosse al di fuori di ogni legge e di ogni regola e fu in grado «di condizionare perfino le scelte politiche dei vari ministri dell’ Interno in carica». Era lui che decideva cosa rendere noto e cosa, eventualmente, tenere nascosto.

Se il funzionario, per esempio, avesse girato tempestivamente alla magistratura tutte le informazioni a sua disposizione avrebbe consentito di fare chiarezza su alcune delle più tragiche vicende della storia della repubblica (da piazza Fontana alla strage di piazza della Loggia).

Vicecommissario di pubblica sicurezza dopo l’ 8 settembre 1943, D’ Amato iniziò la sua prestigiosa carriera collaborando con James Angleton, capo dell’ Oss (Office of Strategic Services), il servizio padre della Cia. «Mi feci paracadutare nei pressi di Salò e presi contatto con Guido Leto (ex capo dell’ Ovra)», ricordò D’ Amato, «e con altri elementi della polizia nella Rsi. Proposi loro un’intesa ed essi accettarono».

I rapporti con gli esponenti della polizia politica fascista, che poi transitarono nei ranghi della pubblica sicurezza dell’ Italia democratica, furono la sua palestra poiché tramite gli ex repubblichini ebbe tra le mani scottanti dossier che gli sarebbero stati successivamente utili come arma di ricatto. Fece imprigionare un numero consistente di nazisti e divenne l’ uomo degli americani in Italia, membro del Club di Berna che riuniva le intelligence europee e Nato.

A metà degli anni 60 l’ uomo dell’ intelligence, collaborando con il neofascista Stefano Delle Chiaie, fece affiggere sui muri di Roma e di altre città italiane un gran numero di manifesti inneggianti alla rivoluzione e a Mao Zedong per spaventare l’ opinione pubblica moderata allontanandola dalla sinistra. D’Amato coltivò molti legami con il mondo della politica italiana: era amico del missino Giulio Caradonna ma anche del leader del Pci Giancarlo Pajetta.

La penetrazione all’ interno dei partiti di sinistra avvenne con il supporto di Margherita Ingargiola, che dal 1951 gli illustrò gli arcani del Pci e del Psi, e con l’ ausilio dell’ ex partigiana Marisa Musu del Comitato Centrale del Pci. Quest’ ultima negò sempre il suo ruolo ma risulta dall’ archivio dell’ Uar che per decenni venne retribuita per gli spifferi con 150 mila lire mensili. Un insuccesso fu invece l’ approccio con Adriano Sofri con cui D’Amato si vantava di aver consumato «paurose e notturne bottiglie di cognac».

Sofri, invece, ha rivelato che, a metà anni Settanta, D’Amato gli propose un patto scellerato per cui, con la copertura del ministero dell’ Interno, il gruppo di Lotta continua avrebbe dovuto eliminare i principali componenti dei Nuclei armati proletari (Nap).

Il funzionario-spione faceva controllare molti politici, da Giulio Andreotti a Amintore Fanfani a Francesco Cossiga a Enrico Berlinguer e Achille Occhetto, ma anche molti giornalisti, da Eugenio Scalfari a Giorgio Bocca a Enzo Biagi.

Nel mirino della sua sorveglianza finì pure l’editore Giangiacomo Feltrinelli, morto mentre cercava di sabotare un traliccio elettrico. Dopo la bomba esplosa a Milano in piazza Fontana, il 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell’ Agricoltura, fu l’Uar che si occupò di seminare indizi per screditare e attribuire al ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli alcuni degli attentati avvenuti nei mesi precedenti sui treni: «Ancora oggi è oscuro il ruolo che l’Uar ebbe in quelle vicende di depistaggio», osserva Pacini.

D’ Amato tirava i fili della strategia della tensione? Dopo che un altro ordigno esplose a Brescia, in piazza della Loggia nel 1974, venne avviata l’ epurazione nei servizi segreti considerati collusi con i criminali. Il dirigente, non a caso, fu destinato a un altro incarico.

Si dedicò poi all’ hobby della gastronomia: con lo pseudonimo di «Gault et Millau» nel 1977 divenne curatore della seguitissima rubrica di cucina dell’ Espresso e gli venne affidata anche la direzione della Guida ai ristoranti italiani che rappresentò un punto di riferimento per la gastronomia italiana.

Ma anche dopo l’ uscita dall’ Uar le manovre segrete di D’ Amato non finirono, come dimostra il sospetto coinvolgimento nella strage di Bologna. C’ è un nesso tra quel sangue versato e la montagna di quattrini ricevuta da Zaff/D’ Amato da parte del faccendiere Gelli? La risposta forse arriverà dal processo che è in corso in questi giorni.

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