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Il capitalismo, come il virus, produce le sue varianti. E Draghi, mi sembra di poter dire, rappresenta una variante a sé, autonoma, pragmatica, laicista, ma rispettosa della religione. Assorbe la transizione ecologica, digitale e tecnologica, seleziona al suo interno, in una sorta di capitalismo darwiniano, che rassicura quello finanziario e apparentemente contrasta quello indebitante. Noi, come i vaccini, dobbiamo implementarci, attrezzarci e imparare ad analizzare il mutamento di variante, dentro lo stesso schema.
La variante Draghi non può essere sottovalutata perché espressione di una nuova fase.
Di questa nuova fase, la propria consapevolezza dei problemi, dall’osservatorio sistemico attuale, e la visione apparentemente progressista e ambientalista, non lasciano spazio o almeno sono volutamente silenti sul futuro dell’umanità. Che ruolo avranno le persone in questa visione? Che fine farà il lavoro umano?
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Sembrerebbe dire Draghi: guariamo dal virus, guariamo la terra, studiamo, rendiamoci competitivi e innovativi e avremo una possibilità di crescita. In un discorso tutto interno al proprio mondo finanziario, bancario e imprenditoriale sembrerebbe questo il messaggio: accettiamo le sfide per consentire all’economia di continuare, senza più sussidi e selezionando all’interno anche preventivamente.
Chi supererà la selezione vivrà. E chi non ce la farà? Che posto avranno i marginali, i vulnerabili, gli ultimi? È stato notato come non vi sia stato nel suo discorso alle Camere, un riferimento al carcere e agli altri luoghi della marginalità e della cura. Sì, si è parlato della vaccinazione, ma in un modo del tutto funzionale alla ripresa economica. Il concetto di cura è mancato totalmente e la visione della società della cura non ha asilo dentro il capitalismo che delinea la variante in atto.
Sbaglieremmo a entrare in conflitto con chi sta subendo l’affascinazione della sua sobrietà comunicativa e degli effetti di stabilizzazione sui mercati finanziari, della sua garanzia circa l’utilizzo dei fondi europei in arrivo. Perché non è sul terreno di gioco della variante che saremo incisivi, ma proponendo un altro piano in cui la centralità del vivente e dell’umanità siano consapevolezza e visione al tempo stesso.
In questa variante capitalistica che Draghi propone con la sua autorevolezza, parlando al suo mondo, non sono contemplati la cura del vivente e il ri-orientamento dell’economia e della finanza in funzione della cura, perché la selezione, la stessa che ha prodotto ingiustizia, disuguaglianze, riguarderà anche coloro che prima ne erano esclusi ed è a questi che bisogna pensare, perché gli altri verranno comunque disciplinati.
Dall’altro lato la società della cura, interessante convergenza in atto tra i movimenti non solo italiani, ha davanti a se una variante che la obbliga ad aggiornare la propria consapevolezza e implementare la propria visione. La consapevolezza e la visione della società della cura rappresentano una Vaccino formidabile contro la variante Draghi. Stiamo raffinando il nostro vaccino, ma dobbiamo raggiungere l’allargamento. La società della cura deve avere fissa la visione, lavorando sulla consapevolezza collettiva e l’allargamento territoriale, orizzontale e universale. A nulla serviranno le lotte settoriali senza una visione comune, alternativa e praticabile. Un inedito capitalismo, nella sua variante Draghi, abbiamo di fronte e un inedito alternativo va formulato e costruito.
L’idea che il sistema possa incepparsi vincendo una battaglia oggi appare debole. È impossibile inceppare un virus che varia continuamente. Meglio un vero vaccino, anch’esso mutante, e aggiungo una vera “cura”.
Proprio la visione alternativa deve spingere la consapevolezza a diventare, implementante, globale, territoriale e sempre collettiva. Si può volere la transizione ecologica senza chiarire quella sociale? La lettura della contemporaneità è un opera possibile solo se contestualizziamo la fase, sempre in mutazione, spingendoci in un’analisi prospettica che ponga al centro il ruolo e il futuro della persona umana in quanto vivente in un sistema aperto alla conservazione progressiva. Sbaglieremmo a dividerci in mille rivoli e ad assumere un ruolo di proposta settoriale senza porci come movimento convergente, alternativo e propositivo.
Cosa può fare la società della cura? Molto, senza farsi trascinare negli abissi della frammentazione, ma studiando e praticando una sperimentazione sociale, conflittuale e visionaria che nel mentre fa produca immunizzazione comunitaria alla variante capitalistica in atto.
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