lunedì 1 febbraio 2021

Il gran pasticcio europeo (e italiano) sul vaccino AstraZeneca e il tramonto degli eroi

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Nonostante il tono trionfale con cui la Commissione europea ha accompagnato la pubblicazione del contratto siglato da AstraZeneca, il testo non suona affatto a suo completo favore. Se è vero che l’impegno riguarda tutti i centri di produzione, anche quelli dislocati nel Regno unito, è pur vero che è misurato alla luce del “best effort”, del migliore sforzo, il quale di per sé non esclude affatto il suo contemperamento con qualche vincolo assunto prioritariamente. Tanto più, fino a ieri, in pendenza di un lasciapassare auspicato, ma tutt’altro che certo, da parte dell’Agenzia europea del farmaco, con riguardo sia al se che al modo, vincolato o meno ad una certa fascia di età.

Comunque, questa impasse è stata utilizzata qui da noi per giustificare il rallentamento se non il blocco dello stesso secondo turno di vaccinazione, rispetto ad una campagna aperta con straordinaria solennità, con tanto di prima iniezione fatta ad una giovane infermiera, carina quel tanto che non guasta, dell’Istituto portabandiera della guerra contro il Covid, lo Spallanzani. Ma la cosa non sta esattamente così, a cominciare dal ritmo tenuto nelle settimane precedenti la diminuzione della disponibilità di dosi del vaccino PfizerBiontech; se non sbaglio, sugli 80/100 mila vaccinati per il primo giro, tale da comportare, per i mesi di febbraio/maggio, l’utilizzazione massima di 16 milioni di dosi, pari a 8 milioni di soggetti, ben lontano dal programmato 20 per cento della popolazione.

Non è solo una questione di numeri, ma anche di preferenze. Nulla da dire sulla scelta di privilegiare gli addetti al Servizio sanitario, con estensione ai medici di base, per garantirne la tenuta in presenza di una pandemia che ne richiede il pieno impiego, sì da non tollerare vuoti proprio in costoro più facili da infettarsi per il contatto ravvicinato coi pazienti positivi. Ma si parla di circa 500 mila vaccinati extra Servizio sanitario, con un allargamento al personale amministrativo, pur dislocato al di fuori degli ospedali, non senza l’aggiunta di molti portoghesi, che naturalmente avranno titolo a ricevere anche il richiamo. Certo una ulteriore riprova del lassismo morale dell’italico popolo, di cui si usa accennare come dopo tutto forse una virtù, cioè la capacità di inventarsene una nuova per cavarsela sempre. Ma c’è da chiedersi quanto possa avere influito sui numeri il vivere la vaccinazione come una competizione fra l’Italia e la Germania, in una sorte di testa a testa, ma soprattutto fra una regione e l’altra, con una evidente incentivazione a gonfiare i numeri, reclutando gente a destra e manca.

Siamo ormai abituati alla quotidiana lamentazione sulla elevata mortalità, quale data dal numero dei decessi rispetto a quello della popolazione, tanto da assicurarci un primato poco invidiabile, se pur oggi accompagnato da un certo pudore nel dar conto del costo salatissimo pagato dagli ultraottantenni. Ieri, quel conto era una sorta di tranquillante per tutti gli altri, se pur con un crescente tremore per quelli che oltrepassavano i settanta anni; oggi è divenuta una cosa politicamente scorretta, con l’ormai consueta litania che così si perde una intera generazione. Generazione importante, anzi importantissima, in forza di una mescolanza di ragioni, altamente ideali e piattamente pratiche: la perdita di una saggezza insostituibile va a braccetto con la cura dei nipoti e la necessità di alimentare con le loro pensioni i bilanci dei figli.

C’è qualcosa che cambia, quale dato dal titolo di questo scritto, il tramonto degli eroi. Sentivo l’altra sera uno dei più noleggiati dei nostri virologi, epidemiologi, pneumologi, microbiologi, infettivologi e via dicendo, che a fronte del semaforo verde dato dall’Agenzia europea al farmaco al vaccino AstraZeneca, invitava a stappare una bottiglia di champagne, cosa che mi accingevo a fare se pur con del prosecco, quando il nostro guru ha aggiunto che sì il nuovo vaccino copriva al 65/70 per cento, ma non era escluso per gli ultra cinquanta cinquenni, come pur si temeva, per essere il campione prescelto nei test usato dalla società del tutto limitato con riguardo alle fasce d’età più anziane, tanto da convincere la Germania a escluderle dalla vaccinazione.

Confesso di essere un po’ fumino, sì che mi alzai di scatto, quasi gridando allo schermo, come tu, che forse hai già avuto il richiamo, con il super vaccino Pfizer, vieni a dirmi, dall’alto del tua acquisita immunità al 95 per cento, che dovrei accontentarmi, se tutto va bene, di ricevere la doppia puntura non prima di un paio di mesi, casomai col vaccino AstraZeneca, a copertura 65/70 per cento. Se, poi, a quanto sembrava, sarebbe stato deciso di fare come in Germania, vietandolo agli ultra cinquantacinquenni, allora  si sarebbe dovuto invertire radicalmente la programmazione già decisa, col riservare tutta la fornitura AstraZeneca, di gran lunga la più importante per l’Italia, a fasce di età non a rischio o a rischio molto contenuto, lasciando sguarnite tutte quelle dai cinquantasei anni in sù, se non le sole, certo le più esposte all’infezione, con percentuali di letalità e di mortalità prossime se non superiori al 90 per cento.

Capii in quel momento che il saputello che parlava alla tv non era più un eroe, non rischiava la pelle, se pur coperto da un autentico scafandro; era un privilegiato, che non condivideva più la paura della gente, non tranquillizzava e rassicurava, era altro rispetto all’ammalato inchiodato sul letto di un reparto Covid. Mi veniva in mente una barzelletta ascoltata tempo fa, un aereo che traballa in un vortice d’aria, coi passeggeri aggrappati ai braccioli, i bagagli espulsi dai contenitori, bestemmie e preghiere che si incrociano nell’aria, le hostess livide di paura, quando all’improvviso irrompe dall’altoparlante una voce ferma: “Nessuna paura l’aereo terrà benissimo, calma e sangue freddo. Sono il comandante che vi parla da quel puntino che vedete sotto di voi, una nave sul cui ponte sono appena atterrato”.

Senza più questa aureola, viene meno la condivisione di una sorte pericolosa, che conferiva a medici e infermieri una sorta di autorevolezza sacrale, la sensazione di essere nella stessa barca, con addirittura quei camici bianchi e azzurri, pur resi fisicamente distanti da scafandri di vario tipo, chini sui remi verso una salvezza comune. Sono diventati quasi dei robot, impermeabili e imperforabili dal virus, i cui gesti appaiono meccanici, se pur accompagnati da sorrisi appannati dalle visiere, che rischiano di apparire stereotipati. La malattia e la morte non li minaccia e tocca più, sono altri e altrove, come se fosse stata accordata loro una immortalità relativa, che sarà concessa anche a noi, ma solo se riusciremo a sopravvivere per i prossimi mesi. Loro ci attendono ormai ben asciutti sulla riva, pensando di farci coraggio gridando e agitando le mani, mentre la risacca ci riporta continuamente lontano, dove rischiamo di essere inghiottiti nel vorticare delle onde.

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